Un affettuoso augurio
Caro Carli,
mi dici di voler trasformare "L'Eco della Versilia" in "Tabularasa" e mi chiedi
un saluto ed un parere sulla base di una precedente esperienza con quel titolo.
Una rivista intitolata "Tabularasa" la facemmo già infatti nel 1956 Fabio De
Felice, Cesare Pozzo, Mario Pucci, Roberto Melchionda ed io, con la
collaborazione di Carlo Costamagna, Lorenzo Ribotta, Franco Petronio, Gian Carlo
Zonghi, Piero Turrini, Armando Stefani e Francesco Pingitore. Durò tre numeri
sufficienti a motivare per fedeltà alle idee il nostro allontanamento dal MSI,
che ci pareva non riuscisse ad interpretarle.
Questo allontanamento per alcuni fu solo provvisorio, per altri definitivo, per
altri ancora, come me, una sorta di interrogativo permanente, tanto è vero che
stiamo ancora qui a parlarne.
La mia personale esperienza è che dentro o fuori sempre lì ciò che son riuscito
a dire ha avuto maggior eco. Compresa la lunga battaglia esterna con Pacciardi e
con gli amici di "Nuova Repubblica", di cui il MSI ha assorbito tanto i
contenuti presidenzialisti quanto la stessa etichetta. Ed anche il laboratorio
metapolitico di Marco Tarchi, che è quanto di meglio abbia prodotto il nostro
ambiente per distacco, se ha saputo creare qualche positiva occasione di dialogo
con altre esperienze culturali, è pur sempre tra i giovani missini che ha
riscosso la sua maggiore udienza sia pur col risultato di metterli in contrasto
con la linea dominante nel partito.
Ciò che è importante è proseguire il travaglio delle idee nella loro continua
necessità di confronto con le nuove situazioni senza perdere mai i riferimenti
con le ragioni profonde del nostro impegno politico. Come si è sempre sforzato
di fare Beppe Niccolai.
Tu sai quanto abbiamo lavorato insieme in questo senso. Il fatto che io fossi
rimasto per tanto tempo fuori e lui sempre tenacemente, disperatamente dentro,
non rappresentò mai un serio motivo di divisione fra di noi. Il problema vero è
non confondere la vocazione politica con la banale ricerca di prodotti sul
mercato elettorale. Quella che Beppe deplorandola chiamava la «pesca delle
occasioni» -una nuova trovata per ogni nuova campagna elettorale- quasi sempre
si riduce in un sacrificio ideale per i vecchi militanti nel tentativo di
raccattare lungo la strada con un marketing elettoralistico improvvisato e
pasticcione qualche motivo marginale di scontento. Il rischio è di finire di
questo passo in un puro e semplice qualunquismo, rispetto al quale un richiamo
alle idee fondanti ed alla loro vera proiezione su una realtà che cambia,
diventa sempre più necessario.
"Tabularasa" dovrà dunque far piazza pulita del qualunquismo che si è incrostato
sulle nostre insegne per restituire le ragioni autentiche di un impegno politico
nato in noi dalla grande, eterna guerra del sangue contro l'oro. Lo si può
tradurre anche nella scelta indicata dalla tradizione religiosa tra Dio e
Mammona, certo non nell'adesione al provvisorio trionfo dell'americanismo e del
materialismo liberalcapitalista.
Su questa via potremmo trovare a mio avviso nuovi motivi di incontro con la
sinistra oggi sbandata in un opportunismo che offre solo qualche pesca delle
occasioni simile a quelle praticate a destra. Dal comune rifiuto dei piccoli
espedienti per puntare all'essenziale possono sorgere nuove sintesi sociali e
nazionali. Mentre la solita fabbrichetta elettorale di deputati che poi
annaspano privi di un discorso dal respiro largo non può più bastarci.
Con un affettuoso augurio.
Giano
Accame
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