«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 1 (15 Febbraio 1992)

 

Un affettuoso augurio

 


Caro Carli,
mi dici di voler trasformare "L'Eco della Versilia" in "Tabularasa" e mi chiedi un saluto ed un parere sulla base di una precedente esperienza con quel titolo.
Una rivista intitolata "Tabularasa" la facemmo già infatti nel 1956 Fabio De Felice, Cesare Pozzo, Mario Pucci, Roberto Melchionda ed io, con la collaborazione di Carlo Costamagna, Lorenzo Ribotta, Franco Petronio, Gian Carlo Zonghi, Piero Turrini, Armando Stefani e Francesco Pingitore. Durò tre numeri sufficienti a motivare per fedeltà alle idee il nostro allontanamento dal MSI, che ci pareva non riuscisse ad interpretarle.
Questo allontanamento per alcuni fu solo provvisorio, per altri definitivo, per altri ancora, come me, una sorta di interrogativo permanente, tanto è vero che stiamo ancora qui a parlarne.
La mia personale esperienza è che dentro o fuori sempre lì ciò che son riuscito a dire ha avuto maggior eco. Compresa la lunga battaglia esterna con Pacciardi e con gli amici di "Nuova Repubblica", di cui il MSI ha assorbito tanto i contenuti presidenzialisti quanto la stessa etichetta. Ed anche il laboratorio metapolitico di Marco Tarchi, che è quanto di meglio abbia prodotto il nostro ambiente per distacco, se ha saputo creare qualche positiva occasione di dialogo con altre esperienze culturali, è pur sempre tra i giovani missini che ha riscosso la sua maggiore udienza sia pur col risultato di metterli in contrasto con la linea dominante nel partito.
Ciò che è importante è proseguire il travaglio delle idee nella loro continua necessità di confronto con le nuove situazioni senza perdere mai i riferimenti con le ragioni profonde del nostro impegno politico. Come si è sempre sforzato di fare Beppe Niccolai.
Tu sai quanto abbiamo lavorato insieme in questo senso. Il fatto che io fossi rimasto per tanto tempo fuori e lui sempre tenacemente, disperatamente dentro, non rappresentò mai un serio motivo di divisione fra di noi. Il problema vero è non confondere la vocazione politica con la banale ricerca di prodotti sul mercato elettorale. Quella che Beppe deplorandola chiamava la «pesca delle occasioni» -una nuova trovata per ogni nuova campagna elettorale- quasi sempre si riduce in un sacrificio ideale per i vecchi militanti nel tentativo di raccattare lungo la strada con un marketing elettoralistico improvvisato e pasticcione qualche motivo marginale di scontento. Il rischio è di finire di questo passo in un puro e semplice qualunquismo, rispetto al quale un richiamo alle idee fondanti ed alla loro vera proiezione su una realtà che cambia, diventa sempre più necessario.
"Tabularasa" dovrà dunque far piazza pulita del qualunquismo che si è incrostato sulle nostre insegne per restituire le ragioni autentiche di un impegno politico nato in noi dalla grande, eterna guerra del sangue contro l'oro. Lo si può tradurre anche nella scelta indicata dalla tradizione religiosa tra Dio e Mammona, certo non nell'adesione al provvisorio trionfo dell'americanismo e del materialismo liberalcapitalista.
Su questa via potremmo trovare a mio avviso nuovi motivi di incontro con la sinistra oggi sbandata in un opportunismo che offre solo qualche pesca delle occasioni simile a quelle praticate a destra. Dal comune rifiuto dei piccoli espedienti per puntare all'essenziale possono sorgere nuove sintesi sociali e nazionali. Mentre la solita fabbrichetta elettorale di deputati che poi annaspano privi di un discorso dal respiro largo non può più bastarci.
Con un affettuoso augurio.

 

Giano Accame

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