L'altra America ovvero la
vera America
Esiste, si potrebbe dire da sempre, un certo tipo di propaganda che trova servi
ed alleati dovunque; che fa apparire gli Stati Uniti d'America come i difensori
di ogni libertà ed i portatori disinteressati di civiltà e benessere. Questa
propaganda la si è vista, in tutta la sua sfacciataggine e in tutta la sua
mistificante prevaricazione, nel corso della recente guerra del Golfo. Laddove
un intervento così sporco e spudorato, in difesa di un emirato fantoccio ma
tanto ricco di petrolio come quello del Kuwait, lo si è contrabbandato come una
impellente e inderogabile necessità. E a sostenere questa tesi tutti in fila, i
lacchè ed i leccaculo nazionali ed internazionali. Partiti, giornali, TV di
stato, TV private.
Abbiamo ancora davanti agli occhi le stucchevoli immagini di Arrigo Levi e
Emilio Fede. Così come i servili e acritici articoli di Indro Montanelli, alla
testa di quasi tutta la stampa italiana.
Mai nessuno che si sia azzardato, o si azzardi, a dire il contrario. La verità.
Il padrone non si tocca. Il padrone lo si ossequia. Il vincitore di ieri e di
oggi ha sempre ragione. Vogliamo invece vedere chi è veramente questo
padre-padrone? Che cosa ha fatto e che cosa sta facendo? Vogliamo cioè vedere
l'altra faccia della medaglia? L'altra America? L'America, cioè, del cui operato
nessuno ha il coraggio di parlare? Ed allora balza evidente una costante, una
logica stringente che da sempre caratterizza il comportamento americano.
Prima schiacciare con ogni mezzo i popoli, occuparne fisicamente e militarmente
i territori e poi cancellarne, più o meno rapidamente, la identità culturale e
nazionale, imponendo il modello liberal-capitalistico. Un modello che giorno
dopo giorno uccide i popoli, spezzandone la spina dorsale. Togliendo loro
tradizioni e valori radicati nei secoli.
Tutto comincia con i pellerossa. Dopo i massacri ed il premeditato genocidio si
puntò subito alla «americanizzazione» dei superstiti. Si mirò direttamente a
recidere i legami tra individuo e tribù. Ai pellerossa si proibì di parlare
nella propria lingua. Furono costretti a vestirsi, comportarsi e pensare come
gli americani bianchi. Privati del loro tradizionale e plurisecolare vivere a
stretto contatto ed in simbiosi con la natura. Rinchiusi nelle riserve come
bestie. Trattati come selvaggi. Un simile trattamento verrà riservato, guarda
caso, durante l'ultima guerra mondiale al grande poeta collaborazionista Ezra
Pound, chiuso in una gabbia in quel di Coltano vicino a Pisa. Il sistema della
cosiddetta «detribalizzazione» ed i programmi di americanizzazione forzata nelle
riserve, e nelle scuole per quanto riguarda i bambini, costituiscono una lunga e
vergognosa storia di inauditi maltrattamenti, ricatti e coercizioni. Tanto che
oggi gli uomini delle riserve indiane indossano blue jeans, bevono coca cola,
ascoltano musica rock. Il «way of life» anglosassone ha vinto.
Così come ha vinto in Giappone. Laddove è accaduto qualche cosa di simile. Prima
la bomba atomica, poi la lenta ma sicura occidentalizzazione. Così come ha vinto
in Germania e in Italia. Prima i criminali bombardamenti a tappeto su obiettivi
civili, poi l'americanismo dilagante. La recisione dei legami tra individuo e
nazione. L'imposizione, assai spesso occulta, ma sistematica, del modello
capitalistico e consumistico.
Questa è l'America! L'America falsa, ipocrita e puritana che manda ogni giorno
in corteo le sue grasse, goffe e brutte signore per manifestare, in difesa di
princìpi frivoli e assurdi, ma che non ha, né ha mai avuto, sussulti né lacrime
allorché l'armata USA compie i più nefandi massacri. Al contrario gli autori di
queste imprese vengono accolti come trionfatori nel corso di una sorta di
carnevalata per le vie di New York.
È di questa America che si deve parlare. Perché ci riguarda da molto vicino.
Come Italiani ed europei. Noi che, giorno dopo giorno, stiamo perdendo la nostra
identità nazionale. È una occupazione sordida, lenta, ma inesorabile. Aiutata e
supportata dall'alta finanza, dai mass-media asserviti, dalle multinazionali. Da
quello che qualcuno da tempo ha chiamato il «partito americano». Forte e
trasversale in ogni parte dell'Europa e del mondo. Chi non ci sta viene colpito.
Direttamente o indirettamente. È accaduto per i pellerossa. Per il Giappone, per
l'Italia e per la Germania e per tanti altri in tempi relativamente lontani. È
accaduto di recente per l'Iran di Khomeini e per l'Iraq di Saddam Hussein.
Vietato ribellarsi. Vietato difendere le proprie tradizioni. Vietato andare
contro i «desiderata» e soprattutto contro gli interessi economici di
Washington. La caduta dell'imperialismo sovietico, con la conseguente fine
dell'aberrante logica di Yalta; la scomparsa del marxismo con la conseguente
fine della guerra fredda, hanno sicuramente accelerato il processo di
americanizzazione già in corso da tempo.
Oggi, più di ieri, Bush e compagni hanno via libera. Ecco perché, e non lo
diciamo da ora, l'America e l'americanismo rappresentano il nemico principale. E
l'assalto indiscriminato e distruttivo di chi cultura non ha, né ha mai avuto.
Proprio in questo 1992 si ricordano i cinquecento anni dalla scoperta
dell'America. I servi, i lacchè, e i leccaculo hanno già dato inizio, come da
copione, ai festeggiamenti. Tutti in fila a celebrare. Ad osannare. A rendere
omaggio. Acriticamente. Tutti pronti a dimenticare massacri, genocidi,
prevaricazioni lontane e vicine.
Per chi non ci sta, come noi, l'occasione di scendere in campo per denunciare,
ma soprattutto difendere orgogliosamente e tenacemente la nostra civiltà e le
nostre tradizioni millenarie. Senza mai dimenticare quelle dei pellerossa, degli
Indios e di quanti altri sono aggrediti dal male americano.
Gianni
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