le opinioni
Riflessioni
Sette «private» -economiche, politiche, religiose e sindacali-, in combutta tra
loro, si sono impossessate della nazione per gestirla secondo il proprio «particulare»
ed appagare il desiderio di potenza, di cupidigia -l'agostiniana cupiditas
dominandi-, che è nell'uomo. È nato così lo Stato moderno, antico quanto le
piramidi egizie: classista, plutocratico, clerocratico, totalitario. La
«democrazia totalitaria» (J. Talmon) non differisce in nulla dalla «monarchia
assoluta» (B. de Jouvenel). Siamo fermi allo Stato dei Sumeri (A. Toynbee). I
Romani chiamavano lo Stato «affari di tutti» (res publica»), ma esso, in
effetti, è stato sempre «affari di pochi» («res privata»). Non più i re, vicari
di Dio, governano i popoli. A loro si sono sostituiti i partiti politici, aborto
della borghesia. Forti della nuova «formula» politica, la sovranità popolare,
tramite ideologie-mito, si sono impossessate del potere.
Ogni setta, politica o religiosa, ha una sua ideologia, trappola mortale per
perpetuare la schiavitù dei popoli. Le ideologie, sbugiardate dalla storia,
hanno un comune denominatore: l'interesse economico. Dall'economia nasce la
politica, come dalla ricchezza nacque lo Stato. Per salvaguardare l'economia, è
giocoforza che la politica si riduca a gestione verticistica della cosa
pubblica, ad usurpazione dei poteri e della effettiva volontà della nazione. La
ideologia ipnotizza, abbaglia, acceca le masse, allettate da falsi miraggi, e le
riduce in schiavitù. Sembra che le ideologie si differenzino l'una dall'altra,
ma è solo illusione. Sono tutte identiche nella sostanza ed hanno un solo scopo:
il dominio dell'uomo sull'uomo.
Si credette per un momento che Lenin avesse distrutto i miti della storia, ma fu
lui stesso a sostituirli con una nuova mitocrazia, molto più feroce e disumana
delle precedenti, che chiamò «sovietismo». Lo stesso PCI, se si fosse posto
dalla parte dell'uomo, ed avesse smascherato la criminalità politicamente
organizzata, avrebbe potuto in qualsiasi momento conquistare il potere. Non
esiste organizzazione, politica o religiosa, che prediliga l'uomo. Non c'è setta
che non abbia come obiettivo il suo ingabbiamento, imbestialimento. Quando il
genere umano capirà questa amara verità, se la capirà, non gli resterà che
spazzare via le sette ipocrite e fraudolente, ed impedire con ogni mezzo che
rinascano dalla loro cenere sotto mentite spoglie.
La repubblica borghese, che Marx considerava «dittatura della borghesia» -per
differenziarla da quella del proletariato, ove esso avesse democraticamente
conquistato il potere-, è una «monarchia assoluta», peggiore di quella dei Luigi
di Francia. In questa, infatti, circolavano liberamente le idee
dell'Enciclopedia e si rese possibile la Rivoluzione.
La repubblica parlamentare è mafia, criminalità organizzata. Tutto è mafia:
religioni, Stati, partiti, sindacati, istituzioni. È in vendita, di B. de
Jouvenel, il libro "Del potere", edito da Mursia. Detesto i libri sociopolitici
pubblicati dagli editori del capitale. Ma questo, anche se da me parzialmente
condiviso, ha una sua validità ai fini dell'umanizzazione. Il prezzo è salato (L.
55.000) ed ha, per giunta, i fogli incollati, non cuciti. Ma il ministero dei
Beni Culturali non ha occhi. Li avrebbe, se la politica si differenziasse
dall'economia.
* * *
«Essere Italiani» significa appartenere alla stessa etnia, nazione, patria.
Essere consanguinei. Della stessa famiglia. La vastità del concetto implica la
genesi dello Stato. Sulla quale ci sono diverse teorie: del patriarcato, da
Aristotele a Vico, fino a P. Kaufmann; del matriarcato (Bachofen); della
monarchia magica (Frazer). La credenza nei miracoli è l'eredità magica della
preistoria. La famiglia è lo Stato in embrione (Aristotele, Rousseau, Bonald).
Da più famiglie unite da legame parentale nasce la comunità consanguinea. I capi
delle famiglie eleggono un capo (Filmer) o un senato (Locke, Rousseau, Vico).
Nella Scienza nuova, Vico dice che i padri (lat. «patres») chiamavano la
comunità «patria», cosa dei padri. E, tutelando sé stessi, tutelavano la
comunità, cioè la loro famiglia. Mazzini riteneva che la patria è la comunità,
in cui si è tutti fratelli, e che il territorio ne è la base. L'«essere
Italiani», comportando la mobilità delle classi sociali, esclude la società
chiusa, classista. Pertanto, non essendo stata mai l'Italia «aclassista»,
«essere Italiani» non è che una espressione eufemistica, patriottarda,
filocapitalista, che si pone sullo stesso piano demagogico di Stato, patria,
religione, «nomi vani, senza soggetto».
* * *
Il signor Vito Errico scrive che la mia lettera lo ha lasciato «perplesso e
preoccupato», e che a Pieve di Cento «non siamo andati per fare la rivoluzione.
Cosa troppo seria, la rivoluzione, per essere fatta così, senza mezzi come noi
siamo ...» ("L'Eco", 31.12.1991). Non ho mai pensato di andare a Pieve di Cento
per innalzare le barricate. La rivoluzione che intendo è prettamente
«ideologica». Stare, ma sul serio, dalla parte del popolo, del cittadino, e
smascherare impietosamente le malefatte del Potere. Dei partiti. Dei sindacati.
Di tutti. Questa, la mia rivoluzione. La quale è affatto estranea ai partiti di
regime, da loro volutamente ignorata. Dal 1957 medito, scrivo e mi batto come
meglio posso perché questa società, corrotta e corruttrice, venga catapultata. È
da mezzo secolo che l'Italia attende di essere liberata. È da cinquemila anni
che l'uomo è preda della schiavitù dei furbi. Non vedo, pertanto, chi o che cosa
dobbiamo aspettare. La storia è un susseguirsi di tradimenti e di violenze. Non
mi sento di condividere il giudizio negativo che il sig. Errico da sulla natura
dell'uomo. Può darsi che Rousseau avesse torto, ma penso che una risposta chiara
e decisiva potremo solo averla dopo che le masse avranno avuto accesso a quella
cultura che il Potere ha finora di proposito negata loro. Ed è questo Potere
irrazionale ed irresponsabile, bestiale, privo di cultura e di moralità, che
dobbiamo sconfiggere e bandire per sempre. Ma, per sconfiggerlo, bisogna
costituirsi in organismo politico. Solo attraverso l'organizzazione potremo fare
udire la nostra voce. Ed invertire il corso della storia. "Tabularasa" mi sta
bene, ma a patto che sappiamo riempirla di contenuti nuovi, non compromissori,
sconvolgenti. Diversi in assoluto da quelli del passato e del presente. Quanto
alle «azioni travolgenti ed impietose», est modus in rebus. Saremmo davvero
maldestri e sprovveduti se ci mettessimo nella condizione di passare, da
implacabili accusatori, ad accusati imperdonabili.
* * *
Se opere come il "De monarchia" di Dante o l'"Emilio" di Rousseau non vengono
più bruciate sulle pubbliche piazze, la plutocrazia, spacciatasi per democrazia,
non demorde dall'impedire la diffusione del libero pensiero. La «congiura» degli
editori del capitale non si limita a non pubblicare libri contrari al regime, ma
esigerebbe che i distributori, da loro economicamente dipendenti, non
distribuiscano volumi di tal genere. Dal momento che lo Stato ideologico non ha
legiferato in materia, è da presupporre una collusione tra «mafia editoriale» e
«mafia politica».
Necessita esplicitare quattro dati di fatto incontestabili:
1) dal crollo del fascismo gli editori rifiutano di pubblicare libri
destabilizzanti, che mettano in crisi le istituzioni della borghesia;
2) il lavoro dei distributori librarii è strettamente dipendente dalle case
editrici (niente libri, niente distribuzione);
3) i distributori ricusano di distribuire libri contro il regime;
4) il Parlamento, che con l'art. 16, ci, della Legge 5 agosto 1981, n. 416,
obbligò i distributori di giornali «a garantire il servizio di distribuzione a
tutte le testate che ne fanno richiesta», si è astenuto dal legiferare in
materia di distribuzione libraria.
Un meccanismo di dati concatenati che, in pratica, sostituendo metodi di censura
e di repressione oggi considerati controproducenti, impedisce la circolazione
del libero pensiero. Delle idee liberatrici. Ma chi è che terrorizza i trenta o
quaranta distributori, e che, indirettamente, legittima il terrorismo del
partito armato? Solo da un onesto non pilotato dibattito televisivo con i
distributori, a cui sarei lieto di partecipare in prima persona, potrebbe
scaturire una delle più scottanti e tragiche verità di questo regime illiberale,
ateo, dissacratore. La Politeia Editrice aveva capito subito che c'era qualcuno
che impediva la distribuzione di libri sgraditi al Potere. È riuscita, comunque,
a farsi accettare i libri da Gottardi (Bologna), The Courier (Firenze),
Distributrice Lombarda (Corsico). Ma questi distributori, accortisi del
contenuto, li hanno trattenuti per un anno guardandosi bene dal distribuirli. Se
la diffusione di un libro può risparmiarci la terza guerra mondiale, nucleare e
chimica, che potrebbe risolversi nella estinzione del pianeta Terra, essa è
impedita dalle «sette private» -economiche, politiche, religiose-, che hanno
usurpato con la frode il potere al legittimo detentorc, il popolo, ed instaurato
contro di esso l'Antistato.
Alfredo
Cresci
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