«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 1 (15 Febbraio 1992)

 

le opinioni

 

Riflessioni

 


Sette «private» -economiche, politiche, religiose e sindacali-, in combutta tra loro, si sono impossessate della nazione per gestirla secondo il proprio «particulare» ed appagare il desiderio di potenza, di cupidigia -l'agostiniana cupiditas dominandi-, che è nell'uomo. È nato così lo Stato moderno, antico quanto le piramidi egizie: classista, plutocratico, clerocratico, totalitario. La «democrazia totalitaria» (J. Talmon) non differisce in nulla dalla «monarchia assoluta» (B. de Jouvenel). Siamo fermi allo Stato dei Sumeri (A. Toynbee). I Romani chiamavano lo Stato «affari di tutti» (res publica»), ma esso, in effetti, è stato sempre «affari di pochi» («res privata»). Non più i re, vicari di Dio, governano i popoli. A loro si sono sostituiti i partiti politici, aborto della borghesia. Forti della nuova «formula» politica, la sovranità popolare, tramite ideologie-mito, si sono impossessate del potere.
Ogni setta, politica o religiosa, ha una sua ideologia, trappola mortale per perpetuare la schiavitù dei popoli. Le ideologie, sbugiardate dalla storia, hanno un comune denominatore: l'interesse economico. Dall'economia nasce la politica, come dalla ricchezza nacque lo Stato. Per salvaguardare l'economia, è giocoforza che la politica si riduca a gestione verticistica della cosa pubblica, ad usurpazione dei poteri e della effettiva volontà della nazione. La ideologia ipnotizza, abbaglia, acceca le masse, allettate da falsi miraggi, e le riduce in schiavitù. Sembra che le ideologie si differenzino l'una dall'altra, ma è solo illusione. Sono tutte identiche nella sostanza ed hanno un solo scopo: il dominio dell'uomo sull'uomo.
Si credette per un momento che Lenin avesse distrutto i miti della storia, ma fu lui stesso a sostituirli con una nuova mitocrazia, molto più feroce e disumana delle precedenti, che chiamò «sovietismo». Lo stesso PCI, se si fosse posto dalla parte dell'uomo, ed avesse smascherato la criminalità politicamente organizzata, avrebbe potuto in qualsiasi momento conquistare il potere. Non esiste organizzazione, politica o religiosa, che prediliga l'uomo. Non c'è setta che non abbia come obiettivo il suo ingabbiamento, imbestialimento. Quando il genere umano capirà questa amara verità, se la capirà, non gli resterà che spazzare via le sette ipocrite e fraudolente, ed impedire con ogni mezzo che rinascano dalla loro cenere sotto mentite spoglie.
La repubblica borghese, che Marx considerava «dittatura della borghesia» -per differenziarla da quella del proletariato, ove esso avesse democraticamente conquistato il potere-, è una «monarchia assoluta», peggiore di quella dei Luigi di Francia. In questa, infatti, circolavano liberamente le idee dell'Enciclopedia e si rese possibile la Rivoluzione.
La repubblica parlamentare è mafia, criminalità organizzata. Tutto è mafia: religioni, Stati, partiti, sindacati, istituzioni. È in vendita, di B. de Jouvenel, il libro "Del potere", edito da Mursia. Detesto i libri sociopolitici pubblicati dagli editori del capitale. Ma questo, anche se da me parzialmente condiviso, ha una sua validità ai fini dell'umanizzazione. Il prezzo è salato (L. 55.000) ed ha, per giunta, i fogli incollati, non cuciti. Ma il ministero dei Beni Culturali non ha occhi. Li avrebbe, se la politica si differenziasse dall'economia.

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«Essere Italiani» significa appartenere alla stessa etnia, nazione, patria. Essere consanguinei. Della stessa famiglia. La vastità del concetto implica la genesi dello Stato. Sulla quale ci sono diverse teorie: del patriarcato, da Aristotele a Vico, fino a P. Kaufmann; del matriarcato (Bachofen); della monarchia magica (Frazer). La credenza nei miracoli è l'eredità magica della preistoria. La famiglia è lo Stato in embrione (Aristotele, Rousseau, Bonald). Da più famiglie unite da legame parentale nasce la comunità consanguinea. I capi delle famiglie eleggono un capo (Filmer) o un senato (Locke, Rousseau, Vico). Nella Scienza nuova, Vico dice che i padri (lat. «patres») chiamavano la comunità «patria», cosa dei padri. E, tutelando sé stessi, tutelavano la comunità, cioè la loro famiglia. Mazzini riteneva che la patria è la comunità, in cui si è tutti fratelli, e che il territorio ne è la base. L'«essere Italiani», comportando la mobilità delle classi sociali, esclude la società chiusa, classista. Pertanto, non essendo stata mai l'Italia «aclassista», «essere Italiani» non è che una espressione eufemistica, patriottarda, filocapitalista, che si pone sullo stesso piano demagogico di Stato, patria, religione, «nomi vani, senza soggetto».

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Il signor Vito Errico scrive che la mia lettera lo ha lasciato «perplesso e preoccupato», e che a Pieve di Cento «non siamo andati per fare la rivoluzione. Cosa troppo seria, la rivoluzione, per essere fatta così, senza mezzi come noi siamo ...» ("L'Eco", 31.12.1991). Non ho mai pensato di andare a Pieve di Cento per innalzare le barricate. La rivoluzione che intendo è prettamente «ideologica». Stare, ma sul serio, dalla parte del popolo, del cittadino, e smascherare impietosamente le malefatte del Potere. Dei partiti. Dei sindacati. Di tutti. Questa, la mia rivoluzione. La quale è affatto estranea ai partiti di regime, da loro volutamente ignorata. Dal 1957 medito, scrivo e mi batto come meglio posso perché questa società, corrotta e corruttrice, venga catapultata. È da mezzo secolo che l'Italia attende di essere liberata. È da cinquemila anni che l'uomo è preda della schiavitù dei furbi. Non vedo, pertanto, chi o che cosa dobbiamo aspettare. La storia è un susseguirsi di tradimenti e di violenze. Non mi sento di condividere il giudizio negativo che il sig. Errico da sulla natura dell'uomo. Può darsi che Rousseau avesse torto, ma penso che una risposta chiara e decisiva potremo solo averla dopo che le masse avranno avuto accesso a quella cultura che il Potere ha finora di proposito negata loro. Ed è questo Potere irrazionale ed irresponsabile, bestiale, privo di cultura e di moralità, che dobbiamo sconfiggere e bandire per sempre. Ma, per sconfiggerlo, bisogna costituirsi in organismo politico. Solo attraverso l'organizzazione potremo fare udire la nostra voce. Ed invertire il corso della storia. "Tabularasa" mi sta bene, ma a patto che sappiamo riempirla di contenuti nuovi, non compromissori, sconvolgenti. Diversi in assoluto da quelli del passato e del presente. Quanto alle «azioni travolgenti ed impietose», est modus in rebus. Saremmo davvero maldestri e sprovveduti se ci mettessimo nella condizione di passare, da implacabili accusatori, ad accusati imperdonabili.

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Se opere come il "De monarchia" di Dante o l'"Emilio" di Rousseau non vengono più bruciate sulle pubbliche piazze, la plutocrazia, spacciatasi per democrazia, non demorde dall'impedire la diffusione del libero pensiero. La «congiura» degli editori del capitale non si limita a non pubblicare libri contrari al regime, ma esigerebbe che i distributori, da loro economicamente dipendenti, non distribuiscano volumi di tal genere. Dal momento che lo Stato ideologico non ha legiferato in materia, è da presupporre una collusione tra «mafia editoriale» e «mafia politica».
Necessita esplicitare quattro dati di fatto incontestabili:
1) dal crollo del fascismo gli editori rifiutano di pubblicare libri destabilizzanti, che mettano in crisi le istituzioni della borghesia;
2) il lavoro dei distributori librarii è strettamente dipendente dalle case editrici (niente libri, niente distribuzione);
3) i distributori ricusano di distribuire libri contro il regime;
4) il Parlamento, che con l'art. 16, ci, della Legge 5 agosto 1981, n. 416, obbligò i distributori di giornali «a garantire il servizio di distribuzione a tutte le testate che ne fanno richiesta», si è astenuto dal legiferare in materia di distribuzione libraria.
Un meccanismo di dati concatenati che, in pratica, sostituendo metodi di censura e di repressione oggi considerati controproducenti, impedisce la circolazione del libero pensiero. Delle idee liberatrici. Ma chi è che terrorizza i trenta o quaranta distributori, e che, indirettamente, legittima il terrorismo del partito armato? Solo da un onesto non pilotato dibattito televisivo con i distributori, a cui sarei lieto di partecipare in prima persona, potrebbe scaturire una delle più scottanti e tragiche verità di questo regime illiberale, ateo, dissacratore. La Politeia Editrice aveva capito subito che c'era qualcuno che impediva la distribuzione di libri sgraditi al Potere. È riuscita, comunque, a farsi accettare i libri da Gottardi (Bologna), The Courier (Firenze), Distributrice Lombarda (Corsico). Ma questi distributori, accortisi del contenuto, li hanno trattenuti per un anno guardandosi bene dal distribuirli. Se la diffusione di un libro può risparmiarci la terza guerra mondiale, nucleare e chimica, che potrebbe risolversi nella estinzione del pianeta Terra, essa è impedita dalle «sette private» -economiche, politiche, religiose-, che hanno usurpato con la frode il potere al legittimo detentorc, il popolo, ed instaurato contro di esso l'Antistato.
 

Alfredo Cresci

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