«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 1 (15 Febbraio 1992)

 

La politica, oltre i partiti

 


La Politica oltre i partiti. Questo il tema di un recentissimo incontro, in Calabria, durante il quale abbiamo tentato di analizzare le cause e gli effetti dell'attuale crisi del sistema politico italiano, individuando alcune coordinate «strategiche», lungo le quali -a nostro avviso- dovrebbero muoversi tutte le forze autenticamente antagoniste, per avviare e guidare un concreto processo di cambiamento. Oltre, ben oltre, gli schemi attuali. Oltre ogni tentazione di risposta «debole» e parziale. Vincendo, finalmente, le paure e le pigrizie antiche, per oltrepassare il vuoto e costruire il nuovo. Dunque, i partiti. Questi «nostri» partiti. Rumorosi ed ingombranti carrozzoni che hanno segnato mezzo secolo di storia nazionale, condizionando la vita pubblica e, persino, quella privata; calpestando ed umiliando gli stessi princìpi e valori cui affermavano -ed affermano- di richiamarsi; progressivamente trasformando la stessa «democrazia» in una sorta di inattaccabile alibi: il «luogo» ideologico e culturale all'interno del quale perpetrare corruzioni ed abusi, lottizzazioni e clientele, spartire tangenti ed affari. Questi partiti: architrave di un sistema di potere, politico ed economico, che -durante un dopoguerra che stenta a concludersi- è passato con cinica e spietata disinvoltura da un cadavere eccellente all'altro, da una strage ad un massacro, da una «deviazione» ad un depistaggio, utilizzando strateghi della tensione, gladiatori, piduisti e mafiosi, generali e caporali dei «servizi», interni ed internazionali, prostituendo ogni sentimento di indipendenza e di dignità del nostro popolo, lacerando il tessuto connettivo della Comunità nazionale.
I partiti: quelli vecchi, molti dei quali intenti in grossolane operazioni di maquillage, e quelli nuovi, emergenti. Proviamo ad elencarli: tre o quattro Leghe, oltre quella di Bossi; il partito degli onesti; quello dei referendum; la Rete; gli antiproibizionisti; gli automobilisti; gli autonomisti; gli animalisti; i sudtirolesi; i federalisti; le casalinghe; i pensionati; i cacciatori; i seguaci di Pisanò; gli amanti di Moana ed i delusi di Cicciolina; i radicali più o meno transnazionali e transpartitici; i Verdi; i liberali; i repubblicani; gli scalfariani, i missini di Fini in via di trasformazione nell'annunciata «Agency for President»; altri picconatori sciolti capitanati da ex ambasciatori; i socialdemocratici; i comunisti rifondati e i comunisti rinnegati; oltre, ovviamente, ai due Moloch del partitismo nostrano il PSI, l'anticamera, e la DC, lo Stato.
Sono, salvo errori di calcolo per difetto, circa trenta i partiti e partitini che dichiarano di essere in corsa per qualche scanno nell'Assemblea che si annuncia neo-costituente. Quanti arriveranno al traguardo è presto per dirlo, ma si può scommettere fin d'ora che non saranno meno di venti. Frammentazione. Disintegrazione. Macerie fatiscenti di un impero che crolla. Una Babele di sigle, di simboli e lingue.
Tutto scontato, allora? Sarà poi vero che il 5 aprile -per come in tanti si augurano- sarà celebrato l'ultimo rito, quello sacrificale, della partitocrazia?
In politica, nulla è mai scontato. Gli scenari di oggi potrebbero non essere quelli di domani. Anche perché -ed è questo il punto!- all'interno del «sistema» si sta giocando, per come dimostrano le cronache di questi giorni ed anche di queste ultime ore, una partita spietata, senza esclusione di colpi e dagli esiti non necessariamente prevedibili.
Dietro l'apparente -e fuorviante- divisione tra un blocco di conservazione, accreditato di riformismo e guidato da Cossiga, ed uno di «progresso» che comprenderebbe settori del partito cattolico e del PDS di Occhetto, c'è -a nostro avviso- una lotta per la sopravvivenza, tutta interna al potere. Si fronteggiano pezzi del potere politico e del mondo finanziario; pezzi di massoneria; apparati burocratici; vertici istituzionali; settori della magistratura. Uno scontro durissimo. Una partita sporca nella quale ci son dentro tutti: picconatori e picconati, gli uni e gli altri in piena crisi di panico per la possibile perdita di privilegi e prebende, ricchezze ed onori.
Tutti: burattinai e pupi, governatori ed ascari.
E dall'altra parte? In quell'universo variegato -e fin qui velleitario- di movimenti alternativi, di gruppi e gruppetti, di partitucoli emergenti attentissimi a consolidare posizioni minoritarie? Che accade dall'altra parte? Quali obiettivi? Quali strategie? È arrivata anche lì, inarrestabile e devastante, l'omologazione? Possibile che non si capisca che è questo il momento di maggiore debolezza ed instabilità di un potere, diventato «regime», che finirà per stabilizzarsi ancora utilizzando -ove non bastassero ulteriori, sanguinose, «casualità», sempre dietro l'angolo- le miopie, le paure, i pregiudizi, i tabù, le debolezze culturali e programmatiche dei suoi tanti -troppi!- oppositori.
Le aggregazioni nuove, le fascinose alleanze. Contro i partiti, oltre «questi» partiti. Ecco la sfida. Avendo ben presente, da un lato, le lezioni della Storia -che ci ha regalato in questi ultimi, indimenticabili anni, vicende di portata davvero rivoluzionaria. A cominciare dalla fine del Comunismo e dal crollo dei Muri!- e, dall'altro, dei tempi della Politica, quella con la maiuscola, che non ammette ritardi, né perdona negligenze.
C'è, nella gente, forse per la prima volta in circa un cinquantennio, una grande voglia di nuovo, una ritrovata speranza, dopo lustri di rassegnazione. Qualcosa si muove, sia pure lentamente, in quella società civile non sempre -e non del tutto ancora- immune da responsabilità e complicità con il potere dominante e le sue tante sirene. Dar voce a quest'ansia di cambiamento e rinnovamento, riscoprendo discriminanti culturali forti e ponendole alla base delle convergenze possibili.
Questa la scommessa. Questo il compito ambizioso ed esaltante che possono e debbono darsi tutti quelli che non ci stanno e che desiderano davvero «costruire un pezzo di società cambiata».

 

Beniamino Donnici

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