«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 1 (15 Febbraio 1992)

 

Disimpegnarsi

 


Mentre lo scenario politico mondiale si fa interessante per le situazioni che produce, il panorama politico italiano s'offusca d'ogni sorta di pulviscolo irritante. Bush va in Giappone, sviene, vomita e torna con le pive nel sacco. La nazione, spianata dalle bombe atomiche dell'«Enoia Gay» perse la guerra ma ha vinto la pace. Il cow boy della massoneria petrolifera è attaccato ai fianchi dal suo agglomerato multirazziale, che dopo la «vittoria» nel deserto mediorientale, fa i conti con i quaranta milioni di morti di fame, che popolano gli States, con gli indici di disoccupazione che salgono alle stelle, con le privazioni che aumentano quotidianamente in quel che fu il Regno dell'Opulenza e del Consumismo.
La Germania ha ripreso il suo ruolo di asse portante dell'Europa continentale; Kohl reclama a viva voce per la sua nazione quello che quarant'anni di occupazione alleata non è riuscito a sfibrare. Anche la Germania perse la guerra ed ha vinto la pace.
Le finzioni geopolitiche, create nel primo ventennio del secolo, si stanno sfarinando, appena recisi i reticolati che la tenevano insieme. La Jugoslavia titoista e l'Unione Sovietica stalinista non esistono più. La Slovenia e la Croazia resistono eroicamente alle spallate dell'ultima oligarchia comunista. L'Esercito di Liberazione irlandese assesta colpi su colpi all'apparato di occupazione britannico, portando l'attacco nel cuore della City londinese. I media, asserviti all'imperialismo occidentale, seguitano a parlare di attacchi «terroristici» ma la Patria è di chi sa conquistarsela.
Solo l'Italia ha perso guerra e pace e le sue cronache sono di uno squallore unico. I liquami che grondano copiosi dai muri sbrecciati di casa nostra non costituiscono che l'essudato di un ammasso di carni putrescenti. Che noia, questo Cossiga, che sparla ad ogni pie' sospinto, minacciando rivelazioni di fatti che si dimostrano alla verifica insulsi e melensi. Ci dica piuttosto perché e su ordine di chi fu ucciso Moro!
Che miseria quel «Partito del Presidente» che regge il moccolo in maniera ignominiosa. Burattini della storia, disonorati della politica. Scemi.
Quando si pretende di essere depositari d'un retaggio storico, che ebbe drammi sanguinosi, e si finisce per magnificare colui il quale ritiene e pubblicamente afferma che quella tragedia costituì «una sbagliata concezione del loro dovere» e «un errato apprezzamento della realtà storica» non si può essere altro che quello che si è. Scemi.
E mentre il palcoscenico s'infittisce di idioti, di paranoici e di furbastri che pretenderebbero di ricondurci fra poche settimane a celebrare gli ennesimi «ludi cartacei» di questa democrazia mafiosa, nella quale sguazzano i politicanti malavitosi e arrembanti della partitocrazia camorristica, dobbiamo dire, per chiarezza, come s'intende comportarci.
Noi vantiamo un primato: quello di essere sempre stati all'opposizione. Di essere l'Opposizione, anche quando militavamo in organizzazioni che la praticavano soltanto di facciata.
Cosa ci è capitato in questi anni? Vedevamo il fango montare, notavamo i gaglioffi «salire» ma poi, perché avevamo un amico, al quale non si può dire di no, ci turavamo montanellianamente il naso e andavamo alle urne. Per tutta la vita è stato così per noi. In nome di un interesse «superiore». E in virtù di quell'interesse saliva la mota e montavano i mascalzoni.
Ora non può più essere così; non possono più esserci «amici»; non esistono più «interessi». Guai se ci si facesse riprendere da falsi sentimentalismi. Ricominceremmo a masturbarci. Dobbiamo invece sceverare i fattori personali da quelli politici.
Già si pongono i primi interrogativi e si effettuano le prime considerazioni. Non votare è inutile, si dice: circa mille persone siederanno in Parlamento, sia che si vada alle urne in tanti, sia che si vada in pochi. E poi, si continua, il voto è dovere civico. Chi è al servizio dello Stato, non può esimersi, eccetera, eccetera, eccetera.
Queste giaculatorie, questi ragionamenti piccolo-borghesi non ci devono toccare. La democrazia è un metodo di reggimento dei popoli in un globo terracqueo in cui tutto è relativo. E chi non va alle urne, non viene privato della propria libertà. Si tratta invece di scindere le responsabilità morali che si hanno nel delegare a un coacervo d'individui la rappresentanza della propria personalità politica e della moralità individuale.
In Italia s'è instaurato un sistema di cricche affaristiche che si legittima dietro la nomina riveniente dal voto. A fronte di una situazione incancrenita non c'è soluzione medicamentosa che possa risanare i bubboni purulenti. Seppure esistono nell'ambito dei consessi malavitosi della democrazia soggetti moralmente qualificati, essi restano irrimediabilmente stritolati dalle logiche mafiose di sistema e risultano pertanto impossibilitati a svolgere qualsiasi funzione antiflogistica. Sono cioè inutili. Non mandandoli, li liberiamo dalle frustrazioni di un ruolo che non possono, pur volendolo, svolgere. È per ovviare a tutte queste situazioni incresciose che è necessario tenersi lontano dai «ludi cartacei». L'elettoralismo non è il nostro destino.
Questo atteggiamento è necessario anche in ordine ad altre considerazioni che merita effettuare. La caduta della cortina di ferro ha prodotto una serie di effetti, dei quali assistiamo solo all'origine del dipanarsi. Con il dirupo dei muri si sono liberate le coscienze, per lustri ingabbiate fra le sbarre ideologiche. La storia ha cessato la logica di Yalta. Ma non siamo pervenuti alla soluzione dei mille problemi che assillano il mondo.
Per quanto si riferisce alla consistenza del nostro popolo, c'è da rimarcare un allargamento del divario fra nord e sud dell'Italia. Quarantacinque anni di potere democristiano hanno prodotto profonde lacerazioni nel tessuto nazionale. Le varie Leghe non sono la causa ma l'effetto di una politica liberaldemocratica che ha spampanato, atomizzato la comunità nazionale. Le condizioni socio-economiche del Nord e del Sud presentano differenze laceranti. Ci sarà pure un motivo ed esisteranno anche responsabilità; dove cercarle se non nel sistema di potere democristiano?
È allora necessario concentrare gli sforzi nel combattere questa peste nazionale. Pia illusione sarebbe pretendere che il Partito-Stato naufraghi mediante sistemi elettorali, nei quali si è formato e nuota agevolmente. La Balena Bianca ha sempre guadagnato al Sud ciò che perdeva al Nord. Le cause non risiedono in caratteristiche etnologiche bensì sulla filosofia del potere, che si è retto su una mistificazione: l'esistenza di una opposizione che ne legittimava l'esercizio. Ciò è quanto di più falso ci sia potuto essere. L'opposizione, qualsiasi opposizione, è sempre stata di facciata. Il Partito Comunista s'è retto su un sottogoverno, che tramite la Lega delle Cooperative, i Sindacati, le Camere del Lavoro, le Presidenze parlamentari, la dirigenza di commissioni ha succhiato linfa dalle stesse mammelle. In Italia sul duopolio DC-PCI s'è riprodotta la diarchia USA-URSS.
Delle altre «opposizioni» è meglio tacere: centro addestramento reclute per conservatori, reazionari, golpisti, servi dell'Impero a stelle e strisce. La riprova sta nell'accaduto di questi giorni. Capi delle grandi centrali diventano ministri e grandi boiardi di Stato. Generali felloni, pretoriani insozzati nelle paludi mefitiche di servizi segreti inaffidabili, circumnavigano l'emiciclo di Montecitorio.
Ed è quella legittimazione che bisogna eliminare dal sistema di potere democristiano. Distrutte le «opposizioni» di facciata, cadrà il partito-Stato. Ma per far questo occorre astenersi. Qualsiasi travaso di voti, qualsiasi sentimentalismo fa il gioco del potere.
L'opposizione, quella vera, deve ricrearsi nelle piazze, sui posti di lavoro, nelle case. Siamo strangolati da mostri famelici, che conducono un'esistenza dissoluta, abbondantemente ingrassati dalla locupletazione che il regime permette in nome di una supposta democrazia. In altri tempi e con altri uomini si sarebbe messo mano al bastone. Oggi, infiacchiti dalla pancia piena, possiamo soltanto segare i pilastri. L'architrave rovinerà.
 

 

Vito Errico

Indice