«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 1 (15 Febbraio 1992)

 

Una vetrina per il dibattito

 


Considero gli amici del compianto, mai troppo compianto, Beppe Niccolai amici miei, pur appartenendo ad un'area di cultura politica diversa dalla loro. Molto volentieri, quindi, rispondo positivamente all'invito di Antonio Carli di contribuire, con un modesto scritto, all'inaugurazione di "Tabularasa", periodico di radice versiliese che nasce con l'intenzione razionalmente ambiziosa di essere una vetrina qualificata di un dibattito a tutto campo che superi, se non ignori, l'attualità strettamente intesa, a cominciare da quella elettorale.
Essendomi sentito solo telefonicamente con Carli e con Bernardi Guardi non so molto della pubblicazione cui invio queste noterelle. Tuttavia sia il senso della testata, sia le parole rapidamente scambiate con loro, sia il pensiero politico e l'esperienza politica e umana di Beppe che conosco nelle grandi linee, mi consentono di intuire di cosa si tratta. E pertanto dovrei essere in grado di produrre qualche idea che, naturalmente, avanzo non soltanto in spirito di purissima solidarietà, ma senza la pretesa che venga accettata.
Ciò premesso, anzitutto raccomanderei ai promotori di "Tabularasa" di aprirsi senza riserve al dibattito, al confronto, al dialogo, con tutte le realtà politico-culturali caratterizzate da una forte adesione popolare, in primo luogo con quelle della Sinistra. E, pur non facendomi velo alcun patriottismo di partito, suggerirei di iniziare con i socialisti, se non altro perché all'inizio degli Anni Ottanta dal PSI vennero i primi segnali di una qualche disponibilità a non pregiudizialmente delegittimare il movimento da cui hanno origine i «niccolaiani» (si può dire così?); ed anzi a «colloquiare», in certo qual modo e misura, fermo restando le distinzioni.
So bene che non sempre questo quasi rapporto fu impostato nel modo giusto, adeguatamente, con la determinazione necessaria, con la continuità richiesta dalla complessità, difficoltà, delicatezza dell'operazione. Tanto che, poi, tutto finì per spegnersi, salvo contatti sottobanco -e, quindi, in chiave di sottopolitica- con questo o quel notabile missino, autoqualificantesi «filo-socialista» nel tentativo di lucrare qualche simpatia atta a farlo sopravvivere alla morte annunciata della cosiddetta «destra nazionale», costantemente vulnerata da qualche tempo in qua da seri salassi elettorali.
Ma ad onta di ciò il PSI resta pur sempre la forza democratica da cui sono scaturiti, un paio di lustri orsono, i fascicoli di "Critica Sociale" dedicati al Socialismo Tricolore. E le tante propensioni confrontuali. Per esempio, felicemente regnante a "l'Avanti!" Antonio Ghirelli, gli spazi concessi -con eccezionale spirito libertario- a interventi ritenuti di «destra». Inoltre, sempre sul quotidiano ufficiale, alcune puntate di un mio saggio su Mussolini, svolto in chiave «laica». Fuori ed oltre, cioè, le noiose e banali beatificazioni neofasciste e le altrettanto stucchevoli e controproducenti demonizzazioni autoritariamente pretese da settori intellettuali della Sinistra, dimentichi di un azzeccatissimo monito di Marx: «Solo la verità è rivoluzionaria».
Ancora: la partecipazione intensa e costante di esponenti socialisti -penso a Salvo Andò, a Salvatore Lauricella, a Biagio Marzo, ad Antonio Landolfi, a Luciano Pellicani, al summentovato Ghirelli e tanti altri- a tavole rotonde, convegni, simposi con esponenti di una vera (in parte) o presunta sinistra missina.
E perché non ricordare la firma apposta in calce a petizioni ispirate a una linea di tutela dei «diritti» -sia civili che umani-, promosse a fini di protezione di personaggi «neri» (Paolo Signorelli, per citarne uno) interni o esterni alla Fiamma missina?
Infine, va onestamente richiamata la cornice in cui sia pur timidamente, incompletamente, inadeguatamente fiorirono i Garofani Tricolori: la fermezza -certo responsabile e prudente, ma permeata di intransigenza- con cui Bettino Craxi difese i valori della dignità, dell'onore, della sovranità nazionale contro l'arroganza degli americani nella perigliosa crisi di Sigonella. Un'attitudine indubbiamente preparata, a livello psicologico prima che ideologico, dal recupero all'area socialista ufficiale, vivente, attiva, di figure eminenti del socialismo nazionale quali Cesare Battisti e Leonida Bissolati.
La mia proposta, dicevo, è di iniziare e, quindi, proseguire in spirito di continuità col PSI, anche se in esso possono manifestarsi cose, episodi, fenomeni, costumi che, francamente, non piacciono neppure a me. Poi, segnalavo, c'è il resto della Sinistra.
E tanto per restare alle sue componenti storiche -certo preponderanti, pur se i raggruppamenti quantitativamente minori non appaiono privi di significativa rappresentatività- dichiaro subito che, fossi al posto degli amici di "Tabularasa", non mi asterrei dal tentare un dialogo anche con il partito di Achille Occhetto, nonostante che sui temi che ci interessano costoro siano, come il vecchio PCI, ben poco incoraggianti. Dimentichi, par di capire, che il dialogo con i «fascisti» è collocato pienamente nella loro tradizione fin dal 1937, con il famoso «Appello ai fratelli in camicia nera». Evidentemente, una eccessiva «discontinuità» occhettiana -in questo caso di sapore più azionista che gramsciano- è valsa a infliggere un vulnus ad una strategia la cui applicazione aveva, illo tempore, concorso in misura non indifferente a fare del PCI un partito di massa.
Per debito di onestà intellettuale rilevo che quando dentro e fuori Botteghe Oscure ferveva, affocato, lo scontro relativo al seppellimento o meno del marxismo-leninismo, dallo spazio politico-culturale che definisco «nazional-popolare» -proprio non saprei come altrimenti chiamarlo- non è giunta alcuna iniziativa diretta a «condizionare», per così dire, la riconversione del moribondo partito comunista in un modello più prossimo a quello da esso vagheggiato.
In fondo, Antonio Gramsci -l'autore dei "Quaderni del carcere", non il leader del PCdl- venne in evidenza quale teorizzatore della concezione «nazional-popolare», come presentatore con simpatia, ed anche costruttivamente, di figure del calibro e del significato di Gioberti, di Oriani, di Corradini, di Cena etc. Consiglierei, in proposito, agli amici di "Tabularasa", di rileggere "Scrittori e Popolo - Saggio della letteratura populista in Italia", di Alberto Asor Rosa.
Vorrei aggiungere che quell'azione mancò proprio mentre fra i più disparati ambienti della militanza ideologica si gareggiava per far sì che l'imminente PDS da loro acquisisse la maggior quota possibile di riflessione teorica. Di un altro grande partito di vasto radicamento popolare, cioè la Democrazia Cristiana, parlerei prossimamente. Sempre che, s'intende, gli amici versiliesi intendessero offrirmene l'occasione.

 

Enrico Landolfi

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