le opinioni
Ancora su Keyserling
E allora, giacché Ghiron l'ha tirato in ballo, ragioniamo un altro po' di
Keyserling.
La sua rivoluzione mondiale viene dopo gli «entretien» sull'avvenire dello
spirito europeo e dopo l'analisi spettrale dell'Europa -e questo non vorrebbe
dir niente: ma viene anche dopo gli scritti di Benda, di Valéry, di Maritain, di
Burzio- e questo comincia a essere grave. È possibile che noi italiani, che
siamo tanto suscettibili da rimproverare ad un autore nostro mancanza d'idee
quando con una sola di queste ci scrive più di un libro, tolleriamo poi un
perpetuantesi caso straniero su un ritornello di motivo unico e elementare?
Ormai questo ritornello lo abbiamo imparato a memoria e Keyserling e il suo
libro non ci hanno detto niente di nuovo. Ci hanno detto solo che anche questi
spiritualisti, che sin qui si son difesi con lo strattagemma dello struzzo, si
son decisi finalmente ad aprire gli occhi e a riconoscere la realtà. Il libro di
Keyserling vale solo come indice di una rassegnazione che va diventando stato
d'animo generico in quegli elementi che mi piacerebbe definire i nemici, o
meglio le antitesi del secolo; quegli elementi che, contrapponendo spirito a
politica, vedono nel trionfo di questa una decadenza irrimediabile della civiltà
occidentale.
Cosa ci sia in fondo a questa difesa dello spirito, è chiaro: c'è quella difesa
dell'individualismo, che alcuni ameni autori d'Oltralpe vogliono gabellarci per
difesa della personalità. E in questa difesa dell'individualismo dovrebbe
consistere, secondo loro, la difesa della civiltà occidentale. È venuta l'ora
che noi italiani prendiamo risolutamente di petto questi signori e chiediamo
loro una chiarificazione d'idee. Italiani e stranieri, fascisti e non fascisti
(perché ormai possiamo dividere l'intera umanità in queste due categorie), siamo
tutti d'accordo che la civiltà occidentale va difesa. Ma, ahimè, quando si
tratta di stabilire quali sono gli elementi su cui è basata e che occorre quindi
puntellare, la scissione si rende inevitabile: da una parte Roma, dall'altra il
resto del mondo; da una parte noi Fascisti, dall'altra gli anti e gli
a-fascisti. Ecco perché, invalsa una certa concezione di «Europa» assolutamente
estranea e inassimilabile dal nostro carattere, c'è stato in Italia un movimento
antieuropeo oggi in via di languire per il diroccare quotidiano e accelerato di
quella tale Europa di cui sopra. Keyserling e altri rappresentanti di certo
sedicente spirito europeo se lo mettano bene in testa: o recedono e accettano
una concezione romana dell'Europa o provocheranno, con la nostra decisa
ostilità, una scissione fatale che, data la particolare tempra fascista, non
potrà in nessun caso limitarsi a un campo soltanto ideale.
Torniamo a Keyserling e al suo ribrezzo per l'homo politicus. Per cui l'homo
politicus si confonde col nazionalista — e è naturale che per lui sia così. Dato
il concetto ch'egli ha di politica è logico ch'egli debba raccapricciarne.
Questo Carneade in miniatura vede nella politica il trionfo del particolare
sull'universale. E dietro il suo gorgheggio crepuscolare ronfano i contrabbassi
accompagnatori di Croce e di Benda.
Ma che cos'è l'universale per Keyserling? Se glielo chiedete, vi darà la
definizione del Cosmopolita. E allora, se noi ammettiamo la identità di questi
termini, dobbiamo dargli ragione: se l'universalità corrisponde a
cosmopolitismo, l'homo politicus che, per diventare tale, è costretto a darsi
una forma cioè, in un certo senso, a limitarsi, deve rinunziare
all'universalità.
E questo è appunto il ragionamento sbagliato su cui Keyserling imposta il
problema. Per lui l'uomo non ha che due vie davanti a sé: o politicizzarsi e
quindi rassegnarsi al particolarismo nazionalista, o spiritualizzarsi e
raggiungere un valore cosmopolita. Che possa anche assurgere a un'universalità
attraverso la sua politicizzazione a Keyserling non passa nemmeno per la testa.
Per lui il nazionalismo è quello di Barrès, nazionalismo fine a sé stesso;
inteso alla creazione di minorenni autosufficienti. Gli è sfuggita -a quest'uomo
che pure fa l'osservatore di mestiere- l'esperienza fascista che è giusto lì, a
dimostrare come, proprio attraverso la politicità dell'uomo e la sua prima
conseguenza nazionalista, si possa giungere all'universale. Gli è sfuggito -a
lui studioso della civiltà neo-latina sudamericana- il significato della
romanità. Gli è sfuggita soprattutto la trasvalutazione del nazionalismo quale
la Rivoluzione l'ha compiuta e tale che il nazionalismo stesso, divenutovi
soltanto elemento integratore e primo gradino, vi ha mutato radicalmente volto e
nulla più lo lega a quel suo antenato del secolo scorso, semplice antitesi e
statica opposizione.
Tiriamo le somme.
Ghiron dice che Keyserling è lontano dal Settecento. Infatti è del più maturo
Ottocento -e ci resta. Fa la critica del suo secolo, ma non lo trascende. Se
bastasse rinnegare una civiltà per superarla, niente sarebbe meno ottocentesco
di tutto il romanticismo post-nietzschiano e di tutto il nazionalismo
pre-fascista. Infatti egli parla di una degenerazione intellettuale e auspica un
ritorno: terminologia simbolica, come anche ai vari Croce e ai vari Benda.
Rimettiamo Keyserling al suo posto, tra gli Epigoni di una tradizione
protestante che agonizza, che anzi è già morta. Di questo cadavere egli fa un'
autopsia abbastanza chiara, ma tardiva per la maturità di coscienza di un
fascista. Riprova e conferma di quanto già pensavamo: che in certa
roccaforte-lumière i lumi si sono spenti e che bisognerà che si accendano
altrove se si vuole nel mondo un po' di chiarore.
Indro
Montanelli
Non se ne dispiacerà, il dott.
Montanelli, se ci permettiamo pubblicare alcune considerazioni filosofiche dei
suoi anni giovanili — quando poteva dettare certezze con la «maturità di
coscienza di un fascista». Per noi il boccone era troppo ghiotto e, tra l'altro,
pensiamo sia un inedito.
Capitato, per caso, tra le mani
di un amico mentre sfogliava un vecchio libro che tratta argomenti esoterici.
L'originale, ovvero una copia su velina, è in nostro possesso.
Poiché sappiamo che il dott.
Montanelli non si è mai preoccupato di custodire i suoi antichi scritti, qualora
lo desiderasse, saremmo ben lieti inviargliene copia.
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