«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 1 (15 Febbraio 1992)

 

le opinioni

 

Ancora su Keyserling

 


E allora, giacché Ghiron l'ha tirato in ballo, ragioniamo un altro po' di Keyserling.
La sua rivoluzione mondiale viene dopo gli «entretien» sull'avvenire dello spirito europeo e dopo l'analisi spettrale dell'Europa -e questo non vorrebbe dir niente: ma viene anche dopo gli scritti di Benda, di Valéry, di Maritain, di Burzio- e questo comincia a essere grave. È possibile che noi italiani, che siamo tanto suscettibili da rimproverare ad un autore nostro mancanza d'idee quando con una sola di queste ci scrive più di un libro, tolleriamo poi un perpetuantesi caso straniero su un ritornello di motivo unico e elementare? Ormai questo ritornello lo abbiamo imparato a memoria e Keyserling e il suo libro non ci hanno detto niente di nuovo. Ci hanno detto solo che anche questi spiritualisti, che sin qui si son difesi con lo strattagemma dello struzzo, si son decisi finalmente ad aprire gli occhi e a riconoscere la realtà. Il libro di Keyserling vale solo come indice di una rassegnazione che va diventando stato d'animo generico in quegli elementi che mi piacerebbe definire i nemici, o meglio le antitesi del secolo; quegli elementi che, contrapponendo spirito a politica, vedono nel trionfo di questa una decadenza irrimediabile della civiltà occidentale.
Cosa ci sia in fondo a questa difesa dello spirito, è chiaro: c'è quella difesa dell'individualismo, che alcuni ameni autori d'Oltralpe vogliono gabellarci per difesa della personalità. E in questa difesa dell'individualismo dovrebbe consistere, secondo loro, la difesa della civiltà occidentale. È venuta l'ora che noi italiani prendiamo risolutamente di petto questi signori e chiediamo loro una chiarificazione d'idee. Italiani e stranieri, fascisti e non fascisti (perché ormai possiamo dividere l'intera umanità in queste due categorie), siamo tutti d'accordo che la civiltà occidentale va difesa. Ma, ahimè, quando si tratta di stabilire quali sono gli elementi su cui è basata e che occorre quindi puntellare, la scissione si rende inevitabile: da una parte Roma, dall'altra il resto del mondo; da una parte noi Fascisti, dall'altra gli anti e gli a-fascisti. Ecco perché, invalsa una certa concezione di «Europa» assolutamente estranea e inassimilabile dal nostro carattere, c'è stato in Italia un movimento antieuropeo oggi in via di languire per il diroccare quotidiano e accelerato di quella tale Europa di cui sopra. Keyserling e altri rappresentanti di certo sedicente spirito europeo se lo mettano bene in testa: o recedono e accettano una concezione romana dell'Europa o provocheranno, con la nostra decisa ostilità, una scissione fatale che, data la particolare tempra fascista, non potrà in nessun caso limitarsi a un campo soltanto ideale.
Torniamo a Keyserling e al suo ribrezzo per l'homo politicus. Per cui l'homo politicus si confonde col nazionalista — e è naturale che per lui sia così. Dato il concetto ch'egli ha di politica è logico ch'egli debba raccapricciarne. Questo Carneade in miniatura vede nella politica il trionfo del particolare sull'universale. E dietro il suo gorgheggio crepuscolare ronfano i contrabbassi accompagnatori di Croce e di Benda.
Ma che cos'è l'universale per Keyserling? Se glielo chiedete, vi darà la definizione del Cosmopolita. E allora, se noi ammettiamo la identità di questi termini, dobbiamo dargli ragione: se l'universalità corrisponde a cosmopolitismo, l'homo politicus che, per diventare tale, è costretto a darsi una forma cioè, in un certo senso, a limitarsi, deve rinunziare all'universalità.
E questo è appunto il ragionamento sbagliato su cui Keyserling imposta il problema. Per lui l'uomo non ha che due vie davanti a sé: o politicizzarsi e quindi rassegnarsi al particolarismo nazionalista, o spiritualizzarsi e raggiungere un valore cosmopolita. Che possa anche assurgere a un'universalità attraverso la sua politicizzazione a Keyserling non passa nemmeno per la testa. Per lui il nazionalismo è quello di Barrès, nazionalismo fine a sé stesso; inteso alla creazione di minorenni autosufficienti. Gli è sfuggita -a quest'uomo che pure fa l'osservatore di mestiere- l'esperienza fascista che è giusto lì, a dimostrare come, proprio attraverso la politicità dell'uomo e la sua prima conseguenza nazionalista, si possa giungere all'universale. Gli è sfuggito -a lui studioso della civiltà neo-latina sudamericana- il significato della romanità. Gli è sfuggita soprattutto la trasvalutazione del nazionalismo quale la Rivoluzione l'ha compiuta e tale che il nazionalismo stesso, divenutovi soltanto elemento integratore e primo gradino, vi ha mutato radicalmente volto e nulla più lo lega a quel suo antenato del secolo scorso, semplice antitesi e statica opposizione.
Tiriamo le somme.
Ghiron dice che Keyserling è lontano dal Settecento. Infatti è del più maturo Ottocento -e ci resta. Fa la critica del suo secolo, ma non lo trascende. Se bastasse rinnegare una civiltà per superarla, niente sarebbe meno ottocentesco di tutto il romanticismo post-nietzschiano e di tutto il nazionalismo pre-fascista. Infatti egli parla di una degenerazione intellettuale e auspica un ritorno: terminologia simbolica, come anche ai vari Croce e ai vari Benda.
Rimettiamo Keyserling al suo posto, tra gli Epigoni di una tradizione protestante che agonizza, che anzi è già morta. Di questo cadavere egli fa un' autopsia abbastanza chiara, ma tardiva per la maturità di coscienza di un fascista. Riprova e conferma di quanto già pensavamo: che in certa roccaforte-lumière i lumi si sono spenti e che bisognerà che si accendano altrove se si vuole nel mondo un po' di chiarore.
 

Indro Montanelli

 

 

 

 

Non se ne dispiacerà, il dott. Montanelli, se ci permettiamo pubblicare alcune considerazioni filosofiche dei suoi anni giovanili — quando poteva dettare certezze con la «maturità di coscienza di un fascista». Per noi il boccone era troppo ghiotto e, tra l'altro, pensiamo sia un inedito.

Capitato, per caso, tra le mani di un amico mentre sfogliava un vecchio libro che tratta argomenti esoterici. L'originale, ovvero una copia su velina, è in nostro possesso.

Poiché sappiamo che il dott. Montanelli non si è mai preoccupato di custodire i suoi antichi scritti, qualora lo desiderasse, saremmo ben lieti inviargliene copia.

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