Gorbaciov come metafora
Mi sono spesso chiesto perché la figura di Michail Gorbaciov attirasse la mia
simpatia in una maniera assolutamente istintiva e con una pulsione inconscia,
prescindendo dai suoi meriti o demeriti reali.
Devo quindi ringraziare pubblicamente Angelo Panebianco, «politologo laico» e
giornalista, il quale con un fondo pubblicato sul "Corriere della Sera" del 30
dicembre 1991 ha voluto pazientemente spiegarci che non vi è motivo per
rimpiangere il leader sovietico. A meno di non essere allineati con il nuovo
ordine occidentalista. Ho potuto così razionalizzare le mie motivazioni,
semplicemente invertendo le «istruzioni per l'uso» che il brillante studioso ha
elargito, con didattica illuminista, dal pulpito del principale quotidiano
italiano.
Riassumo brevemente la «lezione»: «L'errore, più che occidentale, è stato
italiano. Lo hanno commesso soprattutto gli ex comunisti nostrani nonché molti
cattolici. Nell'attaccamento a Gorbaciov giocava in questo caso il miraggio, che
continua a sopravvivere in certi ambienti, della "terza via" fra capitalismo e
comunismo».
E ancora: «...questi ambienti hanno creduto di vedere in lui non solo il
distruttore del vecchio ma anche l'iniziatore di qualcosa di interamente nuovo.
E adesso che anche questa illusione si è consumata resta il rimpianto per
Gorbaciov. E, insieme, l'avversione per Eltsin colpevole di aver certificato che
anche l'ultimo balocco -la terza via gorbacioviana- dei sognatori di società
"totalmente altre" (a differenza dell'eroina si tratta di una droga legalmente
in commercio) era, come era, solo un bluff».
Quantomeno, Panebianco possiede il dono della sintesi. È infatti difficile
trovare altrove, concentrate in così poche righe, tante affermazioni; e tutte da
respingere così radicalmente.
Ora mi è chiaro che il duello politico tra Gorbaciov ed Eltsin, il Nicolazzi
della steppa, rappresenta, metaforicamente ed emblematicamente, lo scontro
generalizzato tra l'esprit capitalista ed i suoi nemici; ora mi è chiaro, anche
razionalmente, perché non solo posso, ma devo solidarizzare con Gorbaciov. Non
si tratta infatti di un lontano episodio di politica estera, ma di un dissidio
che ci riguarda, che mi riguarda, quasi interiormente. Perché interiore è il
bisogno del «totalmente altro», della mistica politica come Destino; perché
reale è l'ordine egemonico imposto dal capitalismo ormai anche sul piano
culturale. Talmente reale da tentare di criminalizzare, come «stupefacente»
anche la più timida manifestazione di dissenso. Lo stesso Gramsci non ci sarebbe
mai arrivato.
È evidente che, stando così le cose, occorre iniziare a preparare una risposta
complessiva che sia all'altezza della situazione. Provo a formalizzare alcuni
punti di partenza.
1) L'offensiva ideologica del neocapitalismo liberale tende a delegittimare
tutte le matrici culturali non omologabili. Non a caso, nel citato articolo,
Panebianco, dopo aver preteso di giustiziare tutte le «filosofie della storia»
(e forse tutte le «filosofie») scrive: «Resta invece la possibilità di giudicare
laicamente i fatti, gli avvenimenti che si succedono, mediante ragione e alla
luce di valori (quelli su cui si è costruito l'occidente liberale) i quali non
perdono nulla dal fatto di non essere collegati ad alcun "senso" o "direzione"
della storia ad alcuna illusoria credenza in mète o palingenesi finali. Così
dovranno esser giudicati anche i primi passi di Eltsin e quelli che seguiranno,
per vedere se l'occidentalizzazione del mondo russo, più volte tentata da Pietro
il Grande in poi andrà in porto... lasciando perdere, finalmente, le droghe
filosofiche». Questo preoccupante, e ripetuto accostamento tra opposizione
politica e spacciatori -preludio, forse, di un'estensione della legge Jervolino
alla repressione dell'uso personale di ideologia vietata-, è indicativo della
tendenza in atto a far passare per «illusone», «irrealistiche», «disastrose»,
tutte le perplessità riguardanti l'ideologia di mercato. Peccato che, nella
stessa pagina del "Corriere" in un reportage da Mosca, si legga quest'intervista
ad un cittadino russo: «Ho smesso di interessarmi di politica. Penso al mio
lavoro, voglio far carriera. Adesso sono un grigio impiegato ma vorrei occuparmi
di cinema, andare in America. Ho un amico a Los Angeles. Ci andrò prima o poi,
ma il biglietto costa duemila dollari ed io guadagno duemila rubli, neanche
venti dollari al mese». Commento del giornalista: «Morto il comunismo avanza il
sogno capitalista. Con l'incubo di un portafogli sempre vuoto».
2) La contraddizione tra teoria e pratica del neoliberalismo offre il destro per
una considerazione generale: il modello americano ed occidentale celebra oggi i
fasti di un'apparente incontrastata vittoria. E perfettamente realizzato. Può,
quindi, essere attraversato e perforato (perfectum, da perficior) perché è
divenuto storicamente inutile. Questa paradossale affermazione trova conforto
nelle più recenti analisi della società americana; la recessione è all'ordine
del giorno, il venti per cento della popolazione vive sotto il livello di
sussistenza, il sistema educativo non funziona (metà degli studenti liceali non
sanno indicare il proprio paese su un mappamondo), il comune di New York, la
Grande Mela, il simbolo dell'occidente, è alla bancarotta... L'ideologia
economicistica del libero mercato fallisce dunque sul proprio terreno, quello
dello sviluppo materiale e del benessere illimitato: finora la consapevolezza di
ciò è stata ritardata dal più appariscente spettacolo del crollo dei muri ad
Est. Da qui in avanti l'establishment occidentale deve affidarsi per
sopravvivere, alla casta dei suoi ideologi che, come Panebianco e Lucio
Colletti, continuano fanaticamente a negare alternativa al sistema liberale,
bollandola come illusione ed accusando gli oppositori di essere terroristi ed
utopisti. Ma non era questo fino a pochi mesi fa, il metodo repressivo della
macchina stalinista di Breznev? La risposta a Marcello Veneziani: «L'equivoco da
dissipare è che la prospettiva del nuovo ordine internazionale segni la
definitiva liquidazione delle utopie rivoluzionarie, marxiste e non, degli anni
passati. È vero invece il contrario, che l'avvento del Nuovo ordine mondiale
ricalca esattamente l'utopia del mondo migliore, il mito del mondo nuovo,
l'attesa dell'uomo nuovo che scaccia i vecchi mondi e i vecchi uomini con i loro
"arcaismi" etnici, religiosi e culturali. È l'utopia della fine delle diversità,
della fine dei conflitti, della fine della storia che agisce nell'One Worldism.
È la cancellazione dell'uomo reale, dei popoli e delle nazioni quali
effettivamente sono, in vista dello "splendido mondo nuovo" made in USA
descritto con tratti inquietanti da Huxley. Dentro il cinico realismo
dell'internazionale bushista batte il cuore dell'utopista che sogna, come i
marxisti messianici, l'abolizione del reale» ("La cosmopolizia" in "il Sabato",
30.3.1991).
3) La situazione è dunque favorevole ad una ripresa della politica a tutto
campo. A condizione di usare estremo rigore nell'indicare vie d'uscita. Se tira
aria di smobilitazione («... ho smesso di far politica... penso solo a far
carriera») ciò non è dovuto solo al clima portato dal vento dell'Ovest. Occorre
avere il coraggio di riconoscere che le vecchie culture in cui si è incarnata la
«nostalgia del totalmente altro» non bastano più, hanno esaurito la loro
capacità di creare coesione sociale e progettualità collettiva. Aggredire il
modello neocapitalista, con i vecchi, dignitosi attrezzi politico-culturali
usciti in altre epoche, non servirebbe a nulla e rafforzerebbe l'attuale stato
di cose. Questo non significa, come crede Occhetto, gettare a mare gli elementi
di antropologia forte che hanno reso gelidamente e geometricamente grande il
leninismo ed inventare una sinistra liberale farcita di casalinghe, pensionati
ed ornitologi; questo non significa neanche come sembra credere la dirigenza del
MSI, che per avere un futuro occorre arruolarsi nella nascente Guardia Svizzera
del Quirinale, difendendo così il centro simbolico di una società politica che,
in realtà, è diventata excentrica, priva di centro.
Nessun romantico attaccamento a forme superate, nessuna verbosità «reazionaria»,
di destra o di sinistra, è oggi ammissibile. In questo senso bisogna leggere
l'esortazione di Drieu: «... strappare gli uomini a sé stessi», sradicare, anche
dolorosamente, antiche abitudini politiche, gettare armi spuntate. Per avere le
mani libere.
Per trovare, come scrive Nietzsche, «... un po' di silenzio, un po' di tabula
rasa della coscienza, affinchè vi sia ancora posto per il nuovo...».
Peppe
Nanni
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