ŦNon č importante la vita. Importante č cosa si fa della vitaŧ (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 2 (31 Marzo 1992)

 

le recensioni

 

Alphonse De Chāteaubriant

 


Ci sono dei libri che ci fanno scoprire un mondo prima soltanto intuito: un tracciato della mente e del cuore dai tratti suggestivi ma confusi all'improvviso prende forma sicura e si riempie di nomi e di eventi.
Č il caso di "Romanticismo fascista" di Paul Sérant, pubblicato per la prima volta in traduzione italiana dalla Sugar nel 1961, poi riproposto dalle Edizioni del Borghese e da Ciarrapico, con una introduzione di Giano Accame: una storia del sogno fascista degli intellettuali francesi tra le due guerre, che ci fece entrare in confidenza con le avventure esistenziali e le battaglie culturali e politiche di Abel Bonnard, Robert Brasillach, Luois-Ferdinand Celine, Pierre Drieu La Rochelle, Lucien Rebatet.
E con un personaggio come Alphonse de Chāteaubriant, cantore appassionato del nazismo, del regime hitleriano e dell'uomo nazionalsocialista. Lui aveva viaggiato nella Germania crociuncinata, aveva visto le immagini del Nuovo Ordine, sentito i cuori dei Tedeschi battere all'unisono come mai era avvenuto prima, avvertito fin nelle pių riposte fibre dello spirito la forza di un consenso che si trasformava in lavoro comune, dedizione alla Causa, sentimento vivo di una identitā finalmente conseguita e di un radicamento nella tradizione inteso come proiezione verso il futuro, volontā di destino.
De Chāteaubriant si era innamorato di questa Germania; non l'aveva vista come una minaccia per l'Europa ma come l'unica possibile salvezza dalla corruzione e dalla decadenza, e a questa sua immagine vissuta, sognata, trasformata in empito lirico aveva dedicato una sorta di diario di viaggio, che č, al tempo stesso, storia di un'esperienza e progetto: "La Gerbe des Forces", che esce per la prima volta nel 1937 e che appare ora in edizione italiana ("Il Fascio di Forze", Akropolis-La Roccia d'Erec, traduzione di M. Tarchi e A. Griffini, con introduzione di F. Cardini e post-fazione di E. Nistri, pp. 192, L. 22.000).
Ma chi č questo Chāteaubriant, pellegrino politico e intellettuale, che se ne va, nel '38, in terra tedesca in cerca di un modello che assomigli alle sue attese, che quasi corrisponda alla forma di un desiderio: e, trovato questo modello, intimamente gustata una idea tradita in forma, si rivolge ai Francesi per comunicar loro l'entusiasmo che prova?
Di Chāteaubriant traccia un profilo biografico Franco Cardini e lo fa con grande maestria: vengono evocati gli antenati olandesi e il luogo di nascita, nei dintorni di Rennes, nel cuore della piccola patria bretone che č anche un'atmosfera, un paesaggio dell'anima, un vitale centro di memoria e di incantamenti. Tra prati, boscaglie, paludi, si aggirano ancora i fantasmi dei guerrieri e dei maghi celti, dei cavalieri medievali impegnati in ardue cerche, e dei contadini e dei gentiluomini che innalzarono i vessilli della Controrivoluzione per difendere are e focolari dall'assalto giacobino.
Il giovane Alphonse coglie nell' aria infiniti segnali e sogna. Legge, scrive, dipinge: e gli č caro viaggiare nei luoghi eletti dove č possibile sentir risuonare echi ancestrali. Come nei Paesi Bassi, lungo gli itinerari della tradizione borgognona e dei paesaggisti fiamminghi, ritrovando ora un'immagine di Bosch o di Brueghel, ora il ricordo di una pagina di Huizinga, di quel grande affresco fatto di colori, odori, sapori che č "L'autunno del Medio Evo".
Ma come si fa ad ignorare Parigi, la cittā delle grandi inquietudini intellettuali e politiche? Chāteaubriant non crede che il cuore della Francia sia lė, dentro quel corpo certamente attraente ma sciupato dai vizi e dalla corruzione. D'altra parte Parigi č anche un sigillo, un'investitura: uno scrittore non puō trascurarla. A Parigi Chāteaubriant conosce e si fa conoscere, collabora a giornali, stringe un'amicizia che non si spezzerā mai: quella con Romain Rolland.
Come la pensa politicamente Chāteaubriant in questi primi anni del Novecento? Diciamo che č genericamente di sinistra: meno generici sono i suoi appelli morali, invece, contro la degenerazione della societā, del costume, del gusto. Chāteaubriant insegue la Bellezza e l'Ordine ma non ama le contraffazioni borghesi, diffida delle patacche smerciate come oro. Intanto sta diventando famoso. "Monsieur des Lourdines" nel 1909 gli frutta il Premio Goncourt.
Ma presto cominciano a soffiare venti di guerra, ad abbattersi impetuosamente sull'Europa. Alphonse non č un militarista, guarda con orrore a quegli europei che si scannano, non si lascia incantare dalle sirene patriottarde, vive anche lui, in trincea, il fango e il sangue, il freddo e la fame, la malattia e la morte che ti ammazza l'amico vicino. Che ne sarā dell'Europa dopo questo macello che opposti interessi hanno scatenato, giocando sulle ingenue fedi nazionali, attivate perché si sfrenassero in furia barbarica? E come risponderanno i governi agli umili, ai poveri, ai diseredati, gettati in pasto al fuoco e alla violenza, quando questi chiederanno ragioni alla loro patria e vorranno essere cittadini a pieno diritto, dopo essere stati soldati?
Forse č proprio dalla guerra che traggono insieme alimento l'umanesimo e lo spiritualismo, l'europeismo e il nazismo di Chāteaubriant.
Mentre si sbriciolano antiche dinastie e rivoluzionari rossi e neri affilano le loro spade, Chāteaubriant si chiede chi salverā la memoria, la tradizione, l'identitā dell'Europa; chi saprā dare, insieme, risposta al bisogno di ordine politico e di giustizia sociale; chi vorrā ricostruire l'edificio incrinato della religiositā avvertita come diffusa esigenza comunitaria di un Sacro che non sia soltanto trascendente ma vita quotidiana ritualizzata e resa significante attraverso una rete fatta di valori morali, vincoli reali, simboli.
Nel viaggio in Germania lo scrittore -affermato, riconosciuto, celebrato- vede e tocca un paesaggio in cui queste esigenze trovano risposta. C'č una dottrina che riesce ad essere uno Stato; quello Stato corrisponde alla Comunitā; nella Comunitā l'ereditā del passato si coniuga con il fattivo operare in nome del futuro. A Coblenza, a Treviri, a Colonia, ad Heidelberg, a Norimberga, a Bamberga, a Bayreuth, Chāteaubriant assiste con commozione e crescente trasporto allo spettacolo di un Popolo che, attraverso il nazional-socialismo, ha ripreso nelle mani il proprio destino.
Non č da questa Germania rinnovata -che gli si presenta nelle sue liturgie, nella cortesia della gente pių umile, nella pura, delicata bellezza delle fanciulle che gli offrono fiori, nelle memorie del Sacro Romano Impero, nelle grandiose opere del regime- che potranno venire minacce all'Europa. Sarā anzi la Germania a rinnovare l'Europa, se l'Europa vorrā accoglierla, non diffiderā delle sue buone intenzioni.
Le domande di chi legge, le nostre stesse domande, a questo punto, si affollano: il bisogno si č trasformato in sogno per il candido, liricheggiante Chāteaubriant, sessantenne pellegrino? Quale Germania ha visto? Quale Germania gli hanno fatto vedere? Č stato plagiato, suggestionato, colto da attacchi febbrili? Addirittura si č fatto sedurre da Hitler, ha scritto che Hitler č buono: ma č possibile? E perché no? Perché non dovremmo credere a una Germania festosa e laboriosa in corrispondenza d'amorosi sensi con Hitler e col nazismo che l'avevano risollevata dal fango?
In quella Germania imperversano i dčmoni? Presto il demonismo hitleriano avrebbe trascinato in un cataclisma l'Europa tutta? Anche questo č vero. Ma allora guardiamola nella sua complessitā, nella sua meravigliosa ricchezza, negli splendori e negli orrori, questa benedetta e maledetta storia europea e tedesca, non facciamo esorcismi, non amputiamo, non mistifichiamo.
Chāteaubriant non vedeva tutto, d'accordo: ma quel che vedeva, c'era. Come c'era -candido, ingenuo, folle fin che si vuole- il suo smisurato amore per l'Europa.
Come Pound, anch'egli credeva, assurdamente credeva, nella sua rinascita.
 

 

Federico Acciari

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