«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 2 (31 Marzo 1992)

 

I «minchioni» a "Samarcanda"

 

 

«Cianci Palermo, cianci Sirausa, a Carini e 'è lu luttu in ogni casa»
(La Baronessa di Carini)

«Chi-non-salta-è-mafioso, uè!-uè!»
(Massima espressione d'intelligenza dei giovani «buoni»)


Non immaginava nessuno che Lima morisse, non nel senso di contraddire la legge del destino che ci vuole tutti di fronte all'ultima spiaggia, ma nel senso più spicciolo di pensare che un uomo intoccabile ed invincibile come Salvo Lima, un grande democristianone incontrasse una o tante pallottole. Eppure è accaduto così, un omicidio in piena luce, una morte per dilaniare ancora la carne di Sicilia.
Per Libero Grassi, volli parlare di quella morte per cercare il dolore del Nord, e siccome tutti i moralisti bavosi minacciano fulmini affinchè nessuno accosti la morte di Lima a quella di tutte le vittime della mafia, io invece voglio accostarlo alla catena dei delitti per un mio principio di disobbedienza che è liberatorio nei confronti di qualsiasi pregiudizio. Soprattutto nei confronti del pregiudizio voluto dai rospi della pubblica bontà, gli esecutori della innocenza. Mi sono svegliato in Sicilia nel torpore di una sospensione che mi ha distaccato dalla comunicazione, e svegliandomi ho trovato la notizia di un altro morto eccellente. Nessuno fuori dalla porta si aspetta grandi cose, le congetture si perdono nei meandri della noia, dal mio angolo si vedono le sorprese lunghe quel tanto che possono condire la discussione da bar. «Chissu era mafiusu, ma allura pirchì l'ammazzaru?», era un mafioso, dicono tutti, ma allora perché lo hanno ucciso. Arrivano tante risposte, risposte mischiate allo zucchero del caffè, e tutti naturalmente si avvicinano morbosamente alle notizie, per dichiararsi ancora una volta colpiti, ma incuriositi, pieni di attenzione verso un fatto che sa solo di storia.
Ecco perché nessuno si aspettava che Salvo Lima venisse ucciso, perché tutti pensavano che fosse un padrino, come tanti padrini che ancora ci sono, veri o falsi, padrini che nascondono altri padrini, intoccabili, inavvicinabili, uomini del mistero. Nel mio libro personale delle sentenze filosofiche ho trascritto una frase bellissima di Salvo Lima: «Se vivessimo in un paradiso incontreremmo angeli, ma questo non è il paese degli angeli: qui ci sono i diavoli», e la vera crosta cronaca è quella di vedere tutti a lambiccarsi il cervello per capire se l'eurodeputato democristiano quella fredda mattina a Palermo ha incontrato le pallottole degli angeli, o quelle dei diavoli. Non si sa, non si può sapere, non si sa affatto.
Nello stesso libro ho trascritto un proverbio siciliano che il caso ha voluto vicino alla frase di Lima: «Megghiu un diavulu a cent'unzi, ca un minchiuni a centi rani», meglio un diavolo a cento onze piuttosto che un minchione a cento denari, leggendo la dichiarazione di Gesualdo Bufalino e guardando la trasmissione di Santoro, la solita "Samarcanda", ho trovato la conferma di questo proverbio.
Lo scrittore comisano si tira indietro nei confronti di qualsiasi giudizio, evidentemente ritiene che la letteratura debba occuparsi di semplice trascrizione di pensierini, chi potrebbe mai ammazzare il buon Gesualdo, questa specie di Don Abbondio?, a chi potrebbe mai fare del male ora che ha risolto pure i problemi di una serena pensione?, evidentemente non c'è più Leonardo Sciascia, il grande e giusto inquisitore di Sicania e di Sicilia, avrebbe detto parole di grave giustizia raccogliendo il profumo della pietà anche per un uomo come Salvo Lima, che se non era mafioso con il bollo era certamente un nemico del Maestro.
Ma i «minchioni» si danno appuntamento a Samarcanda, e i più pericolosi non sono quelli famosi, puliti e lustri con la verità pronta. I «minchioni» pericolosi sono quelli giovani giovani, anonimi anonimi, quella specie di ectoplasmi che bucano il video con la loro supponenza, la loro bontà disgustosa, il loro decoro di zitelle incartapecorite.
Quanta simpatia ho avuto per Lima, povero morto chiuso nella sua bara, povero morto siciliano, figlio di questa terra pirandelliana. Una simpatia nutrita nel sospetto che fosse troppo solo nella sua nomea di «cattivissimo».
Ho pensato che mi sarebbe piaciuto potere un giorno sedermi a cena con l'onorevole Lima, avremmo parlato di tante cose, della bellezza, della famiglia, del sole e del mare. Io sarei rimasto fascista, lui sarebbe ancora democratico e cristiano e tutto siciliano, quel tanto per poter dire che lui è un diavolo migliore di tanti minchioni.
È vero, i democristiani sono fitusi, ma Salvo Lima, ora che tutti i cani gli saltano addosso mi suscita commozione e simpatia, il Dio dei siciliani ha sempre avuto misericordia per le anime raccolte con il sangue, anche per le anime dei diavoli. Ma il Dio dei siciliani non vuole i «minchioni», perché in effetti, tutti questi cosa vogliono? Fare sociologia, essere i veri complici della lordura.
Ho visto i televisione il film di Risi il piccolo, "Ragazzi fuori", un film dove i «bravi» ragazzi della profonda Palermo criminale vengono massacrati dai «cattivi» poliziotti. Vergogna. Ho provato vergogna. Se si muore di mafia succede perché i «minchioni» diffondono la malapianta del conformismo. Vuoi vedere che il commissario Beppe Montana andava a massacrare i «ragazzi fuori» mentre quest'ultimi volevano solo trovare un lavoro? A questo punto ho voglia di gridare viva la mafia e abbasso Samarcanda.

 

Pietrangelo Buttafuoco

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