I «minchioni» a
"Samarcanda"
«Cianci Palermo, cianci Sirausa,
a Carini e 'è lu luttu in ogni casa»
(La Baronessa di Carini)
«Chi-non-salta-è-mafioso, uè!-uè!»
(Massima espressione d'intelligenza dei giovani «buoni»)
Non immaginava nessuno che Lima morisse, non nel senso di contraddire la legge
del destino che ci vuole tutti di fronte all'ultima spiaggia, ma nel senso più
spicciolo di pensare che un uomo intoccabile ed invincibile come Salvo Lima, un
grande democristianone incontrasse una o tante pallottole. Eppure è accaduto
così, un omicidio in piena luce, una morte per dilaniare ancora la carne di
Sicilia.
Per Libero Grassi, volli parlare di quella morte per cercare il dolore del Nord,
e siccome tutti i moralisti bavosi minacciano fulmini affinchè nessuno accosti
la morte di Lima a quella di tutte le vittime della mafia, io invece voglio
accostarlo alla catena dei delitti per un mio principio di disobbedienza che è
liberatorio nei confronti di qualsiasi pregiudizio. Soprattutto nei confronti
del pregiudizio voluto dai rospi della pubblica bontà, gli esecutori della
innocenza. Mi sono svegliato in Sicilia nel torpore di una sospensione che mi ha
distaccato dalla comunicazione, e svegliandomi ho trovato la notizia di un altro
morto eccellente. Nessuno fuori dalla porta si aspetta grandi cose, le
congetture si perdono nei meandri della noia, dal mio angolo si vedono le
sorprese lunghe quel tanto che possono condire la discussione da bar. «Chissu
era mafiusu, ma allura pirchì l'ammazzaru?», era un mafioso, dicono tutti, ma
allora perché lo hanno ucciso. Arrivano tante risposte, risposte mischiate allo
zucchero del caffè, e tutti naturalmente si avvicinano morbosamente alle
notizie, per dichiararsi ancora una volta colpiti, ma incuriositi, pieni di
attenzione verso un fatto che sa solo di storia.
Ecco perché nessuno si aspettava che Salvo Lima venisse ucciso, perché tutti
pensavano che fosse un padrino, come tanti padrini che ancora ci sono, veri o
falsi, padrini che nascondono altri padrini, intoccabili, inavvicinabili, uomini
del mistero. Nel mio libro personale delle sentenze filosofiche ho trascritto
una frase bellissima di Salvo Lima: «Se vivessimo in un paradiso incontreremmo
angeli, ma questo non è il paese degli angeli: qui ci sono i diavoli», e la vera
crosta cronaca è quella di vedere tutti a lambiccarsi il cervello per capire se
l'eurodeputato democristiano quella fredda mattina a Palermo ha incontrato le
pallottole degli angeli, o quelle dei diavoli. Non si sa, non si può sapere, non
si sa affatto.
Nello stesso libro ho trascritto un proverbio siciliano che il caso ha voluto
vicino alla frase di Lima: «Megghiu un diavulu a cent'unzi, ca un minchiuni a
centi rani», meglio un diavolo a cento onze piuttosto che un minchione a cento
denari, leggendo la dichiarazione di Gesualdo Bufalino e guardando la
trasmissione di Santoro, la solita "Samarcanda", ho trovato la conferma di
questo proverbio.
Lo scrittore comisano si tira indietro nei confronti di qualsiasi giudizio,
evidentemente ritiene che la letteratura debba occuparsi di semplice
trascrizione di pensierini, chi potrebbe mai ammazzare il buon Gesualdo, questa
specie di Don Abbondio?, a chi potrebbe mai fare del male ora che ha risolto
pure i problemi di una serena pensione?, evidentemente non c'è più Leonardo
Sciascia, il grande e giusto inquisitore di Sicania e di Sicilia, avrebbe detto
parole di grave giustizia raccogliendo il profumo della pietà anche per un uomo
come Salvo Lima, che se non era mafioso con il bollo era certamente un nemico
del Maestro.
Ma i «minchioni» si danno appuntamento a Samarcanda, e i più pericolosi non sono
quelli famosi, puliti e lustri con la verità pronta. I «minchioni» pericolosi
sono quelli giovani giovani, anonimi anonimi, quella specie di ectoplasmi che
bucano il video con la loro supponenza, la loro bontà disgustosa, il loro decoro
di zitelle incartapecorite.
Quanta simpatia ho avuto per Lima, povero morto chiuso nella sua bara, povero
morto siciliano, figlio di questa terra pirandelliana. Una simpatia nutrita nel
sospetto che fosse troppo solo nella sua nomea di «cattivissimo».
Ho pensato che mi sarebbe piaciuto potere un giorno sedermi a cena con
l'onorevole Lima, avremmo parlato di tante cose, della bellezza, della famiglia,
del sole e del mare. Io sarei rimasto fascista, lui sarebbe ancora democratico e
cristiano e tutto siciliano, quel tanto per poter dire che lui è un diavolo
migliore di tanti minchioni.
È vero, i democristiani sono fitusi, ma Salvo Lima, ora che tutti i cani gli
saltano addosso mi suscita commozione e simpatia, il Dio dei siciliani ha sempre
avuto misericordia per le anime raccolte con il sangue, anche per le anime dei
diavoli. Ma il Dio dei siciliani non vuole i «minchioni», perché in effetti,
tutti questi cosa vogliono? Fare sociologia, essere i veri complici della
lordura.
Ho visto i televisione il film di Risi il piccolo, "Ragazzi fuori", un film dove
i «bravi» ragazzi della profonda Palermo criminale vengono massacrati dai
«cattivi» poliziotti. Vergogna. Ho provato vergogna. Se si muore di mafia
succede perché i «minchioni» diffondono la malapianta del conformismo. Vuoi
vedere che il commissario Beppe Montana andava a massacrare i «ragazzi fuori»
mentre quest'ultimi volevano solo trovare un lavoro? A questo punto ho voglia di
gridare viva la mafia e abbasso Samarcanda.
Pietrangelo Buttafuoco
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