«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 2 (31 Marzo 1992)

 

Ragione della politica

 

 

Scopo della politica è la qualità della vita. La felicità terrena. Di tutti, e non di una consorteria. Di una classe sociale, minoritaria o maggioritaria, borghese o proletaria. Il problema è di eliminare l'accentramento del capitale nelle mani di pochi, causa di tutte le guerre, le rivoluzioni, le stragi. Della fabbricazione delle bombe atomiche.
Il problema è di trasformare la società attraverso la cultura e la mobilità delle classi sociali, che si realizza in base alle effettive capacità individuali, rigorosamente accertate. Visto che tutti i reggimenti politici finora adottati hanno sortito esito negativo -gli stessi effetti funesti in dittatura e democrazia, in monarchia assoluta e repubblica-, e che la causa del fallimento è la natura del Potere, accentratrice, illiberale e possessiva, l'unica forma residua da esperire è un ordinamento politico compenetrato di democrazia diretta e democrazia rappresentativa.
È la sola strada perché la democrazia non degeneri in dittatura assembleare e la repubblica in unanimi e conniventi oligarchie dispotiche, surrogato della monarchia assoluta. Il segreto per uscire dall'impatto presente e sconfiggere i nemici della nazione risiede nel coalizzarsi in organismo politico, forte di idee chiare e precise, preventivamente programmate, inderogabili, e nel differenziarsi dagli altri. Da tutti ed in tutto. Altrimenti c'è compromissione, involuzione, tradimento. Che il nemico, in politica, si annida fuori e dentro l'organizzazione.
Niente partiti, movimenti, ismi. Una onnicomprensiva «Associazione politica "Italia libera"» dovrebbe appagare esigenze e finalità. Libera dall'ignoranza. Dai partiti. Dai sindacati. Dallo Stato ideologico. Dai miti dolosi e dalle ideologie criminali.
Di qui una società meritocratica, autodisciplinata, severa con i violatori della legge. Società in cui trionfi concretamente, visibilmente, la giustizia, la verità, la libertà di tutti. In cui la dea Ragione, irrisa e vilipesa dalla Restaurazione, venga riposta nella coscienza degli uomini. Una società che veda i cittadini discutere e decidere sui loro problemi da uomini liberi, non esautorati da verticismi autoritari, non condizionati o fuorviati da mafie editoriali e televisive, strumenti delittuosi del Potere in tutti i suoi molteplici, poliformi, tentacolari aspetti. Cittadini, dunque, e non greggi belanti, plagiati, robotizzati.
Contro questa società illuminata, amica dell'uomo perché amica di sé stessa, che si autogovernerà indicando la strada da percorrere ai suoi rappresentanti eletti tra le categorie del mondo del lavoro, e controllandone sistematicamente l'operato, insorgeranno i nemici dell'umanità -i potenti, i furbi, gli opportunisti, le nullità-, coloro che si vedono spazzati via dall'avvento della civiltà di Dio, e ci accuseranno di utopia, di mito, di caos. Di corporativismo.
Sono gli stessi che da cinquemila anni tengono alla catena i popoli, schiavi delle loro mitocrazie. Di qui, condicio sine qua non, la esigenza prioritaria, imprescindibile, di snebbiare le menti, di fugare le tenebre. Senza illuminazione, qualsiasi discorso è come tra sordo-cieco-muti. Senza liberazione dell'uomo mediante la cultura specifica e la conoscenza dei problemi fondamentali della vita e della società non ci può essere politica. C'è addomesticazione del cittadino da parte del politicante e catechizzazione da parte del prete. C'è politicantismo. Assenza dei politài, i cittadini, dalla polis, lo Stato.
Ma il Potere, borghese e capitalista, conservatore, oppressivo e repressivo, grazie al suo onnipotente apparato si è sempre opposto ad ogni formazione umana, a qualsiasi illuminazione che metta a nudo le ignominie della «società fraudolenta». Ne consegue la necessità di eliminare, di bandire i nemici della società. Di costruire ab imis una società diversa. Antitetica. Mai esistita.
L'informazione, gazzettistica e televisiva, non può essere gestita dalla plutocrazia. Non è un fatto economico. Commercializzabile. Investendo interessi generali, nazionali e vitali, esula dalla logica del liberismo. Dev'essere sancita da un principio costituzionale, disciplinata per legge, in modo che venga garantita la libertà di tutti di potere dialogare e far conoscere le proprie ragioni. Di informare ed informarsi. L'informazione deve assicurare la partecipazione diretta del cittadino. Ognuno deve essere posto in condizione di discutere con cinquantasette milioni di Italiani. Questa, la democrazia diretta. Senza libertà d'informazione non esiste democrazia, ma «democrazia totalitaria», cioè tirannide. Non esiste repubblica, ma «monarchia assoluta». Non esiste Stato, ma «Antistato». Liberalizzare l'informazione, esautorando le concentrazioni oligarchiche del capitale quanto basti perché non esautorino, plagiandola, la volontà del cittadino, è la prima catena da infrangere.
La seconda è quella che avvince la scuola al potere economico -(im)politico- (a)religioso, e fa di essa uno strumento politicizzato, partitocratizzato dai famigerati Decreti Malfatti, di regime. Sulla «scuola del delitto», preposta alla fabbricazione di automi, di schiavi sociali, ho scritto un libro di 372 pagine, fitto di documentazione, incontestato ed incontestabile. "I nemici della Scuola. Le mani sulla scuola. Dalla Grecia ad oggi" attesta come l'usurpato potere è univoco, ieri come oggi, nella repressione del sapere e nella sua manipolata irreggimentazione. Nell'imbestiamento delle masse pseudoculturali.
Anche la scuola, come la stampa e la TV, come i concorsi amministrativi, come la distribuzione dei libri contrari alle istituzioni della borghesia, non può essere affare privato, gestito da «sette private», politiche o/e religiose. Di qui la necessità di sostituire il ministro della PI, uomo di parte, ideologizzato, con una Società Nazionale di Alta Cultura, apartitica e aconfessionale, che si autoeleggerà con criteri esclusivamente meritocratici. Di sottrarre al potere politico la procedura dei concorsi pubblici (cfr. il mio "Concorsi a pubblico impiego e potere politico", Politeia Editrice, casella post. 416, Viareggio). Di facilitare per legge la diffusione e conoscenza di libri di contenuto politico e religioso, ritenuti rivoluzionari, destabilizzanti.
Una terza catena da spezzare è la liberazione economica. Sarà la nazione a stabilire se bisogna continuare sulla strada dei Sumeri, il liberismo, o ripiegare sulla disattesa cogestione aziendale (art. 46 della CI), oppure attuare la socializzazione dei mezzi di produzione (Mazzini, Marx). La proprietà aziendale -da non confondere con la proprietà privata, intangibile- è un affare nazionale, e non può non essere la nazione a risolverlo attraverso referendum popolare. Ogni altra soluzione deve considerarsi violazione della democrazia. Del diritto. Arbitrio. Usurpazione di legittimi interessi. Criminalità politicamente organizzata.
Argomenti, questi, preminenti e fondamentali, che attendono una risposta ed una soluzione immediata, rimasti finora estranei al politicantismo delle consorterie antidemocratiche dei partiti, arricchite, imborghesite, nemiche giurate degli interessi nazionali. Argomenti prioritari in assoluto, al di là dei quali s'impone la legittimazione del terrorismo, del partito armato, della rivoluzione. In assenza dei quali si ripropone la minaccia del nazismo e del sovietismo, ideologie criminali riaffiorate e mai spente. Ma le sette «private», antitaliane, che ancora una volta si autopropongono a gestire lo sfascio della nazione e la riduzione in cattività dei «sudditi» di questa sedicente repubblica, non ci sentono da entrambe le orecchie.
La volontà di potenza le acceca. Vogliono i popoli schiavi, il potere dell'uomo sull'uomo e sui popoli, il privilegio dello strapotere, il sadismo della sopraffazione. Mediocrità intellettuale ed inconsistenza culturale le fanno vacillare. Temono la meritocrazia, l'intelligenza, la cultura. Le loro facce di bronzo, dopo avere inflitto quasi mezzo secolo d'infelicità al popolo italiano, anziché togliersi dai piedi, osano chiederci ancora una volta il voto.
Ma che cosa hanno finora fatto questi signori, e che ci offrono come corrispettivo? Tradimento e prevaricazione. Pioggia di stangate. Africanizzazione. Europa del capitalismo. Guerra nucleare. Che la guerra, nello Stato di Sumer, è come la morte: ineluttabile. «L'unità del mondo che non s'è fatta con Dio tenterà di farsi contro Dio» (A. Camus).

 

Alfredo Cresci

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