Ragione della politica
Scopo della politica è la
qualità della vita. La felicità terrena. Di tutti, e non di una consorteria. Di
una classe sociale, minoritaria o maggioritaria, borghese o proletaria. Il
problema è di eliminare l'accentramento del capitale nelle mani di pochi, causa
di tutte le guerre, le rivoluzioni, le stragi. Della fabbricazione delle bombe
atomiche.
Il problema è di trasformare la società attraverso la cultura e la mobilità
delle classi sociali, che si realizza in base alle effettive capacità
individuali, rigorosamente accertate. Visto che tutti i reggimenti politici
finora adottati hanno sortito esito negativo -gli stessi effetti funesti in
dittatura e democrazia, in monarchia assoluta e repubblica-, e che la causa del
fallimento è la natura del Potere, accentratrice, illiberale e possessiva,
l'unica forma residua da esperire è un ordinamento politico compenetrato di
democrazia diretta e democrazia rappresentativa.
È la sola strada perché la democrazia non degeneri in dittatura assembleare e la
repubblica in unanimi e conniventi oligarchie dispotiche, surrogato della
monarchia assoluta. Il segreto per uscire dall'impatto presente e sconfiggere i
nemici della nazione risiede nel coalizzarsi in organismo politico, forte di
idee chiare e precise, preventivamente programmate, inderogabili, e nel
differenziarsi dagli altri. Da tutti ed in tutto. Altrimenti c'è compromissione,
involuzione, tradimento. Che il nemico, in politica, si annida fuori e dentro
l'organizzazione.
Niente partiti, movimenti, ismi. Una onnicomprensiva «Associazione politica
"Italia libera"» dovrebbe appagare esigenze e finalità. Libera dall'ignoranza.
Dai partiti. Dai sindacati. Dallo Stato ideologico. Dai miti dolosi e dalle
ideologie criminali.
Di qui una società meritocratica, autodisciplinata, severa con i violatori della
legge. Società in cui trionfi concretamente, visibilmente, la giustizia, la
verità, la libertà di tutti. In cui la dea Ragione, irrisa e vilipesa dalla
Restaurazione, venga riposta nella coscienza degli uomini. Una società che veda
i cittadini discutere e decidere sui loro problemi da uomini liberi, non
esautorati da verticismi autoritari, non condizionati o fuorviati da mafie
editoriali e televisive, strumenti delittuosi del Potere in tutti i suoi
molteplici, poliformi, tentacolari aspetti. Cittadini, dunque, e non greggi
belanti, plagiati, robotizzati.
Contro questa società illuminata, amica dell'uomo perché amica di sé stessa, che
si autogovernerà indicando la strada da percorrere ai suoi rappresentanti eletti
tra le categorie del mondo del lavoro, e controllandone sistematicamente
l'operato, insorgeranno i nemici dell'umanità -i potenti, i furbi, gli
opportunisti, le nullità-, coloro che si vedono spazzati via dall'avvento della
civiltà di Dio, e ci accuseranno di utopia, di mito, di caos. Di corporativismo.
Sono gli stessi che da cinquemila anni tengono alla catena i popoli, schiavi
delle loro mitocrazie. Di qui, condicio sine qua non, la esigenza prioritaria,
imprescindibile, di snebbiare le menti, di fugare le tenebre. Senza
illuminazione, qualsiasi discorso è come tra sordo-cieco-muti. Senza liberazione
dell'uomo mediante la cultura specifica e la conoscenza dei problemi
fondamentali della vita e della società non ci può essere politica. C'è
addomesticazione del cittadino da parte del politicante e catechizzazione da
parte del prete. C'è politicantismo. Assenza dei politài, i cittadini, dalla
polis, lo Stato.
Ma il Potere, borghese e capitalista, conservatore, oppressivo e repressivo,
grazie al suo onnipotente apparato si è sempre opposto ad ogni formazione umana,
a qualsiasi illuminazione che metta a nudo le ignominie della «società
fraudolenta». Ne consegue la necessità di eliminare, di bandire i nemici della
società. Di costruire ab imis una società diversa. Antitetica. Mai esistita.
L'informazione, gazzettistica e televisiva, non può essere gestita dalla
plutocrazia. Non è un fatto economico. Commercializzabile. Investendo interessi
generali, nazionali e vitali, esula dalla logica del liberismo. Dev'essere
sancita da un principio costituzionale, disciplinata per legge, in modo che
venga garantita la libertà di tutti di potere dialogare e far conoscere le
proprie ragioni. Di informare ed informarsi. L'informazione deve assicurare la
partecipazione diretta del cittadino. Ognuno deve essere posto in condizione di
discutere con cinquantasette milioni di Italiani. Questa, la democrazia diretta.
Senza libertà d'informazione non esiste democrazia, ma «democrazia totalitaria»,
cioè tirannide. Non esiste repubblica, ma «monarchia assoluta». Non esiste
Stato, ma «Antistato». Liberalizzare l'informazione, esautorando le
concentrazioni oligarchiche del capitale quanto basti perché non esautorino,
plagiandola, la volontà del cittadino, è la prima catena da infrangere.
La seconda è quella che avvince la scuola al potere economico -(im)politico-
(a)religioso, e fa di essa uno strumento politicizzato, partitocratizzato dai
famigerati Decreti Malfatti, di regime. Sulla «scuola del delitto», preposta
alla fabbricazione di automi, di schiavi sociali, ho scritto un libro di 372
pagine, fitto di documentazione, incontestato ed incontestabile. "I nemici della
Scuola. Le mani sulla scuola. Dalla Grecia ad oggi" attesta come l'usurpato
potere è univoco, ieri come oggi, nella repressione del sapere e nella sua
manipolata irreggimentazione. Nell'imbestiamento delle masse pseudoculturali.
Anche la scuola, come la stampa e la TV, come i concorsi amministrativi, come la
distribuzione dei libri contrari alle istituzioni della borghesia, non può
essere affare privato, gestito da «sette private», politiche o/e religiose. Di
qui la necessità di sostituire il ministro della PI, uomo di parte,
ideologizzato, con una Società Nazionale di Alta Cultura, apartitica e
aconfessionale, che si autoeleggerà con criteri esclusivamente meritocratici. Di
sottrarre al potere politico la procedura dei concorsi pubblici (cfr. il mio
"Concorsi a pubblico impiego e potere politico", Politeia Editrice, casella
post. 416, Viareggio). Di facilitare per legge la diffusione e conoscenza di
libri di contenuto politico e religioso, ritenuti rivoluzionari,
destabilizzanti.
Una terza catena da spezzare è la liberazione economica. Sarà la nazione a
stabilire se bisogna continuare sulla strada dei Sumeri, il liberismo, o
ripiegare sulla disattesa cogestione aziendale (art. 46 della CI), oppure
attuare la socializzazione dei mezzi di produzione (Mazzini, Marx). La proprietà
aziendale -da non confondere con la proprietà privata, intangibile- è un affare
nazionale, e non può non essere la nazione a risolverlo attraverso referendum
popolare. Ogni altra soluzione deve considerarsi violazione della democrazia.
Del diritto. Arbitrio. Usurpazione di legittimi interessi. Criminalità
politicamente organizzata.
Argomenti, questi, preminenti e fondamentali, che attendono una risposta ed una
soluzione immediata, rimasti finora estranei al politicantismo delle consorterie
antidemocratiche dei partiti, arricchite, imborghesite, nemiche giurate degli
interessi nazionali. Argomenti prioritari in assoluto, al di là dei quali
s'impone la legittimazione del terrorismo, del partito armato, della
rivoluzione. In assenza dei quali si ripropone la minaccia del nazismo e del
sovietismo, ideologie criminali riaffiorate e mai spente. Ma le sette «private»,
antitaliane, che ancora una volta si autopropongono a gestire lo sfascio della
nazione e la riduzione in cattività dei «sudditi» di questa sedicente
repubblica, non ci sentono da entrambe le orecchie.
La volontà di potenza le acceca. Vogliono i popoli schiavi, il potere dell'uomo
sull'uomo e sui popoli, il privilegio dello strapotere, il sadismo della
sopraffazione. Mediocrità intellettuale ed inconsistenza culturale le fanno
vacillare. Temono la meritocrazia, l'intelligenza, la cultura. Le loro facce di
bronzo, dopo avere inflitto quasi mezzo secolo d'infelicità al popolo italiano,
anziché togliersi dai piedi, osano chiederci ancora una volta il voto.
Ma che cosa hanno finora fatto questi signori, e che ci offrono come
corrispettivo? Tradimento e prevaricazione. Pioggia di stangate.
Africanizzazione. Europa del capitalismo. Guerra nucleare. Che la guerra, nello
Stato di Sumer, è come la morte: ineluttabile. «L'unità del mondo che non s'è
fatta con Dio tenterà di farsi contro Dio» (A. Camus).
Alfredo
Cresci
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