«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 2 (31 Marzo 1992)

 

Sguardi a sinistra

 

 

Enrico Landolfi è l'ispiratore di queste mie note. Quel suo invito, rivolto a noi di "Tabularasa" ad «aprirsi senza riserve al dibattito», mi induce a riflettere. Noi abbiamo superato i vecchi schematismi, tanto è vero che abbiamo avuto il coraggio di resecare un cordone ombelicale che ci stava recidendo le carotidi del pensare. Abbiamo subito il complesso del Nemico ma l'abbiamo superato. Era poi vero nemico? Bisognerebbe riconsiderare le differenze schmittiane fra inimicus ed hostis.
Ma da qui ad arrivare a intraprendere una corsia preferenziale nei confronti del vecchiume partitocratico tutto italiano, ce ne corre. Il PSI di oggi è lontano mille anni luce da quello degli Anni Ottanta quando «Bettino Craxi difese i valori della dignità, dell'onore, della sovranità nazionale contro l'arroganza degli americani». Sigonella non chiama Baghdad. Craxi oggi chiama Washington e Andreotti chiama America. Craxi e Andreotti si chiamano. Chiama anche Cossiga. Noi non ci siamo mai sintonizzati su queste lunghezze d'onda. Noi non chiamiamo Washington e il suo agglomerato multirazziale. Le nostre radici, che non sono estranee a Enrico Landolfi, affondano nella guerra, fino all'ultimo, all'America e all'americanismo.
Landolfi dovrebbe convenire ch'è stata anche questa l'essenza della RSI. Ma non vogliamo continuare a guardare indietro. Quel ch'è stato, è stato e sarà la storia ad emettere le sentenze.
Da Beppe Niccolai abbiamo indegnamente ereditato il messaggio a «ricomporre le scissioni del passato» nel nome della Madre Patria. Ma la ricomposizione deve passare innanzi tutto, non dico per la catarsi, ma almeno per l'antisepsi morale di certi organismi. Poche speranze nutriamo che ciò avvenga nell'immediato, dato l'ampio spettro del processo flogistico che ha generato una sorta di setticemia politica.
Ha ragione Napoleone Colajanni ("Corsera", 22.2.1992) quando scrive che «non è piacevole dover essere costretti ad auspicare un trauma in cui si vedono tutti i pericoli ma probabilmente siamo già ad un punto in cui senza rottura non si può risanare nulla. [...] Cercare di costruire uva nuova forza politica: mi pare oggi che questo sia il solo modo possibile per essere di sinistra, oggi».
Bisognerebbe rifarsi un po' a quel che doveva essere il linguaggio del socialismo per Carlo Rosselli: «Ha parlato sinora quasi esclusivamente di interessi, di diritti, di benessere materiale. Deve ora parlare più spesso di idealità, di doveri, di sacrifici». Per questo Togliatti lo bollerà di "fascismo", in quanto critico idealista del marxismo.
Queste son cose che Craxi conosce, per averle ricordate a Rimini nel marzo 1990, in occasione della Conferenza Organizzativa del PSI. Purtroppo non sempre fra il dire e il fare c'è conseguenzialità.
Dobbiamo constatare con rammarico l'attualità di George Sorel: «La nostra democrazia assomiglia meravigliosamente all'Ancien Regime. Invece di cortigiani noi possediamo dei parlamentari che sono ignoranti e manovrano come i loro predecessori; l'onestà non è cresciuta in questo mondo di potenti parassiti», con l'aggravante che questi parlamentari dell'Italia "democratica" non eguagliano i loro predecessori. Sono decisamente peggiori, e tanto risulta, se è vero che questa nazione è come la vediamo tutti: gineceo di malaffare in cui è cresciuto un individualismo asfissiante, estraneo alla nostra tradizione, che ha spogliato l'uomo di idee e di idealità.
Ci si chieda: che cosa sono i partiti oggi in Italia? Si tenga ben presente che non esistono da parte nostra nostalgie di partiti unici e non ci piacciono cesarismi di maniera. Culturalmente apparteniamo ad una corrente di pensiero che ebbe in uggia l'orbace: con la sua resistenza e impermeabilità finì per rendere plegici i cervelli, fino ad indurli a crogiolarsi tragicamente nell'«uno che pensa per tutti». Va da sé che aborriamo certo fare da «asso piglia tutto», che genera poi, come si è verificato purtroppo in questi anni nelle italiche contrade, l'essenzialità a governare di una DC, ch'è ed ha tutto tranne spirito cristiano che guarda alla dottrina sociale della Chiesa. Come non gradiamo l'«evoluzione» di Occhetto nel voler passare disinvoltamente da una politica di alternativa al sistema, pur sempre al servizio di centrali straniere, al di là di sventolati "strappi" che lasciano il tempo che trovano, ad una forma di «partito-parte», che va a rinforzare quel malefico concetto di democrazia consociativa.
E allora gli orizzonti sono altri e passano non per le stupide difese a oltranza di Togliatti, dal quale non può scindersi, per esserne stato essenza, tutto l'apparato repressivo del comunismo mondiale. Né serve attivare interessati processi alchimistici coi quali spiegare che ad Est non è crollato il comunismo ma regimi, ingiusti e dispotici «che spesso hanno infangato i valori che pure proclamavano».
Anche noi potremmo dire per comodità che il nostro fascismo, che guardava a Marcello Gallian piuttosto che ad Achille Starace, a Carlo Ravasio anziché a Dino Grandi, è altro. Ma il fascismo fu quello di Mussolini: con le bonifiche, la fondazione di città, l'impianto di protezioni sociali, i littoriali della cultura ma anche il Tribunale Speciale, le leggi razziali, che ci fanno tanta vergogna, la retorica del regime, la condotta disastrosa della guerra, il sacrificio spesso inutile di migliaia di vite umane, non di rado le migliori. Di tutto questo portiamo responsabilità che non possiamo scaricare e dalle quali possiamo redimerci soltanto in una maniera: non incorrendo negli stessi errori commessi nel passato e cogliere dalla storia tutta la durezza e la crudezza delle sue lezioni. Farcene cilicio, che marchi a sangue le nostre carni e la nostra anima. Per sentirci toccati nel vivo del nostro sangue, in parità con chi ha subito, spesso ingiustamente, violenze e prevaricazioni. Ed è proprio dalle lezioni del passato che noi tutti, noi che abbiamo visto in una cultura borghese imperante l'ostacolo maggiore per l'affermazione dei nostri ideali, dovremmo sederci intorno a un tavolo e discutere. E se proprio non possiamo unirci sulle cose che vogliamo, dovremmo almeno trovare una coesione su ciò che non vogliamo.
Forse era questo lo spirito che aleggiava intorno al famoso "Appello ai fascisti", ispirato da Togliatti e apparso sul n. 8 di "Stato Operaio" dell'agosto 1936. Dico forse perché in quell'appello ci sono tanti argomenti condivisibili ma tanti altri ingiustificati e irrecepibili, senza dire che, se ci fosse stata davvero volontà da parte dei comunisti a pacificare gli animi in nome di una giusta battaglia antiborghese e anticapitalistica, non si capisce perché ciò non avvenne all'indomani del 25 luglio 1943 quando il fascismo repubblicano ebbe a scrollarsi di dosso tutta la zavorra e le incrostature delle deviazioni di regime, responsabili dell'assassinio dello spirito del programma di San Sepolcro, che i comunisti facevano loro in quanto «programma di libertà».
Togliatti andò a Salerno a mettersi al riparo delle baionette americane. Al Nord saliranno gli altri: Nicolino Bombacci, fondatore del PCI, Carlo Silvestri, Stanis Ruinas. Scelte di coerenza da una parte, gioco delle parti dall'altra. C'è un libro (mi permetto anch'io un consiglio) che dovrebbero leggere in tanti, "Né destra né sinistra" di Zeev Sternhell. "Le Monde" l'ha definito «un libro che sconvolge un buon numero di luoghi comuni ideologici». Scorrendolo si potrà toccare con mano perché il fascismo non è di destra e quanto male ha fatto il mito della lotta di classe. Voler continuare a cavalcare questi ansimanti ronzini è sciocco, specie dopo aver assistito all'imborghesimento del proletariato, che ha generato la proletarizzazione della borghesia: i risultati sono costituiti da contrasti sociali, che diverranno via via sempre più stridenti.
Walter Mandelli, falco della Confindustria, c'insegna che «il mercato non è di destra [...] così come la gestione statale dei servizi pubblici o sociali non è di sinistra». A questo ci si deve opporre, fatto salvo il perder tempo a discettare su quel ch'è di destra e sinistra.
E proprio vero che con la caduta dei muri non sono stati annullati soprusi e ingiustizie. Si sente forte il bisogno di una critica che sappia andare al di là di una semplice indignazione morale: che sappia costruire una nuova forza politica che si opponga. Duramente. C'è bisogno di opposizione. Il capitalismo italiano, insulso e becero, incapace di svolgere normalmente il suo ruolo imprenditoriale, mendicante lagnoso delle cospicue elemosine di Stato, che ne fanno una classe parassitaria, sta tornando ad assumere i caratteri truci d'altri tempi. Tenta speculazioni errate, il cui costo viene ribaltato sulle spalle dei lavoratori italiani, auspici organizzazioni sindacali che hanno abiurato al loro ruolo, posto che l'abbiano svolto sempre onestamente.
Ci sarà pure una logica se capi delle centrali sindacali diventano ministri e boiardi di Stato. Chi alza la voce contro gli osanna al profitto che accompagnano la febbre della Borsa e le grandi speculazioni? Chi addita al pubblico disprezzo (che sarebbe poco: bisognerebbe mettere al muro i responsabili per alto tradimento!) gli artefici della svendita all'estero delle fabbriche italiane? Non si venga con la giustificazione dell'Europa e del suo mercato unico: essa è branca del mondialismo affamatore, di cui fa parte il capitalismo italiano.
Nel summentovato "Appello ai fascisti" del 1936 i comunisti indicavano con nome e cognome i nemici del popolo italiano: oggi i nemici sono i nipoti e gli eredi dei nemici di allora. Dirà Felice Mortillaro, direttore di Federmeccanica: «Vi sono state inquietanti analogie fra socialismo scientifico e fascismo». Carlo Ravasio, già vicesegretario del PNF, su "II Popolo d'Italia" del maggio 1940 scriveva: «Svestite l'antibolscevico e troverete l'antisindacalista e l'anticorporativo, il reazionario della vecchia mentalità ostinatamente padronale e classista». Qui mi fermo. Torneremo su queste argomentazioni.
Io appartengo alla generazione che si è scannata sulle piazze degli Anni di Piombo. Mentre noi ci scannavamo, Mandelli, Mortillaro, Cossiga, Andreotti, cioè il Potere, si consolidavano. Non deve più avvenire. Per ridare la speranza nel futuro ai nostri figli che non devono più soffrire come noi, come i nostri padri, come i nostri nonni. Fra rosso e nero il nemico è bianco.

 

Vito Errico

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