«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 2 (31 Marzo 1992)

 

Il sogno infranto di Enrico Mattei

 

 

Il 27 ottobre sono trent'anni che Enrico Mattei è morto, cadendo col suo bimotore nella marcita di Bescapè. Il fondatore dell'ENI è stato, continua ad essere, uno dei nostri «personali» eroi nazionali popolari. Il massimo, diremmo, relativamente alla seconda metà del presente e presto cessante secolo. E ciò indipendentemente dalla Sua e nostra affiliazione politica, dalle rispettive connotazioni ideologiche, dalle diverse radici storiche.
Ricordiamo che quando il carissimo, mai troppo rimpianto da tutti Beppe Niccolai, ci «rimproverava» -unitamente ai suoi commilitoni di partito e di tendenza- presunte filie scudocrociate, gli rispondevamo che occorre distinguere fra il moderatismo democristiano e il popolo democristiano, ossia quella gran parte della nazione italiana fatta di operai, contadini, artigiani, studenti, intellettuali, sacerdoti, piccoli e medi proprietari e imprenditori, tecnici, operatori dell'industria di Stato, liberi professionisti, la quale, a torto o a ragione, e comunque in base ad autonomi e legittimi convincimenti, ha deciso di riconoscersi nel Bianco Fiore. E aggiungevamo che questa zona così rilevante della società va non solo compresa e rispettata -se non altro per aiutarla ad emanciparsi dal moderatismo- ma anche approvata per essersi dotata, al di là dell'establishment di partito, di alcuni prestigiosi punti di riferimento identificabili come «eroi nazionali popolari».
Nel corso di una tavola rotonda dove c'era anche Beppe, invitati a fare un nome esemplare pronunciammo, appunto, quello di Enrico Mattei. E lui, di rimando: «Non è un caso che sia stato ammazzato». Ma è assodato che se assassinio ci fu -noi propendiamo per la tesi dell'attentato-, le mani non se le sporcarono gli italiani.
Siamo ben lungi dal ritenere di essere stati capaci di convincere Beppe -e suoi sodali missini ed extramissini- della bontà, o anche solo della attendibilità, della nostra asserzione in ordine alla possibilità di sdoppiare il giudizio sulla Democrazia Cristiana, distinguendo fra il moderatismo del gruppo dirigente (quanto meno nella sua componente più tradizionale) e il popolo democristiano, accreditabile quale portatore di valori nazionali popolari, o, meglio, di una loro versione cattolico-democratica. Forse, se tutti avessimo avuto la fortuna di tenerlo con noi ancora per un bel pezzo, chi scrive sarebbe riuscito, se non altro, a insinuare nell'animo suo il germe del dubbio. Ma tant'è. Le Parche hanno anzitempo reciso il filo della vita di Beppe Niccolai e così ci troviamo privati di un interlocutore validissimo. Onestamente, reputiamo che Egli non avrebbe avuto obiezioni -o troppe obiezioni- da muovere su Enrico Mattei, personaggio espressivo ed emblematico di idee risorgimentali e sociali.
Ecco perché ci accingiamo a parlare di Costui nelle pagine di "Tabularasa", rivista che affonda le radici nei ricordi e nel pensiero niccolaiano. Che se poi tale nostra credenza fosse infondata, osiamo immaginare che, dove si trova, Beppe ce ne vorrà scusare, con la tolleranza «pluralistica» che sempre fu lecito attendersi da un uomo della sua finezza spirituale. Peraltro, nelle altezze dove ormai sono collocati, Egli ben si potrà spiegare con Enrico Mattei. E il colloquio fra i Due non dovrebbe rivestire, dopo i primi, inevitabili imbarazzi, grandi difficoltà. In fondo, Entrambi -ciascuno a suo modo e nel contesto proprio- hanno amato e servito quella cosa meravigliosa che, nonostante tutto, continua a essere l'Italia, e, in essa, il popolo italiano.

* * *
Diciamolo subito: Enrico Mattei è stato, al vertice della Resistenza, il comandante dei partigiani bianchi, ossia democratici cristiani. Ma come ebbe ad amministrare -sotto il profilo etico-culturale-politico- codesto retaggio castrense-resistenziale, tale ruolo storico?
Valgano, a qualificarne il modo, un paio di comportamenti, più illustrativi e significanti di qualsiasi trattato o discorso sui massimi sistemi. Lasciamo, in proposito, la parola a Giorgio Galli, autore nel 1976 de "La sfida perduta - Biografia politica di Enrico Mattei":
«Quanto agli uomini delle squadre di cui Mattei e Cefis si servono per l'operazione, sembra che non si tratti tanto di ex partigiani, quanto di ex fascisti e di cattolici di sicura fede integralista: a questo proposito la pubblicistica di sinistra insiste nelle sue critiche a Mattei per tutto il periodo 1950-1952. E del resto le posizioni pubbliche del fondatore della federazione volontari della libertà sono in questo periodo dominate dagli accenti della guerra fredda, mentre il capo del suo ufficio stampa, Vero Montebrugnoli, è un combattente della Repubblica Sociale: è la conciliazione nazionale all'insegna del populismo (che è alla base della cultura di Mattei) e dell'anticomunismo filo-americano del partigianesimo "bianco" di quegli anni».
Ma Vero Montebrugnoli non è l'unico collaboratore «compromettente» di Mattei. Infatti il leader dei partigiani bianchi (con al collo i fazzoletti verdi), di «repubblichini» nel suo staff ne ha vari. Per esempio, il pilota personale Irnerio Bertuzzi, già aerosiluratore dell'aviazione della Repubblica Sociale Italiana, giudicato dal Galli «uomo di grandissima esperienza e capacità», e perito con il suo capo. Ora, la «pubblicistica di sinistra» ebbe torto marcio ad attaccare Mattei per queste assunzioni sia di uomini che di responsabilità, perché Montebrugnoli, Bertuzzi e gli altri pari loro erano considerati dall'«Ingegnere» simboli. Che simboleggiavano cosa? La riconciliazione nazionale, il ricompattamento del popolo italiano, più che mai necessari -dopo i sanguinosi furori della guerra civile- per ricostruire non solo materialmente l'Italia e metterla così in condizione di affrontare le nuove sfide della storia in chiave di protagonismo. Non cinismo, dunque, nel Mattei, ma progressiva attuazione di una cultura nazionale popolare -e non genericamente populista-, in lui vivente e operante.
Peraltro, all'epoca, lo stesso progetto veniva accarezzato anche dai comunisti con una rivista, "II Pensiero Nazionale", diretta da Stanis Ruinas, giornalista e scrittore, direttore di quotidiani, reduce da una esperienza nei servizi stampa e propaganda di Salò. Non si era trattato di uno scherzo. Nella vicenda del «Nazip», infatti, figuravano in primo piano l'ammiraglio Ferruccio Ferrini, sottosegretario alla marina della Repubblica di Mussolini, e una serie di federali «pacificatori» del periodo '43-'44, per esempio il Montesi di Venezia. («Nazip» era beffardamente chiamata la pubblicazione dai suoi avversari fascisti e antifascisti). L'iniziativa si esaurì in sé stessa, non essendo conciliabile la visione nazionale popolare con la teoria dell'URSS stato-guida nelle lotte di emancipazione delle classi lavoratrici.
A proposito di stati-guida, è da rilevare che la caratteristica «filoamericana» dell'anticomunismo attribuito al padre dell'ENI non è un aspetto fondante e fondamentale del pensiero matteiano, bensì una parentesi, un momento; un elemento occasionale e transeunte, obbligato, frutto di uno stato di necessità derivante dall'ombra di Stalin proiettata sulla frontiera orientale. Valga, in proposito, quanto, ancora, ce ne dice Giorgio Galli:
«Solo collegando questa campagna propagandistica all'azione per assicurarsi fedeli collaboratori nella DC, è possibile cogliere nel suo insieme l'abile strategia che lo trasforma dall'anticomunista filoamericano del periodo fino al 1953 nell'uomo spinto dall'opinione pubblica al di sopra delle parti e dei partiti, ad assumere in proprio la tutela dell'interesse nazionale nel delicato settore delle fonti di energia. Anche con l'appoggio dei comunisti; e anche contro i petrolieri americani».
Ed ecco il Mattei costruttore, potenziatore, garante della parte nazionale popolare della Democrazia Cristiana: «L'asse della strategia rimane, naturalmente, l'acquisizione di forti posizioni di controllo nella DC. Si tratta di potenziare la Base; di liquidare Scelba; di rafforzare la posizione di Vanoni; di puntare su un candidato al Quirinale la cui linea politica sia conciliabile con l'assegnazione all'ENI di un ruolo di punta; senza però che il presidente dell'ENI sia condizionato dal presidente della repubblica; Gronchi si rivelerà il candidato rispondente a questi requisiti».
A chi non fosse edotto dei fatti democristiani faremo presente che la Base, definita «sinistra politica della DC», venne fondata da Mattei a Belgirate nel 1953, con apposito convegno cui intervenne unitamente al ministro Vanoni. Fra i punti programmatici: liquidazione del centrismo, attivo favore per l'autonomia dal PCI, del PSI, taglio del cordone ombelicale collegante la DC agli interessi capitalistici, rifiuto della versione egemonico-statunitense delle alleanze internazionali, potenziamento dell'industria di Stato, politica di centrosinistra.
Naturalmente Galli non è il solo che abbia scritto di Enrico Mattei. La produzione saggistica, memorialistica e giornalistica che lo riguarda -critica o agiografica che sia- è tanta. E le sue fonti più remote risalgono a prima della morte. Da tutte si ricavano, direttamente o indirettamente, le tracce nazionali e sociali della sua opera. Fermiamoci agli Anni Ottanta, per qualche citazione. Nell'87 così si esprime, ovviamente su "il Giornale", Indro Montanelli:
«Difficile da inquadrare perché era "bianco", con venature populiste e progressiste che si riallacciavano al filone dossettiano, senza slanci mistici e senza una autentica aspirazione alla politica in senso tradizionale. Era, per scelta di campo, atlantista, ma con forti connotazioni di orgoglio nazionale e di insofferenza per la filosofia economica americana».
Era «un imprenditore di Stato con un tocco di peronismo all'europea, e di gollismo alla sudamericana..., voleva che la mano pubblica avesse, nel mondo della produzione, un ruolo decisivo». Definizioni come «peronista» o «gollista», però, non sembrano adeguate. Preferiamo ritenerlo un neo-giobertiano di sinistra.
A sua volta Italo Pietra, amico e compagno di tante battaglie, afferma: «La sua fu la vita di un uomo orgoglioso, di un garibaldino erede di Machiavelli... che contrappose una sua via, quella del Terzo Mondo, alla strategia multinazionale delle Sette Sorelle e del loro cartello petrolifero». «Quando scese in campo contro le Sette Sorelle dalle quali era stato sbattuto fuori, schiacciato, ritenne di potersi comportare con la stessa durezza, di poter ricorrere agli stessi stratagemmi. In chiesa coi santi, in taverna coi ghiottoni... Era al di là degli interessi personali: aveva un fine: il bene comune. Ha operato in questo modo nel quadro di un Paese malgovernato». Quanto, poi, alla sua dottrina economica, «Mattei concepì un'industria pubblica capace di iniziative, non più un ospedale dove venivano raccolte le aziende sfruttate dai privati e poi abbandonate allo Stato».
Insomma, chi era Mattei per Italo Pietra? Presto detto: «Era uno che si era fatto da solo, un italiano nutrito di amor di patria, di passione, uno che riteneva che la fortuna bacia i forti, convinto che bisogna sapersi arrangiare perché le cose camminino, non nel senso degli interessi particolari ma generali». Era, quindi, un eroe nazionale popolare, espressivo del cattolicesimo democratico socialmente più avanzato. Con, per dirla gollianamente, «una certa idea dell'Italia».
E veniamo ai comunisti, i quali lo riscoprono dopo che, vivente, non erano stati affatto teneri con lui. Nell'88 Edoardo Gardumi scrive su "l'Unità": «Ci sono davvero pochi esempi nella storia di quegli anni di un industriale che si metta a capo di un ente pubblico in liquidazione e con scarse risorse, in un paese povero e ossessionato nei suoi gruppi dirigenti dal bisogno di mostrarsi ligio agli ordini della grande potenza vincitrice, e che tuttavia ha l'ardire di concepire e portare avanti una politica che è un'aperta sfida a gruppi potentissimi i cui interessi in larga parte vengono identificati con quelli dello stesso mondo libero. Mattei lo fa... L'Italia ha bisogno di energia, c'è chi ne ha il monopolio e con questo strumento pensa di poter governare il futuro di tutti. È una prospettiva inaccettabile, il mondo è ancora pieno di petrolio da scavare, basta avere il coraggio di andare dove l'artiglio del grande cartello non è ancora arrivato. Facile a dirsi, ma cercare di farlo in quegli anni significa tirarsi addosso tutti i potenti della terra...»
Si potrebbe, volendo, procedere senza soluzione di continuità. Ma... abbiamo terminato, prendendoci, magari, più spazio di quanto fosse giusto. Gli è che volevamo offrire taluni aspetti della interpretazione matteiana della cultura nazionale popolare, per invitare gli amici militanti in quello che definiremo il campo niccolaiano -ma non loro soltanto- a confrontarsi con essi. Sappiamo benissimo che questi amici, che si rispecchiano essenzialmente nelle pagine di "Tabularasa", sono diversi, e di non poco, dal «modello Mattei» -come chi stende queste note, del resto-, ma il concetto di confronto è stato elaborato per consentire ai diversi, ai distanti, ai disomogenei, di constatare l'esistenza eventuale della possibilità di un comune sentire su certi punti, per poter poi scegliere insieme e, se del caso, insieme lavorare. Anzitutto e soprattutto, si capisce, a livello di impegno culturale, di spinta propulsiva su di un piano ideale e creativo.

 

Enrico Landolfi

Indice