«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 2 (31 Marzo 1992)

 

le opinioni

 

Oltre la forma-Stato
Dalla Comunità organica alle autonomie popolari

 


Nel tempo in cui assistiamo all'esaurimento della Forma-Stato (oltre che alla definitiva delegittimazione della Forma-Partito), solo la Comunità di Popolo può costituire l'elemento fondante, non più solo ideale ma politico, di una lotta antagonista vincente.
La Comunità, dunque, e non lo Stato; il Popolo, quindi, e non la Nazione. Al di là della voluta provocazione lanciata contro certo nazionalismo statolatrico concettualmente labile e storicamente superato, occorre, alla luce degli eventi epocali, ridisegnare dottrina ed indirizzi e tracciare le vie del ritorno al Politico. Ed indicare le mète. Poiché lo Stato ha ormai cessato di essere il riferimento organico delle particolarità e delle specificità comunitarie ed è da tempo divenuto, grazie ai suoi apparati, una pura entità coattiva costruita al fine della tutela degli interessi partitici e delle lobbies economico-finanziarie, esso non esercita più alcuna funzione politica.
O lo Stato è inteso organicamente, come insieme di funzioni e di competenze e come conseguente riferimento e polo di Orientamento, o è una costruzione artificiosa voluta da centri di potere estranei alla realtà naturale.
A tale criterio d'identificazione non sfugge lo Stato Nazionale che ha rappresentato l'espressione storica di una modernità sorta come fuga degli interessi particolaristici dall'universalismo proprio di preesistenti forme statuali.
Lo stesso modo in cui in Italia si è giunti, e con notevole ritardo a fronte di altri paesi europei, all'edificazione dello Stato unitario ne è la prova. Il Risorgimento consegnò popoli affini ma diversi al giogo del liberalismo formalmente rappresentato dal Regno Sabaudo, dopo una serie di guerre coloniali che videro il prevalere del Nord evoluto e «progressista» sul Sud sottosviluppato e «retrogrado». Si pretese, in breve, «modernizzare» il Sud. Come si attuò la politica di modernizzazione è noto; e richiama, non a caso, certe operazioni neo-colonialiste dirette, in nome di un ipocrita assistenzialismo e di un falso solidarismo, allo sfruttamento del Terzo mondo; comunque ad omologarlo nella dimensione disperante dell'Occidentalismo egemone. Dopo la parentesi del Fascismo che cercò di coniugare le forme dello Stato con contenuti nazional-popolari, la Repubblica democratica ha consegnato le identità culturali e le specificità delle realtà popolari nelle mani delle lobbies multinazionali che agiscono in nome e per conto dell'Occidente antieuropeo, antitaliano e quindi mondialista.
Storicamente la «modernizzazione» italiana non si è realizzata in termini di unità nazionale. Se per Nazione si deve intendere un insieme coerente di valori e d'interessi comuni che rinvengono le loro radici nel legame di consonanza con le culture popolari e, dunque, con le identità di Popolo che la Nazione è in grado di trasformare in identità collettiva e d'interpretare legittimamente attraverso un'azione politica solidale, questo in Italia, fatta eccezione della parentesi fascista, non si è realizzato. Comunque non esiste più.
Solo la Comunità Nazionale, come sintesi di aggregazione organica della Comunità di Popolo, ha allora dignità politica e può rappresentare di conseguenza il superamento di certo particolarismo federal-minimalista che rinviene il suo punto di forza nella politica regionalistica delle Leghe. La Nazione, dunque, come Comunità solidale capace di rappresentare l'antitesi dell'individualismo e dell'egoismo di tipo leghista e di costituire il luogo ideale e naturale in cui rivitalizzare la difesa contro il modello di sviluppo capitalistico e contro la «modernizzazione» imposta dal sistema di potere multinazionale. Laddove, invece, l'idea di Nazione nella sua accezione illuministico-giacobina ha operato come agente distruttivo delle specificità e delle culture popolari. In analogia ed in sintonia con il progetto di una «Comunità Federale Europea» (sola a poter interpretare le nuove realtà emergenti dalla rottura degli equilibri mondiali) l'unica forma possibile di unità nazionale è in prospettiva costituita dalla «Federazione delle Comunità Popolari».
Poiché la realtà naturale e quindi organica di un Popolo si esprime compiutamente nelle Comunità, sono queste che devono essere al centro del processo di rifondazione dello Stato. Le Comunità di Popolo esigono la costituzione di una nuova serie di Autonomie Popolari dal cui accordo deve prender vita la Federazione.
Le Autonomie Popolari coincidono con il concetto della Regione-omogenea che non ha nulla a che fare con l'istituto geo-amministrativo regionale esistente. È alla Regione-omogenea che compete l'organizzazione autonoma delle realtà comunitarie che la compongono. Al criterio geo-amministrativo va dunque sostituito quello geo-politico incentrato sul legame di consonanza, del radicamento sul territorio dove cultura, tradizioni, storia, linguaggio e dimensione ecologica forniscono gli elementi caratterizzanti un'identità popolare. E dove vi è, e se più non esiste va ricostituita, una complementarietà delle risorse economiche e delle fonti di produzione. L'individuazione delle specificità regionali omogenee deve avvenire prescindendo dagli egoismi e dai particolarismi locali; in breve, da ogni condizionamento settoriale specie se fondato sul principio economicistico dell'utile.
Deve realizzarsi il ribaltamento del criterio che vede nell'utile l'interesse collante di una pluralità di individui stanziati su un territorio. Il cittadino e la Comunità sono i soggetti politici, sociali ed economici della Comunità Nazionale come espressione, come sintesi delle Autonomie Popolari. Di qui deve discendere una nuova articolazione dei rapporti e delle potestà che possa dar luogo ad un diverso assetto costituzionale che preveda la partecipazione diretta alle scelte politiche e di organizzazione della vita sociale e -simultaneamente- all'edificazione di un assetto economico incentrato non sul principio del profitto ma su quello organico della funzione produttiva orientata verso il «valore di servizio» per la Comunità. Sono i cittadini -gli uomini che vivono sul territorio e che operano nella Comunità- a dover scegliere non solo i propri rappresentanti nei governi locali (Comunità cittadina e Comunità regionale) ma gli stessi indirizzi di politica culturale, economica e finanziaria che dovranno poi integrarsi ed armonizzarsi con quelli delle altre entità etniche e geo-politiche che fanno parte della «Federazione delle Comunità Popolari».
Pensare alla ricostituzione dello Stato sulla base di un Progetto politico nuovo ed originale nel suo realismo vuole già dire tracciare linee d'intervento e fornire indirizzi di azione propositiva. La nostra ha l'ambizione di rappresentare una sfida epocale. Riteniamo che sia compito del pensiero antagonista giungere ad un'elaborazione del Progetto e ad una puntualizzazione tecnica delle istituzioni e degli organismi preposti al funzionamento della nuova entità statuale.
Ciò che ora importa è l'indicazione dei princìpi -oltre che dello spirito- cui deve informarsi il Progetto. Princìpi che devono escludere la partecipazione all'attività politica comunitaria di coloro che non siano disposti a rinunciare anche formalmente («voto di povertà») a qualsiasi remunera che ecceda quanto è ritenuto necessario per un sostentamento decoroso.
Princìpi che devono riconoscere il diritto di eleggere a coloro -i cittadini- che siano autenticamente liberi da condizionamenti e soggezioni in quanto posseggono un «reddito di cittadinanza» che va assicurato soltanto a chi opera e produce nella Comunità e per le Comunità. Princìpi che devono prevedere l'elezione diretta dei Capi delle Comunità cittadine e regionali e del Capo della Federazione preposta -sulla base di precisi criteri- ad assicurare un sistema di Giustizia fondato sulla certezza del diritto e sull'autonomia degli organi giudiziali sottratti alle pressioni dei vecchi gruppi di potere ed assoggettati al solo controllo comunitario; a presiedere allo sviluppo culturale ed alla pianificazione strategica dell'economia; a rappresentare a livello internazionale le proprie Comunità ed a tutelarne le specificità grazie anche all'approntamento dei più idonei strumenti di difesa e di sicurezza territoriale agenti in sintonia ed in raccordo organico con le esigenze di difesa e di sicurezza della «Comunità Federale Europea».
Lo Stato Federale dovrà promuovere in ambito europeo ogni iniziativa intesa a sganciare l'economia dai criteri mercantilistici, orientandola verso «valori di servizio» e non di semplice scambio, nello spirito di una concezione centrata sulla solidarietà tra i Popoli.
E sono i Popoli -in quanto espressione delle esigenze comunitarie- i proprietari delle risorse economiche e dei mezzi di produzione. In questa ottica la Banca e l'Impresa sono funzioni di servizio della Comunità ai cui cittadini spetta la proprietà e della moneta e del patrimonio sia degli Enti pubblici che delle grandi Aziende private. Di queste gli imprenditori chiamati a dirigerle hanno solo il possesso che non è ereditabile né alienabile. Insomma gli strumenti finanziari ed economici devono servire a realizzare il benessere della Comunità e non soddisfare le esigenze di usura e di profitto delle lobbies locali e multinazionali su cui si fonda il sistema mondialista.
Deve essere chiaro sino in fondo che gli uomini ed i Popoli che noi difendiamo non sono quelli che producono e consumano merci ma quelli che «sono» la Comunità e che se «hanno» lo hanno nella Comunità e per la Comunità.

 

Paolo Signorelli

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