Oltre il 5 Aprile
Non sarebbe serio e veritiero dire che le elezioni del 5 aprile scorso, proprio
perché non appartenevamo né ci riconoscevamo in alcun partito politico, non ci
hanno interessato, riguardato. Ci hanno interessato, eccome! E le abbiamo
guardate, per la prima volta, con un occhio diverso, forse anche più attento. Ne
abbiamo colto la specificità e letto le risultanze senza animosità, preconcetti
e pregiudizi, senza soffermarci più di tanto sullo zero virgola qualcosa in più
o in meno, come ci era capitato per moltissimi anni. Le abbiamo lette
soprattutto in chiave futura. Vi abbiamo visto sì il vecchio ma anche e
principalmente il nuovo che c'era, che c'è. Per vedere se per noi antagonisti
gli spazi si restringevano o si allargavano. Liberi da logiche incapacitanti di
preferenze, di seggi, di cordate, di giochetti, più o meno puliti, di invidie,
di personalismi. In breve al di là e al di fuori di logiche partitocratiche e
clientelari. Sicuramente colpiti, più di ogni altra volta, dal disgusto nel
vedere tanti e tanti miliardi gettati al vento nella rincorsa, ahimè anche in
questo caso tanto americana, del voto preferenziale.
Ma non è di questo che vogliamo parlare. Neppure di altre cose quasi scontate e
largamente previste come l'avanzata leghista, l'ulteriore crollo dell'area
comunista, la stessa sconfitta democristiana, l'astensionismo ed il distacco
crescenti, la fine dell'onda lunga craxiana, il calo della cosiddetta sinistra
in generale.
Un primo dato importante che emerge è che, nel complesso, in Italia si vota
sempre ancora troppo per appartenenza, nostalgismo, sentimentalismo o, peggio
ancora, per clientelismo.
Non si vota mai, o quasi mai, per un progetto politico. Si vota, sempre ed
ancora, condizionati da paure, ricatti e pregiudizi che in teoria si sostiene
non avere più senso e volere superare ma che poi, nella pratica, esistono e
pesano.
Si vota, sempre ed ancora, condizionati dai vecchi e stantii schemi di destra e
sinistra.
Si potrebbe anche dire che oramai si vota più per abitudine che per convinzione.
Si va a votare, e questo accade per un numero sempre maggiore di italiani,
convinti di dare un voto di protesta e di cambiamento. Ma poi tutto resta come
prima, o peggio di prima. Tutto è immutabile. Tutto è tremendamente
sclerotizzato. Il voto di protesta non ha sbocchi. Chi va alla opposizione si
comporta come chi governa. La storia di questi 45 anni lo dimostra. È piena di
esempi eclatanti ed emblematici. Il voto di protesta, elargito da tanti italiani
e con tanta fiducia, è sempre stato tradito.
È successo nel 1972 con il MSI, nel 1976 con il PCI, più di recente con i
radicali e verdi, oggi con le leghe. Si parla sempre, tanto e troppo di
opposizione ma poi nessuno la esercita fino in fondo.
Non esiste una reale alternativa allo strapotere dei partiti e dei politicanti
che tutto soffocano e tutto riciclano con cinismo e arroganza. Cresce, e questo
è un dato inconfutabile, il numero degli scontenti, di coloro che non ci stanno.
Ma niente cambia. Andare a votare con le logiche attuali, non ha più senso.
Tutto viene triturato dalla mostruosa e consolidata macchina partitocratica.
Regna il conservatorismo più assoluto. Con il beneplacito di chi governa e di
chi dice di stare alla opposizione. Tutti tesi a sopravvivere, ad accaparrarsi
poltrone, poltroncine e sgabelli. Pronti a dire tutto ed il contrario di tutto.
Fiumi di parole, miriadi di dibattiti, chilometri di scritti. Tutto viene
manipolato e confezionato dai mass-media. Inesorabilmente. E così si continua a
parlare, grande bluff anche questo, di unità a sinistra e di vento di destra.
Come se in un caso o nell'altro qualche cosa cambiasse. Una truffa. Tutti
d'accordo nel mantenere i loro orticelli, grandi o piccoli che siano. Nel
consolidare certi privilegi. A sinistra, al centro, a destra.
Mai, come in questa campagna elettorale, non si è parlato di progetti politici.
Di programmi. Di valori. Di cose da farsi. Si è parlato esclusivamente di
preferenze e di formule di governo. Cene, spettacoli, spots pubblicitari,
manchettes sui giornali. Punto e basta.
Alla barba degli sfrattati, dei senza casa, dei disoccupati, del problema droga
e mafia, degli ospedali che non funzionano, della scuola che è nel caos, dei
servizi da terzo mondo, del problema della immigrazione. In spregio a coloro che
non ce la fanno più. Alla comunità che va alla deriva, americanizzata e
spappolata oltre ogni misura.
Tutte queste cose, ed altre ancora, abbiamo visto e rivisto prima e dopo il voto
del 5 aprile. Noi che abbiamo deciso di combattere le logiche partitocratiche e
clientelari di questo perverso sistema. Noi antagonisti. Perché vogliamo
imparare a conoscere anche le ragioni di altri antagonisti che non possono
essere molto diverse dalle nostre. Per costruire insieme un'area del dissenso e
al tempo stesso una autentica alternativa. Trasversale. Al di sopra di vecchi
schematismi. Legati pur sempre alle radici che ci hanno generati e alle quali
siamo tenacemente attaccati, così come altri antagonisti lo sono alle loro.
Convinti, come siamo, che esiste ancora la possibilità di parlare con la gente.
Da uomini liberi. Forti delle proprie idee e convinzioni, ma senza integralismi
di setta, senza preclusioni o steccati anacronistici. Quanto ci sta di fronte ed
accanto va distrutto. Ma non lo si farà mai con il falso e ipocrita piccone di
chi questo male ha pesantemente contribuito ad edificare. Né con coloro che, pur
di restare a galla e raccattare qualche passeggero voto, questo piccone, tanto e
troppo democristiano, hanno maldestramente e pateticamente impugnato, rinnegando
radici antiche e storia recente. Ma coagulando quell'insieme di antagonismi che
hanno, come noi, mille e mille ragioni per combattere e tanta voglia del nuovo.
Per uscire da questo tipo di società egoista, massificata, sclerotizzata,
asociale e americanizzata fino al midollo.
Questo è, e deve essere, il nostro antagonismo. Non un nuovo partito, che
sarebbe subito vecchio ed inutile, ma qualcosa di diverso e di assai più
importante.
Qualcosa che tocchi le coscienze e dia anima e coraggio a tutti coloro che non
ci stanno.
Gianni
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