«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 3 (31 Maggio 1992)

 

25 Aprile 1993

 


«Siamo fiaccole di vita, siamo l'eterna gioventù»
(Inno degli universitari o forse una vecchia ninna nanna)


Dal "Gesù di Nazareth" di Franco Zeffirelli: gli zoccoli di Roma imperiale strusciano nervosi sui gradini di un tempio giudeo, e i soldati implacabili scacciano ad uno ad uno i fedeli. Roma, cioè io, noi, la radice di un'immedesimazione. Da "Ben Hur": un rostro in miniatura applicato alla biga del comandante pagano maciulla la ruota dell'eroe buono affidato alla luce del Cristo, la polvere dell'arena gronda del sangue dei martiri, io sono spettatore e mi sento già sconfitto che il mio comandante è cattivo, e tutti gli altri tifano per la bontà mentre gli occhi di Hollywood sono rivolti al Cielo. Una barriera di filo spinato, le torrette di legno e una sventagliata rabbiosa di mitragliatrice, la voce di Hitler. Ancora una scena ricorrente: il prete buono di Rossellini falciato alla schiena. Povertà, miseria, fame, dolore, bontà, zucchero, letizia e carie.
Non esiste un solo film dove noi cattivi si vinca. Sempre cattivi, sempre criminali, sempre sconfitti: romani, vandali, barbari, feudatari, signori, ricchi, aristocratici, squadristi, fascisti, nazisti. Custodi della malignità, vestali della criminalità, lontani dalla pietà. In ogni film dobbiamo scontare il prezzo della nostra alterità.
Ma oggi è la festa dei nostri vicini. Oggi infatti voglio salutare il 25 aprile degli altri con il 25 aprile che verrà in una pubblica piazza del 1993 dove mi piace pensare che ci sarà un comizio di raccoglimento, un comizio di rigorosa bontà, un comizio dove per esempio gli oratori potrebbero essere Nando Dalla Chiesa -eroe delle cosiddetta società civile- e Fabio Granata -soldato del neofascismo prestato alla nebulosa di un sospetto di conversione-, un comizio manifestazione organizzato dalla Rete con la partecipazione di tutte le associazioni pacifiste, con "Città del Sole", "Città Nuova", "Città Aperta", con i ritratti di Dossetti, il moccolo di Norberto Bobbio, l'olio solare di Leoluca, le ragazzine con le magliette che cantano.
Arriveranno gli ecologisti, i teorici delle neosintesi, i praticanti e i mistici del pero; e mi piace pensare di potermi aggirare anch'io nella pubblica piazza di questo anno a venire armato di grammofono e di un vecchio disco, come un Don Camillo furioso che aspetta il comizio di Peppone trincerato nel campanile della chiesa.
Ricordate i films ispirati a "Mondo piccolo"? In questi films noi cattivi si prendeva una bella soddisfazione, ricordate: una folla di trinariciuti compagni, un palco addobbato per il 25 aprile, i burocrati della federazione e Peppone. Ricordate il ghigno di don Camillo: parla pure Peppone, parla pure dei lavoratori, della democrazia, delle madri che stringono i figli nella promessa di pace, parla pure della colomba, della retorica patriottarda, parla che ti metto dal campanile la "Leggenda del Piave", «l'esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera» e ti spuntano i lucciconi, ritorna la fratellanza del fango e delle trincee, ritorna il sorriso delle loro Maestà, l'eroismo della classe di ferro e giù nel comizio per chiamare le nuvole che strisciano care sulla testa per invocare la gioia di un'appartenenza di fede anche fascistissima, e quindi parla caro Fabio da quel palco, io sono don Camillo, parla dell'altrove e dell'altro da sé, della comunità che cerca un percorso che ti metto dal campanile le più belle canzoni che cantiamo sempre quando siamo chiusi in macchina, o quando vogliamo fare rizzare i capelli alla gentuzza normale, «per le vie del nuovo impero - per vincere ci vogliono i leoni - battaglioni del Duce, battaglioni - in alto i cuori - giovinezza, giovinezza» - parla della fiamma che brucia nel petto e che a passo romano si va, parla che mi fregherò le mani all'idea di vederti trasformare in una specie di Conan il barbaro, parla di questo nostro destino di essere nemici, cattivi, lontani, parla della nostra furia di sangue, cervello, cuore, parla delle donne che ci adorano, parla della vittoria di un'idea sbocciata da Omero, da Ulisse, dagli dei, da Filippo Tomaso Marinetti, parla del romanticismo dello sguardo, strappagli i baffi a Dalla Chiesa, spalanca con la forza di un tremendo ruggito la nostra razza, piscia su Dossetti e su Bobbio, come il Poeta soldato che imbrattava con gli orinali la sollecitudine amorosa dei virtuosi.
Parla furioso che noi abbiamo un mantello che sulle nostre spalle ci tramanda il respiro dei nostri morticini, un mantello che ci attabarra per attraversare protetti e coccolati questa Italia buia che non conosce il frizzo della libertà, la libertà del cervello, la libertà del sogno, la libertà dai dogmi.
Ho visto che negli scaffali dello studio della tua nuova casa c'è uno spazio che deve essere riempito; la foto di tua nonna? La foto di Paola con la celtica, fiamma tricolore su base trapezoidale che guizza, il busto del Duce.
Ha ragione Cossiga, in Italia c'è chi ha le sue radici nel ghepeù, nel KGB, nelle putride sagrestie e chi invece -come e come te- custodisce le proprie radici nella volontà sociale di Benito Mussolini.
Come dice Totò: «nui simmu seri, appartenimu a 'mmorte».
Scrivo da Napoli e ti dico: «torna sta casa aspetta a 'tte».
Saluto al Duce.
 

Pietrangelo Buttafuoco

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