25 Aprile 1993
«Siamo fiaccole di vita, siamo l'eterna gioventù»
(Inno degli universitari o forse una vecchia ninna nanna)
Dal "Gesù di Nazareth" di Franco Zeffirelli: gli zoccoli di Roma imperiale
strusciano nervosi sui gradini di un tempio giudeo, e i soldati implacabili
scacciano ad uno ad uno i fedeli. Roma, cioè io, noi, la radice di
un'immedesimazione. Da "Ben Hur": un rostro in miniatura applicato alla biga del
comandante pagano maciulla la ruota dell'eroe buono affidato alla luce del
Cristo, la polvere dell'arena gronda del sangue dei martiri, io sono spettatore
e mi sento già sconfitto che il mio comandante è cattivo, e tutti gli altri
tifano per la bontà mentre gli occhi di Hollywood sono rivolti al Cielo. Una
barriera di filo spinato, le torrette di legno e una sventagliata rabbiosa di
mitragliatrice, la voce di Hitler. Ancora una scena ricorrente: il prete buono
di Rossellini falciato alla schiena. Povertà, miseria, fame, dolore, bontà,
zucchero, letizia e carie.
Non esiste un solo film dove noi cattivi si vinca. Sempre cattivi, sempre
criminali, sempre sconfitti: romani, vandali, barbari, feudatari, signori,
ricchi, aristocratici, squadristi, fascisti, nazisti. Custodi della malignità,
vestali della criminalità, lontani dalla pietà. In ogni film dobbiamo scontare
il prezzo della nostra alterità.
Ma oggi è la festa dei nostri vicini. Oggi infatti voglio salutare il 25 aprile
degli altri con il 25 aprile che verrà in una pubblica piazza del 1993 dove mi
piace pensare che ci sarà un comizio di raccoglimento, un comizio di rigorosa
bontà, un comizio dove per esempio gli oratori potrebbero essere Nando Dalla
Chiesa -eroe delle cosiddetta società civile- e Fabio Granata -soldato del
neofascismo prestato alla nebulosa di un sospetto di conversione-, un comizio
manifestazione organizzato dalla Rete con la partecipazione di tutte le
associazioni pacifiste, con "Città del Sole", "Città Nuova", "Città Aperta", con
i ritratti di Dossetti, il moccolo di Norberto Bobbio, l'olio solare di Leoluca,
le ragazzine con le magliette che cantano.
Arriveranno gli ecologisti, i teorici delle neosintesi, i praticanti e i mistici
del pero; e mi piace pensare di potermi aggirare anch'io nella pubblica piazza
di questo anno a venire armato di grammofono e di un vecchio disco, come un Don
Camillo furioso che aspetta il comizio di Peppone trincerato nel campanile della
chiesa.
Ricordate i films ispirati a "Mondo piccolo"? In questi films noi cattivi si
prendeva una bella soddisfazione, ricordate: una folla di trinariciuti compagni,
un palco addobbato per il 25 aprile, i burocrati della federazione e Peppone.
Ricordate il ghigno di don Camillo: parla pure Peppone, parla pure dei
lavoratori, della democrazia, delle madri che stringono i figli nella promessa
di pace, parla pure della colomba, della retorica patriottarda, parla che ti
metto dal campanile la "Leggenda del Piave", «l'esercito marciava per raggiunger
la frontiera, per far contro il nemico una barriera» e ti spuntano i lucciconi,
ritorna la fratellanza del fango e delle trincee, ritorna il sorriso delle loro
Maestà, l'eroismo della classe di ferro e giù nel comizio per chiamare le nuvole
che strisciano care sulla testa per invocare la gioia di un'appartenenza di fede
anche fascistissima, e quindi parla caro Fabio da quel palco, io sono don
Camillo, parla dell'altrove e dell'altro da sé, della comunità che cerca un
percorso che ti metto dal campanile le più belle canzoni che cantiamo sempre
quando siamo chiusi in macchina, o quando vogliamo fare rizzare i capelli alla
gentuzza normale, «per le vie del nuovo impero - per vincere ci vogliono i leoni
- battaglioni del Duce, battaglioni - in alto i cuori - giovinezza, giovinezza»
- parla della fiamma che brucia nel petto e che a passo romano si va, parla che
mi fregherò le mani all'idea di vederti trasformare in una specie di Conan il
barbaro, parla di questo nostro destino di essere nemici, cattivi, lontani,
parla della nostra furia di sangue, cervello, cuore, parla delle donne che ci
adorano, parla della vittoria di un'idea sbocciata da Omero, da Ulisse, dagli
dei, da Filippo Tomaso Marinetti, parla del romanticismo dello sguardo,
strappagli i baffi a Dalla Chiesa, spalanca con la forza di un tremendo ruggito
la nostra razza, piscia su Dossetti e su Bobbio, come il Poeta soldato che
imbrattava con gli orinali la sollecitudine amorosa dei virtuosi.
Parla furioso che noi abbiamo un mantello che sulle nostre spalle ci tramanda il
respiro dei nostri morticini, un mantello che ci attabarra per attraversare
protetti e coccolati questa Italia buia che non conosce il frizzo della libertà,
la libertà del cervello, la libertà del sogno, la libertà dai dogmi.
Ho visto che negli scaffali dello studio della tua nuova casa c'è uno spazio che
deve essere riempito; la foto di tua nonna? La foto di Paola con la celtica,
fiamma tricolore su base trapezoidale che guizza, il busto del Duce.
Ha ragione Cossiga, in Italia c'è chi ha le sue radici nel ghepeù, nel KGB,
nelle putride sagrestie e chi invece -come e come te- custodisce le proprie
radici nella volontà sociale di Benito Mussolini.
Come dice Totò: «nui simmu seri, appartenimu a 'mmorte».
Scrivo da Napoli e ti dico: «torna sta casa aspetta a 'tte».
Saluto al Duce.
Pietrangelo Buttafuoco
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