«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 3 (31 Maggio 1992)

 

Giacomo Mancini

 


Le ultime elezioni in Calabria hanno riservato una sorpresa, abbastanza sgradita per chi intende confrontare i problemi della regione su un piano strettamente politico, nella mancata rielezione dell'on. Giacomo Mancini. Mancini, 76 anni, deputato dal 1948, segretario nazionale del PSI agli inizi del '70, ha pagato la voglia e la necessità di far pulizia all'interno di un partito che, a Milano come a Cosenza, attraversa una grave crisi di identità. Un partito miseramente uscito dalla maggioranza regionale, commissariato da un decennio, retto da un personaggio alquanto discutibile come Giusy La Ganga.
Subito dopo l'esito nefasto del 6 aprile, sono andato ad esprimere al vecchio leader socialista, la solidarietà di un giovane che non ha conosciuto, per ovvi motivi, il suo verbo politico ma che ne ha sempre discusso i pregi ed i difetti all'interno di una comunità che ha sempre vissuto sotto l'egida di Giacomo Mancini arrivando spesso e volentieri a dimenticare schieramenti e contrapposizioni ideologiche originali per porsi, di volta in volta, prò o contro il deputato socialista.

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Ho espresso personalmente a Mancini i dubbi e le perplessità sulla sua mancata rielezione. Pensavo, e tuttora penso, che essa sia stata determinata da fattori anche esterni al suo partito, seppur trasversalmente attaccati, e che riguardano la gestione del territorio calabrese, la volontà di dissenso verso una logica politica stantia ed assistenziale che ha bloccato lo sviluppo della regione in tutti questi anni.
Le dichiarazioni di Mancini, secondo cui la sua esclusione è dovuta al fatto che Egli non ha voluto l'appoggio della mafia, sono cosa nota e riguardano, adesso, la magistratura. Mi sembra più interessante, però, dilungarsi su alcune dichiarazioni politiche che l'ex segretario di via del Corso ha fatto e su cui, lo stesso Beniamino Donnici si è soffermato in una brillante, lunga, intervista, concessa ad una televisione locale cosentina.
La DC è la Lega del Meridione -ha detto Mancini- con il suo perenne emergenzialismo, il suo assistenzialismo di stato. La DC è, paradossalmente, la Lega Meridionale. Fa leva su un falso corporativismo, su un azionariato politico popolare che, storicamente, nel Mezzogiorno d'Italia ha superato quello del PCI. In questo senso -aveva dichiarato Mancini- si spiega la forza della DC, del suo solidarismo clientelare.
Questa analisi sul ruolo di Governo-Opposizione ritengo sia ancora più importante, ai fini politici, delle dichiarazioni sul voto inquinato che hanno scosso l'intero apparato politico della regione. La figura di Giacomo Mancini si recupera, diventa attuale, propositiva, in questo senso. Nella capacità di sganciarsi da una logica del ruolo, che provvede a «tutto sintetizzare», nella volontà di ritornare ad una fase di rifondazione politica.
«La gestione di una protesta in mera protesta; qui sta la forza di chi non protesta», scriveva l'indimenticato, e troppo dimenticato, Giuseppe Berto.
Non sembri vittimismo, delazionismo, lo sfogo di Mancini che ai più può apparire come il lamento di un uomo non più addentro al potere. Se si capisce la figura di quest'uomo politico, dal passato pieno di errori, si sovviene alla constatazione della mancanza di un punto di riferimento «pensante» della terra del Cardinale Ruffo. Ma è dalla voglia di riscatto, retorica ma non teorica, che questa calda terra esprime, che parte l'invito a questo indomito uomo di 76 anni di continuare la sua azione. Il rinnovamento non passi verso chi è giovane e suddito, ma attraversi chi è capace di superare sé stesso, il suo passato, in ossequio ad una verità suprema che, in Calabria soprattutto, lungi dall'essere ricapitolazione, è trasformazione.


Mario Campanella

 

 



Mi permetto di aggiungere una testimonianza alle riflessioni dell'amico Campanella.
In uno dei non rari incontri di questi giorni, è stata chiesta all'on. Mancini un'intervista che avrebbe dovuto essere pubblicata proprio su questo numero di "Tabularasa". Con squisita cortesia e con grande senso di responsabilità, l'anziano leader socialista ci ha spiegato come non ritenesse opportuno, al momento, contravvenire alla regola del silenzio su vicende particolarmente delicate -e per più versi esplosive- delle quali si sta occupando la Magistratura.
Lo Stile è inconfondibile. E disegna i contorni di un uomo perfettamente consapevole di quanto la propria vicenda umana e politica sia profondamente legata, nel bene e nel male, alla cultura, alla storia, all'anima stessa di una Terra gravida di contraddizioni e di umori forti. Già, lo Stile. Che non può e non deve venir meno anche quando molte cose feriscono, tanti affetti vacillano, amici di ieri ti voltano le spalle pronti a salire sul carro del vincente di turno e ti ritrovi, spesso, con nuovi ed inattesi compagni di viaggio. Quello Stile che difetta a vecchi mandarini ed aspiranti stregoni, gli uni e gli altri abbarbicati come l'edera alle fumanti macerie di un impero che crolla, giorno dopo giorno.
Chi resterà in piedi? Chi si salverà dalla frana?
Non certo gli omuncoli, incolti ed arroganti, protagonisti di una scena sulla quale, vivaddio!, sta calando per sempre il sipario. Non i furbastri ed i mediocri, i rotori ed i demagoghi. Non gli arrivisti od i trasformisti e neppure gli imbalsamati. Non i sordi, né i ciechi. I vivi, soltanto i vivi vivranno. E si daranno il compito di rimettere le pietre una sull'altra non per ricostruire, ma per costruire il nuovo. Ex novo. E poiché -a differenza delle mode che regolano ed omologano l'esistente, in un'ottica di mera sopravvivenza- ci ostiniamo a considerare lo Stile come una delle misure fondamentali della vita, tratto inconfondibile di quegli uomini capaci di oltrepassare il vuoto che ci sta davanti, del quale molti sono terrorizzati; e ritenendo noi di possederne, magari con un pizzico di presunzione...; ecco:'per questo siamo convinti che ci ritroveremo ancora sulla stessa strada di quel vecchio socialista cosentino, sanguigno quanto saggio, sereno e determinato, gli occhi profondi ed accattivanti, capaci di guardare avanti, di andare oltre. Se le nostre sensazioni non ci tradiscono, ospiteremo presto le riflessioni di Mancini su "Tabularasa". E ne saremo felici. Ma ancora di più lo saremmo se potessimo immaginare di recuperare il suo impegno politico, culturale e programmatico ad una Calabria che non può fare a meno di uomini come lui e che ha bisogno -Dio sa quanto!- di essere davvero e definitivamente «liberata».
 

Beniamino Donnici

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