Giacomo Mancini
Le ultime elezioni in Calabria hanno riservato una sorpresa, abbastanza sgradita
per chi intende confrontare i problemi della regione su un piano strettamente
politico, nella mancata rielezione dell'on. Giacomo Mancini. Mancini, 76 anni,
deputato dal 1948, segretario nazionale del PSI agli inizi del '70, ha pagato la
voglia e la necessità di far pulizia all'interno di un partito che, a Milano
come a Cosenza, attraversa una grave crisi di identità. Un partito miseramente
uscito dalla maggioranza regionale, commissariato da un decennio, retto da un
personaggio alquanto discutibile come Giusy La Ganga.
Subito dopo l'esito nefasto del 6 aprile, sono andato ad esprimere al vecchio
leader socialista, la solidarietà di un giovane che non ha conosciuto, per ovvi
motivi, il suo verbo politico ma che ne ha sempre discusso i pregi ed i difetti
all'interno di una comunità che ha sempre vissuto sotto l'egida di Giacomo
Mancini arrivando spesso e volentieri a dimenticare schieramenti e
contrapposizioni ideologiche originali per porsi, di volta in volta, prò o
contro il deputato socialista.
* * *
Ho espresso personalmente a Mancini i dubbi e le perplessità sulla sua mancata
rielezione. Pensavo, e tuttora penso, che essa sia stata determinata da fattori
anche esterni al suo partito, seppur trasversalmente attaccati, e che riguardano
la gestione del territorio calabrese, la volontà di dissenso verso una logica
politica stantia ed assistenziale che ha bloccato lo sviluppo della regione in
tutti questi anni.
Le dichiarazioni di Mancini, secondo cui la sua esclusione è dovuta al fatto che
Egli non ha voluto l'appoggio della mafia, sono cosa nota e riguardano, adesso,
la magistratura. Mi sembra più interessante, però, dilungarsi su alcune
dichiarazioni politiche che l'ex segretario di via del Corso ha fatto e su cui,
lo stesso Beniamino Donnici si è soffermato in una brillante, lunga, intervista,
concessa ad una televisione locale cosentina.
La DC è la Lega del Meridione -ha detto Mancini- con il suo perenne
emergenzialismo, il suo assistenzialismo di stato. La DC è, paradossalmente, la
Lega Meridionale. Fa leva su un falso corporativismo, su un azionariato politico
popolare che, storicamente, nel Mezzogiorno d'Italia ha superato quello del PCI.
In questo senso -aveva dichiarato Mancini- si spiega la forza della DC, del suo
solidarismo clientelare.
Questa analisi sul ruolo di Governo-Opposizione ritengo sia ancora più
importante, ai fini politici, delle dichiarazioni sul voto inquinato che hanno
scosso l'intero apparato politico della regione. La figura di Giacomo Mancini si
recupera, diventa attuale, propositiva, in questo senso. Nella capacità di
sganciarsi da una logica del ruolo, che provvede a «tutto sintetizzare», nella
volontà di ritornare ad una fase di rifondazione politica.
«La gestione di una protesta in mera protesta; qui sta la forza di chi non
protesta», scriveva l'indimenticato, e troppo dimenticato, Giuseppe Berto.
Non sembri vittimismo, delazionismo, lo sfogo di Mancini che ai più può apparire
come il lamento di un uomo non più addentro al potere. Se si capisce la figura
di quest'uomo politico, dal passato pieno di errori, si sovviene alla
constatazione della mancanza di un punto di riferimento «pensante» della terra
del Cardinale Ruffo. Ma è dalla voglia di riscatto, retorica ma non teorica, che
questa calda terra esprime, che parte l'invito a questo indomito uomo di 76 anni
di continuare la sua azione. Il rinnovamento non passi verso chi è giovane e
suddito, ma attraversi chi è capace di superare sé stesso, il suo passato, in
ossequio ad una verità suprema che, in Calabria soprattutto, lungi dall'essere
ricapitolazione, è trasformazione.
Mario
Campanella
Mi permetto di aggiungere una testimonianza alle riflessioni dell'amico
Campanella.
In uno dei non rari incontri di questi giorni, è stata chiesta all'on. Mancini
un'intervista che avrebbe dovuto essere pubblicata proprio su questo numero di
"Tabularasa". Con squisita cortesia e con grande senso di responsabilità,
l'anziano leader socialista ci ha spiegato come non ritenesse opportuno, al
momento, contravvenire alla regola del silenzio su vicende particolarmente
delicate -e per più versi esplosive- delle quali si sta occupando la
Magistratura.
Lo Stile è inconfondibile. E disegna i contorni di un uomo perfettamente
consapevole di quanto la propria vicenda umana e politica sia profondamente
legata, nel bene e nel male, alla cultura, alla storia, all'anima stessa di una
Terra gravida di contraddizioni e di umori forti. Già, lo Stile. Che non può e
non deve venir meno anche quando molte cose feriscono, tanti affetti vacillano,
amici di ieri ti voltano le spalle pronti a salire sul carro del vincente di
turno e ti ritrovi, spesso, con nuovi ed inattesi compagni di viaggio. Quello
Stile che difetta a vecchi mandarini ed aspiranti stregoni, gli uni e gli altri
abbarbicati come l'edera alle fumanti macerie di un impero che crolla, giorno
dopo giorno.
Chi resterà in piedi? Chi si salverà dalla frana?
Non certo gli omuncoli, incolti ed arroganti, protagonisti di una scena sulla
quale, vivaddio!, sta calando per sempre il sipario. Non i furbastri ed i
mediocri, i rotori ed i demagoghi. Non gli arrivisti od i trasformisti e neppure
gli imbalsamati. Non i sordi, né i ciechi. I vivi, soltanto i vivi vivranno. E
si daranno il compito di rimettere le pietre una sull'altra non per ricostruire,
ma per costruire il nuovo. Ex novo. E poiché -a differenza delle mode che
regolano ed omologano l'esistente, in un'ottica di mera sopravvivenza- ci
ostiniamo a considerare lo Stile come una delle misure fondamentali della vita,
tratto inconfondibile di quegli uomini capaci di oltrepassare il vuoto che ci
sta davanti, del quale molti sono terrorizzati; e ritenendo noi di possederne,
magari con un pizzico di presunzione...; ecco:'per questo siamo convinti che ci
ritroveremo ancora sulla stessa strada di quel vecchio socialista cosentino,
sanguigno quanto saggio, sereno e determinato, gli occhi profondi ed
accattivanti, capaci di guardare avanti, di andare oltre. Se le nostre
sensazioni non ci tradiscono, ospiteremo presto le riflessioni di Mancini su
"Tabularasa". E ne saremo felici. Ma ancora di più lo saremmo se potessimo
immaginare di recuperare il suo impegno politico, culturale e programmatico ad
una Calabria che non può fare a meno di uomini come lui e che ha bisogno -Dio sa
quanto!- di essere davvero e definitivamente «liberata».
Beniamino
Donnici
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