le lettere
Todi, 27 marzo 1992
On. Gianfranco Fini
Via della Scrofa, 39
00186 Roma
Dopo trentanove anni di ininterrotta militanza, attraverso un processo di
interna macerazione che da Sorrento in poi è divenuto sempre più lacerante,
sento, alla vigilia del prossimo turno elettorale, di non poter votare MSI.
Rassegno pertanto le mie dimissioni dal partito e dalla carica che rivesto in
Commissione Centrale di Disciplina.
Nei partiti si sta o per interesse o per entusiasmo. Io non ho interessi e
l'entusiasmo me lo avete fatto passare...
Comincio «dall'ultimo Almirante», con la oscura liquidazione della vicenda
massoneria, con il torbido salvataggio di Andreotti, con la poco onorevole
accettazione di amnistia su Peteano; poi lo scorretto atteggiamento al Congresso
di Sorrento con il quale, lui che dell'unità del partito aveva fatto un feticcio
paralizzante di ogni dibattito interno, pur di perpetuare sé stesso, con lucida
e cinica determinazione, spaccava irrimediabilmente il MSI in due tronconi.
Quindi, la tua segreteria. Che, dopo essere abortita a Taormina, era stata di
nuovo concepita nel «salotto».
Vedi Fini, io non mi scandalizzo più di tanto per il salotto in quanto tale. Già
nell'Ottocento si faceva e con successo, politica nei salotti. Solo che, in
quello della contessa Maffei si riuniva il fior fiore della intellettualità
lombarda, in un fervore di attività e di speranze patriottiche. Si faceva il
Risorgimento. Nel salotto Stramandinoli invece, si tesseva l'intrigo, si davano
e si toglievano le stellette, sì rimandava la massoneria in Parlamento contro il
volere degli elettori romani, si sponsorizzava pesantemente la candidatura del
giovane Fini per contare ancora di più in Via della Scrofa, onde soddisfare un
inesauribile bisogno di mondanità. Alla faccia della più generosa e tormentata e
perseguitata Comunità politica; e dei nostri ragazzi morti. Morti anche per
questo. Purtroppo.
Dunque, la tua prima segreteria. Hai 35 anni: magnifici, per tirare fuori il
partito dalle secche, per dargli slancio e contestualmente occasione di
ripensarsi, per conquistare in positivo e senza demagogia quella splendida base
giovanile che aveva preferito il sessantenne Rauti all'ex segretario del Fronte
della Gioventù.
Magnifici, per risvegliare una Comunità che si riconosca nella difesa davanti
alla omologazione mondiale, ad un cosmopolitismo senz'anima e senza ideali;
nella difesa delle identità minacciate che sono l'Albero, il Fiume, il Mare,
l'Aria, ciò che ci ha costruito Popolo, che ci da un volto, che ci dice chi
siamo.
È il nuovo concetto di Patria. Da difendere, a favore dei poveri contro i
ricchi, del sangue contro l'oro, del lavoro contro l'usura.
Magnifici i tuoi 35 anni e potenzialmente dirompenti, per lanciare messaggi
forti che diano pugni nello stomaco alla società; che generino odii o consensi,
non importa, ma che ci facciano riconoscere, che ci distinguano da codesta
democrazia consociativa che al posto delle idee si nutre di affari, che al posto
delle passioni e delle idee si accorda sulle tangenti.
La DC all'opposizione in tutto il Paese: messaggio forte e degno di un MSI
tornato a costruire politica; una politica che non sia un feticcio, ma uno
strumento per affermare un progetto. Messaggio non velleitario ma credibile, per
un MSI che esca dall'immobilismo, che si liberi dalla suggestione di sterili
nostalgie quanto dalla tentazione di fughe in avanti, che scelga in quale
direzione muoversi, quali valori sottolineare; che si faccia carico della grande
istanza di verità e di pulizia morale che sale dalla società per battere il
conservatorismo miope e bigotto ostile ad ogni promozione sociale. In altre
parole, la trasgressione che si proietta in un progetto; una proposta che si può
accettare o respingere, ma che significa entrare in campo, che è movimento, è
capacità progettuale di governare il nuovo senza rinnegare le proprie radici;
anzi, in una ricerca disperata delle proprie radici, perché dalla partitocrazia
si esce con un progetto politico e non con una protesta verbosa o
qualunquistica.
Le risposte della tua segreteria sono: verso l'esterno, la collocazione del MSI
sulle posizioni del vecchio continuismo pigro e rassegnato; all'interno, la
gestione delle vicende del partito con ricorrenti provvedimenti disciplinari.
Fino alla spudorata arroganza di deferire alla Commissione Centrale di
Disciplina con provvedimento di sospensione da ogni attività politica e con il
divieto di frequentare le sedi del partito, quel formidabile agitatore di
coscienze che è stato Beppe Niccolai; quel generoso militante, quel robusto
pensatore che è stato Beppe Niccolai, capace di lungimiranze intellettuali per
te inaccessibili.
Tu, l'uomo dei berretti verdi! Che Beppe aveva conosciuto non al cinema, ma in
guerra e in una prigionia americana vissuta da non-cooperatore con enorme
spessore di dignità e di fierezza di cui non amava parlare, ma che aveva cercato
di trasmettere a tutta la nostra Comunità. Nemmeno Almirante, padre-padrone del
MSI, aveva osato tanto. Forse perché lui era intelligente.
Gianfranco Fini, abbiti tutto il mio disprezzo per quel miserabile gesto. Ed
anche il rimpianto, che credo di condividere con gli amici Antonio Carli,
Umberto Croppi e Peppe Nanni, per non averti rispedito a Roma a pedate nel
fondoschiena, quando il 2 novembre 1989 venivi a Pisa a fare passerella sulla
salma di Beppe.
Più coerente Pazzaglia, presidente allora del gruppo parlamentare alla Camera,
che negava il necrologio sul "Secolo d'Italia" all'on. Niccolai. La coerenza di
un piccolo uomo, espressa con una miseria morale senza confini, ma almeno
coerenza!
Grazie in ogni caso Fini, per non aver dedicato una riga a Beppe nei due
anniversari della sua morte sul giornale del partito; sarebbe stata una
profanazione parlare di lui in un giornale diretto da Lo Porto e da Gasparri.
Proseguo cronologicamente. Siamo al Bernini. Siamo cioè a quella che, piaccia o
no, è stata una brillante operazione politica pensata e governata da Domenico
Mennitti con abile regia. Il quale Mennitti commetteva un solo imperdonabile
errore: nel consegnare poco dopo a Rauti il bastone del comando in quel di
Rimini, non allegava un libretto di istruzioni per l'uso. Spento comunque e per
sempre il sogno riminese di apertura al dibattito e al confronto con ogni realtà
di contenuto popolare; fallito, per l'esiziale indecisionismo di Rauti e per la
carognesca opposizione praticata da te e dai tuoi amici, lo sforzo di portare il
MSI fuori dalla terra di nessuno dov'è collocato, senza più avere i benefici del
ghetto ma senza essere legittimato a fare operazioni politiche, eccoti di nuovo
alla guida del partito.
Le tue prime parole, a caldo, appena il voto: «Non c'è in me alcun spirito di
rivalsa, mi propongo come il segretario di tutto il partito».
Ti ero fisicamente vicinissimo; ti guardavo negli occhi, sembravi sincero.
Riuscivo a riflettere, pur nella turbolenza emotiva di quel drammatico Comitato
Centrale. Non è più il ragazzo di Sorrento, è cresciuto, è maturato; non potrà
non tener conto che circa il quaranta per cento si è schierato con Domenico
Mennitti; non potrà non avere rispetto dello stato d'animo dei camerati di
"Andare Oltre" annichiliti dalle dimissioni del loro capo. Dopo tante
lacerazioni interne, non potrà non tentare una ricomposizione mettendo
generosamente in campo doti di cuore e di intelletto.
Passavano appena quarantotto ore e la mia illusione e non solo la mia, si
sfaldava come neve al sole per l'intempestivo e brutale intervento sulla
federazione di Roma. Il cui ducetto Teodoro Buontempo, fa sbellicare dalle risa
tutto il Lazio, proponendosi agli elettori come «piccolo, grande uomo». E da lì
cominciava la sistematica «occupazione» di tutti i settori del partito da parte
dei tuoi sedicenti amici. Alcuni dei quali, i Tatarella, i La Russa, i Martinat,
i Gasparri, pur rosi da una sorta di invidia nei tuoi confronti, sono ben
consapevoli di non avere un volto decente da offrire all'esterno; per cui
sfruttano per i loro personalissimi fini il tuo innegabile stakanovismo, ma
sostanzialmente ti tengono in ostaggio.
Si arriva così all'ultima sessione di Comitato Centrale, nel corso della quale
Enzo Erra, illustra un programma elettorale caratterizzato da una inaudita e
acritica sudditanza a Cossiga all'interno della quale, i nostri temi
tradizionali si stemperano fino a scomparire; persino il simbolo della fiamma
viene offuscato dal piccone.
Altri punti «qualificanti»: la pena di morte, la feroce polemica antileghista,
la xenofobia lepenista. Non vi è dubbio: è il miglior programma per entrare a
far parte di un cartello conservatore e reazionario che nulla ha da spartire con
la vocazione sociale e popolare del Fascismo. Anche per questo me ne devo
andare: non è più casa mia.
La pena di morte, mi ripugna come uomo e come credente. Per quanto attiene al
fenomeno leghista, se viene letto come un attentatore dell'identità nazionale,
intanto si confonde un effetto con una causa, e, cosa ancor più orripilante, ci
si schiera a difesa dello status quo, del regime, del suo assetto partitocratico
e del più arrogante e corrotto sistema di potere. Sul tema dell'immigrazione, mi
limito a sottolineare che è meschino prendersela con la colonizzazione dal basso
alimentata soprattutto dai neri che sbarcano da noi, quando non si ha il
coraggio di insorgere contro la colonizzazione dall'alto imposta da quel
processo economico e culturale di tipo multinazionale e mondialista che sta
americanizzando il Paese.
No Fini, non ci siamo. Quello di cui sei segretario non è più il MSI. È un
'altra cosa. È una destra bassamente conservatrice e velleitariamente
tatcheriana e nemmeno tanto nazionale visto che, non una voce si è levata dal
MSI per reclamare l'uscita dell'Italia dalla NATO (per pretendere cioè, la
restituzione delle chiavi di casa nostra), quando l'8 marzo u.s. il "New York
Times" ha pubblicato il documento trasmesso dagli uomini del Pentagono a George
Bush da cui si evince la dura legge della «pax americana»: «Nel mondo, ora
comandiamo noi!».
Brutale fin che si vuole, ma è così. Gli Stati Uniti, incalzati dalla Germania e
dal Giappone, temendo di perdere il confronto nella «colonizzazione mercantile»
dell'ex mondo sovietico, si dichiarano pronti per sino all'uso delle armi per
difendere la loro supremazia, anche contro gli attuali alleati europei.
Altro che identità nazionale minacciata dai negri o dalle leghe! Rispondi,
perdio, a questa domanda: per te e per «questo MSI» l'Italia è un Paese
indipendente? Ultimo argomento, la formazione delle liste missine.
Tranne Pazzaglia che ha sentito puzza di bruciato, tutti gli ultrasettantenni
sentono di dover fare ancora una legislatura. Tutti confermati. MSI, partito di
giovani! Considerati come piazzisti del voto; per eleggere noti massoni e
generali dei servizi.
Mio Dio come siete scesi in basso! E che mi dici di Alessandra Mussolini
presentata dal "Secolo" come la nipote del Duce e di Sofìa Loren? Povera donna
Rachele! La semplice e virile dignità con la quale avete saputo portare il nome
Mussolini fino alla Vostra morte, non ha insegnato nulla a nessuno.
E di Servello ? Che mi dici di Servello? Ricordi a Rimini? Contro una platea
finiana inferocita che lo insultava chiamandolo Badoglio, si impose al rispetto
di tutto il Congresso con un intervento coraggiosissimo: non mi candiderò più
perché il MSI che amo più di me stesso, si può e si deve servire anche fuori da
Montecitorio.
Il 5 aprile a Milano, o non si vota MSI o si deve votare tra Camera e Senato
Servello-La Russa o La Russa-Servello. Tanto Rimini è lontana.
E nella mia Umbria? Il capolista è di prestigio, perché è il responsabile
nazionale del Settore immagine e propaganda del MSI. Ebbene on. Fini, io ti
ricordo sommessamente, che l'immagine del partito si tutela anche, o
soprattutto, con una vita privata irreprensibile quando si rappresenta il
partito stesso ai massimi livelli nazionali. E non mi dire che vita privata e
vita pubblica sono due cose distinte. Un uomo pubblico non ha vita privata altro
che nei suoi personali affetti e nei suoi dolori.
Il secondo in lista, giullare calabrese dalle grandi ambizioni, sta dilapidando
enormi somme di denaro (da dove proviene?) trascinando la residua dignità del
MSI in tutte le discoteche della regione tra i frizzi di Joe Squillo e le tette
di Carmen Russo. Il resto della lista: buio. No, Gianfranco Fini. Questo non è
più il MSI.
E un 'altra cosa.
Carlo Sbarra
Caro Carlo,
anche chi non ti conosce bene
quanto noi di "Tabularasa" può capire, dalle tue righe, quanto appassionata sia
stata la tua militanza nel MSI. E se tu hai lasciato quell'«ambiente» -tu che
riuscivi a scorgere qualcosa di umano anche in taluni emeriti paraninfi-, vuoi
dire che in esso, di salvabile, c'è rimasta soltanto la poltrona. O lo sgabello.
Oppure, per alcuni, la speranza che dall'interno sia possibile fare invertire la
rotta. È paranoia.
Per altri, ancora, il timore che, al di fuori di una sia pur labile
organizzazione politica, non si possa attivamente irradiare all'esterno la
propria passionalità.
Chi dice questo -ne conosciamo di codesti individui- è in malafede. Chi ne
accetta il concetto e lo divulga a sua volta, inconsciamente o meno, è
altrettanto in malafede ma, coscientemente, è un pavido. Quindi, ancor peggio:
perché chi predica ha il tornaconto, chi ne accetta il verbo spera di
raggiungerlo. È una fiera che si è privata di buon grado della libertà per
fruire, della cattività, gli aleatori benefici.
Concludi la tua lettera scrivendo: «Questo non è più il MSI. È un'altra cosa».
È vero. La politica è tormento. Volontà di tormento. Autoflagellazione. Ce lo
hanno insegnato Berto Ricci e Beppe Niccolai. Flagellare sé stessi per capire le
sofferenze dell'altro. L'altro che può pensare anche diversamente da noi, ma che
pensa. Che non traffica, che non mercanteggia, che non è, grazie a Dio!, un
«pragmatico». Che parolona... E come piaceva a qualcuno gettarcela sul viso.
Irridendoci quali sentimentali. Era offesa. Non tanto a noi che ben conoscevamo
la pochezza intellettuale e morale di chi la profferiva e le davamo il peso
corrispondente, ma verso quelle tante persone perbene che, sentimentalmente,
proseguono imperterrite nel loro cammino senza rendersi conto di «servire» non
l'Idea, come dicono, ma chi -grazie alle loro passioni- «pragmaticamente» si
procura il foraggio.
È triste, Carlo, amico mio. Soprattutto perché, pur avendole vissute
dall'interno certe vicende, le più squallide, ci abbiamo messo tanto tempo a
capire che quell'«ambiente» non poteva essere la nostra comunità. Quella per cui
sono state versate tante lacrime. E sangue.
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