l'ultima
Impalati al modo dei
Turchi
Abranda, abrabanda, branda,
branda. Il sole si rotola incontro alle colline per il declivio del Monte Pazzu.
Abranda, abrabanda. L'attesa degli eventi si colora di incantesimi. Branda,
branda. Una musica da strusciarsi il muso, la pelle rasata alla perfezione, una
giornata conclusa nel vasto palcoscenico di fresca calura siciliana, una
giornata centellinata per innaffiare il desiderio e sedia di paglia e salsa di
pomodoro con l'aglio, basilico e ricotta salata.
Scura, scura. Addimura ca ancora non scura. Ancora lontano al passaggio della
enigmatica morte, ancora succube dagli archi e dai soffi di requiem, ancora
all'ombra dell'albero deforme, ancora seduto per declamare sottovoce la
preghiera smozzicata per incantare la pietà carna e chioda del Cristo in croce,
ancora desideroso di svanire. Ma venne l'eroe allo approssimarsi della sera in
un cocuzzolo impolverato di terra soffice e di frasche bianche rinsecchite
sbucando dall'unica macchia di colore ardito, le foglie della bifirera, e si
manifestò come ospite gradito, venne con il suo cavallo e il suo rosso mantello
e i suoi uomini.
Il Rubicone come un grosso tubo di acqua trasparente si lasciava scorrere
indifferente fra le fiancate rinsecchite del Valentino, e le zampe ossute del
cavallo di Giulio Cesare il condottiero, smossero le lame di fango avendo cura
che gli dei piccoli e curiosi, gli amici di Krsna, potessero avvertire quel
gesto di evidente e tronfia sicurezza. Il grande dolce bambino Krsna applaudiva,
era infine il sempre amato Signore degli Arii, il Dio che fruga le onde delle
vesti, il Dio che gioca. E Cesare difatti lo salutava oltrepassando il salto del
fiume: «hare Krsna», e campanellini di fragile sonoro metallo completavano il
clangore dei gladi e degli scudi.
Occorreva che tanta paura si disperdesse per tutta la contrada e che l'eco
dell'Eroe prendesse per il bavaro tutti i lazzaroni ispanizzati della vile
plebaglia siciliana, che quindi nessuna piazza o strada fosse dimentica dell'ira
giustizierà di Giulio Cesare. Ma pure speranza di un domani ordinato sotto le
insegne aquilate, un domani di spada e legge, con gendarmi e filosofi calati in
ogni dove, dentro ai circoli cittadini, nelle aule magne delle scuole, negli
anfratti dei porti, dentro le prefetture, dentro le redazioni dei giornali
noiosi e compiacenti.
Come ai bei tempi delle Loro Maestà Borboniche, e come quando c'erano le
rispettabili confraternite della Luce Diodorea e di Trinacria. Un urlo di
comando si avventò sui fanali delle automobili bloccate dagli zoccoli di Cadmio,
il cavallo di Cesare: «Muzzicatici i natichi aiparrini, mordetegli le natiche ai
preti». E come fu e come non fu i parroci si ricordarono di invocare la
Misericordia e non guardarono più alle fauci dei deputati democristiani, ma come
fu e come non fu anche gli altri automobilisti invocarono la Misericordia per
aver peccato sempre con le loro richieste di assunzione alle Usi e come fu e
come non fu accadde che i soldati della tremenda legione manco li vollero
considerare di uno sguardo, se prima il loro Cesare non avesse detto che cosa
farne, e solo il piccolo gioioso Krsna spruzzava gocce cristalline di granita. E
come fu e come non fu si calò un grande lenzuolo fra un lato e l'altro delle due
fiancate che chiudono il monte Pazzu. Nessuno osò dire una parola. Allora il
bambino Krsna disse con la sua voce flautata: «Allestiamo per questi signori "La
Boheme"». E nel lenzuolo apparve la scena come di un vasto deserto ventoso e
colmo di polvere in ogni suo spigolo e solo una fotina ovale, con un volto
piccolo, occhi grandi e capelli in aria. Krsna entrò nel piano del lenzuolo e
come fu e come non fu con la sua manina paffuta di bello bimbo cercò dentro la
tomba -era una tomba- e tirò fuori l'anima spiritosa di Nino Rota e gli disse:
«Nino, caro Nino, dirigi tu per questi signori la bellissima "Boheme"». «Sì»,
disse il Maestro, e diede un colpo alla coda del frac. Cominciarono a venire giù
le lacrime: una pioggia di lacrime forte più come pioggia che come pianto. «Deh
parlate voi, deh parlate, chi siete». Non uno dei club di tifosi, non uno dei
circoli di compagnia, non una delle sale biliardo, non un solo bar di ubriaconi
potè chiudersi alla magnifica magia. Ma come fu e come non fu accadde che
durante tutta questa bella confusione i soldati di Cesare prendevano uno ad uno
gli sgherri mafiosi e li infilzavano al modo dei turchi impalatoti e quando
arrivò l'ultimo atto, «vecchia zimarra, sono andati?, fingevo di dormire», non
uno restò vivo. Come se fosse una scena del «Padrino», ma questa volta iddi
morirono.
Pietrangelo Buttafuoco
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