«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 4 (31 Luglio 1992)

 

l'ultima

 

Impalati al modo dei Turchi
 

 

Abranda, abrabanda, branda, branda. Il sole si rotola incontro alle colline per il declivio del Monte Pazzu. Abranda, abrabanda. L'attesa degli eventi si colora di incantesimi. Branda, branda. Una musica da strusciarsi il muso, la pelle rasata alla perfezione, una giornata conclusa nel vasto palcoscenico di fresca calura siciliana, una giornata centellinata per innaffiare il desiderio e sedia di paglia e salsa di pomodoro con l'aglio, basilico e ricotta salata.
Scura, scura. Addimura ca ancora non scura. Ancora lontano al passaggio della enigmatica morte, ancora succube dagli archi e dai soffi di requiem, ancora all'ombra dell'albero deforme, ancora seduto per declamare sottovoce la preghiera smozzicata per incantare la pietà carna e chioda del Cristo in croce, ancora desideroso di svanire. Ma venne l'eroe allo approssimarsi della sera in un cocuzzolo impolverato di terra soffice e di frasche bianche rinsecchite sbucando dall'unica macchia di colore ardito, le foglie della bifirera, e si manifestò come ospite gradito, venne con il suo cavallo e il suo rosso mantello e i suoi uomini.
Il Rubicone come un grosso tubo di acqua trasparente si lasciava scorrere indifferente fra le fiancate rinsecchite del Valentino, e le zampe ossute del cavallo di Giulio Cesare il condottiero, smossero le lame di fango avendo cura che gli dei piccoli e curiosi, gli amici di Krsna, potessero avvertire quel gesto di evidente e tronfia sicurezza. Il grande dolce bambino Krsna applaudiva, era infine il sempre amato Signore degli Arii, il Dio che fruga le onde delle vesti, il Dio che gioca. E Cesare difatti lo salutava oltrepassando il salto del fiume: «hare Krsna», e campanellini di fragile sonoro metallo completavano il clangore dei gladi e degli scudi.
Occorreva che tanta paura si disperdesse per tutta la contrada e che l'eco dell'Eroe prendesse per il bavaro tutti i lazzaroni ispanizzati della vile plebaglia siciliana, che quindi nessuna piazza o strada fosse dimentica dell'ira giustizierà di Giulio Cesare. Ma pure speranza di un domani ordinato sotto le insegne aquilate, un domani di spada e legge, con gendarmi e filosofi calati in ogni dove, dentro ai circoli cittadini, nelle aule magne delle scuole, negli anfratti dei porti, dentro le prefetture, dentro le redazioni dei giornali noiosi e compiacenti.
Come ai bei tempi delle Loro Maestà Borboniche, e come quando c'erano le rispettabili confraternite della Luce Diodorea e di Trinacria. Un urlo di comando si avventò sui fanali delle automobili bloccate dagli zoccoli di Cadmio, il cavallo di Cesare: «Muzzicatici i natichi aiparrini, mordetegli le natiche ai preti». E come fu e come non fu i parroci si ricordarono di invocare la Misericordia e non guardarono più alle fauci dei deputati democristiani, ma come fu e come non fu anche gli altri automobilisti invocarono la Misericordia per aver peccato sempre con le loro richieste di assunzione alle Usi e come fu e come non fu accadde che i soldati della tremenda legione manco li vollero considerare di uno sguardo, se prima il loro Cesare non avesse detto che cosa farne, e solo il piccolo gioioso Krsna spruzzava gocce cristalline di granita. E come fu e come non fu si calò un grande lenzuolo fra un lato e l'altro delle due fiancate che chiudono il monte Pazzu. Nessuno osò dire una parola. Allora il bambino Krsna disse con la sua voce flautata: «Allestiamo per questi signori "La Boheme"». E nel lenzuolo apparve la scena come di un vasto deserto ventoso e colmo di polvere in ogni suo spigolo e solo una fotina ovale, con un volto piccolo, occhi grandi e capelli in aria. Krsna entrò nel piano del lenzuolo e come fu e come non fu con la sua manina paffuta di bello bimbo cercò dentro la tomba -era una tomba- e tirò fuori l'anima spiritosa di Nino Rota e gli disse: «Nino, caro Nino, dirigi tu per questi signori la bellissima "Boheme"». «Sì», disse il Maestro, e diede un colpo alla coda del frac. Cominciarono a venire giù le lacrime: una pioggia di lacrime forte più come pioggia che come pianto. «Deh parlate voi, deh parlate, chi siete». Non uno dei club di tifosi, non uno dei circoli di compagnia, non una delle sale biliardo, non un solo bar di ubriaconi potè chiudersi alla magnifica magia. Ma come fu e come non fu accadde che durante tutta questa bella confusione i soldati di Cesare prendevano uno ad uno gli sgherri mafiosi e li infilzavano al modo dei turchi impalatoti e quando arrivò l'ultimo atto, «vecchia zimarra, sono andati?, fingevo di dormire», non uno restò vivo. Come se fosse una scena del «Padrino», ma questa volta iddi morirono.
 

Pietrangelo Buttafuoco

 

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