«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 4 (31 Luglio 1992)

 

Buttafuoco in bretelle turba i sonni di Fini

 

 

Lettori, d'ordine del "Secolo d'Italia": tenersi stretti. Bacchettoni missini, benpensanti della fiamma, camerati conformisti: prepararsi al peggio. Oppure, più semplicemente, non acquistare il quotidiano del partito nella giornata di sabato. Che ci scrive Dragonera. Come il brigante siciliano del "Rinaldo in campo". Il più imaginifico, imprevedibile e trasgressivo pseudonimo del giornalismo politico italiano. Due colonnine che a paragone il virulento Ghino di Tacco sembra Liala e le velenose facezie di Bertoldo testi per un mensile scientifico d'agricoltura.
E va bene che a questo giovane (29 anni) polemista a nome Pietrangelo Buttafuoco, che vive ad Agira, paesino nel cuore della Sicilia, e fa inopinatamente parte della direzione del MSI, è sfuggito una volta anche un eloquente «Tinitimi ca sugno pazzu». Però c'è anche da dire che ai suoi fuochi d'artificio con botto finale («Saluto al Duce!» dopo aver richiamato Cossiga, Totò e Conan il barbaro); alla sua prosa barocca, sboccata, lirica o camaleontica; alle sue trovate dissacranti e narcisisticamente creative; a tutto questo insomma, il lettore medio del "Secolo d'Italia" -poveraccio- non c'era proprio abituato. E se va avanti così non è detto che ci riuscirà mai.
L'altro mese, per dire, Dragonera ha «sognato» per due cartelle e mezzo di essere un socialista milanese e rampante che insieme alla sua donna, «Dandi», si trastulla con un travestito.
Perciò, intanto, alcuni protestano. Altri si beano. Altri ancora, come ha confessato lo stesso segretario Fini a Buttafuoco, non capiscono «cosa cavolo voglia questo qua». Uno che ti scrive sul quotidiano del MSI l'elegia della negritudine tribale, il trionfo del rock di Carlos Santana, l'innalzamento dell'Opus Dei («i musulmani del Vaticano, i fachiri dell'Amore di Dio»), pur «ammirando di birichino desiderio le bellissime da me velate dell'aristocrazia spagnola» alla cerimonia di beatificazione di Escrivà. E propone, «quando saremo padroni d'Italia», di dedicare tante piazze a Paolo Volponi e tanti teatri a Dario Fo.
O prende di petto la mafia con un approccio da visionario: Giulio Cesare -ma c'è anche Krsna che fa dirigere la Bohème a Nino Rota- intento a liberare la Sicilia dai criminali «infilzati al modo dei turchi impalatoli».
Un tipo strano, contento di esserlo. Occhialini, bretelle, papillon. Nipote dell'onorevole Nino Buttafuoco (uno dei protagonisti della stagione milazziana); laurea in filosofia presa in Germania; devoto all'ultimo Sciascia e corteggiato dalla Rete; piccolo editore e fino a poco fa proprietario dell'unica libreria della provincia di Enna. Dice di ispirarsi a Marinetti, a Longanesi, a Cyrano de Bergerac.
Anche fuori dal piccolo mondo missino può piacere o irritare, il giovane Dragonera. Ma, per quello che passa il quotidiano del MSI, la penna sa come si tiene in mano. Su Tangentopoli si concede il lusso di rifare il verso a Machiavelli: «La latronia landa che vedete in giù è la landa delli confini solari di insule et profondissimo meridione at maffia et camurria anchora conchiuse et disperatamente consegnate...». Su Marina Ripa di Meana autoproclamatasi First Lady, si diffonde in ardori da capogiro: «Cantami il delirio dei riflettori in festa, le piccole nuvole bianche del tuo meraviglioso cuore azzurro futurista». E l'abbraccia idealmente come «l'Italia sangue e sudore, dolcissimo odore e afrore, fragore di un'anima incantata».
 

Filippo Ceccarelli

 

 

L'articolo con il titolo, è stato ripreso, pari pari, da "La Stampa" del 6 luglio scorso che l'ha pubblicato nella rubrica "II Palazzo". Che dire? Forza, Pietrangelo... le rimostranze lasciamole ai sempiterni bigotti di ogni fede e credo.

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