Buttafuoco in bretelle
turba i sonni di Fini
Lettori, d'ordine del "Secolo
d'Italia": tenersi stretti. Bacchettoni missini, benpensanti della fiamma,
camerati conformisti: prepararsi al peggio. Oppure, più semplicemente, non
acquistare il quotidiano del partito nella giornata di sabato. Che ci scrive
Dragonera. Come il brigante siciliano del "Rinaldo in campo". Il più imaginifico,
imprevedibile e trasgressivo pseudonimo del giornalismo politico italiano. Due
colonnine che a paragone il virulento Ghino di Tacco sembra Liala e le velenose
facezie di Bertoldo testi per un mensile scientifico d'agricoltura.
E va bene che a questo giovane (29 anni) polemista a nome Pietrangelo
Buttafuoco, che vive ad Agira, paesino nel cuore della Sicilia, e fa
inopinatamente parte della direzione del MSI, è sfuggito una volta anche un
eloquente «Tinitimi ca sugno pazzu». Però c'è anche da dire che ai suoi fuochi
d'artificio con botto finale («Saluto al Duce!» dopo aver richiamato Cossiga,
Totò e Conan il barbaro); alla sua prosa barocca, sboccata, lirica o
camaleontica; alle sue trovate dissacranti e narcisisticamente creative; a tutto
questo insomma, il lettore medio del "Secolo d'Italia" -poveraccio- non c'era
proprio abituato. E se va avanti così non è detto che ci riuscirà mai.
L'altro mese, per dire, Dragonera ha «sognato» per due cartelle e mezzo di
essere un socialista milanese e rampante che insieme alla sua donna, «Dandi», si
trastulla con un travestito.
Perciò, intanto, alcuni protestano. Altri si beano. Altri ancora, come ha
confessato lo stesso segretario Fini a Buttafuoco, non capiscono «cosa cavolo
voglia questo qua». Uno che ti scrive sul quotidiano del MSI l'elegia della
negritudine tribale, il trionfo del rock di Carlos Santana, l'innalzamento
dell'Opus Dei («i musulmani del Vaticano, i fachiri dell'Amore di Dio»), pur
«ammirando di birichino desiderio le bellissime da me velate dell'aristocrazia
spagnola» alla cerimonia di beatificazione di Escrivà. E propone, «quando saremo
padroni d'Italia», di dedicare tante piazze a Paolo Volponi e tanti teatri a
Dario Fo.
O prende di petto la mafia con un approccio da visionario: Giulio Cesare -ma c'è
anche Krsna che fa dirigere la Bohème a Nino Rota- intento a liberare la Sicilia
dai criminali «infilzati al modo dei turchi impalatoli».
Un tipo strano, contento di esserlo. Occhialini, bretelle, papillon. Nipote
dell'onorevole Nino Buttafuoco (uno dei protagonisti della stagione milazziana);
laurea in filosofia presa in Germania; devoto all'ultimo Sciascia e corteggiato
dalla Rete; piccolo editore e fino a poco fa proprietario dell'unica libreria
della provincia di Enna. Dice di ispirarsi a Marinetti, a Longanesi, a Cyrano de
Bergerac.
Anche fuori dal piccolo mondo missino può piacere o irritare, il giovane
Dragonera. Ma, per quello che passa il quotidiano del MSI, la penna sa come si
tiene in mano. Su Tangentopoli si concede il lusso di rifare il verso a
Machiavelli: «La latronia landa che vedete in giù è la landa delli confini
solari di insule et profondissimo meridione at maffia et camurria anchora
conchiuse et disperatamente consegnate...». Su Marina Ripa di Meana
autoproclamatasi First Lady, si diffonde in ardori da capogiro: «Cantami il
delirio dei riflettori in festa, le piccole nuvole bianche del tuo meraviglioso
cuore azzurro futurista». E l'abbraccia idealmente come «l'Italia sangue e
sudore, dolcissimo odore e afrore, fragore di un'anima incantata».
Filippo
Ceccarelli
L'articolo con il titolo, è
stato ripreso, pari pari, da "La Stampa" del 6 luglio scorso che l'ha pubblicato
nella rubrica "II Palazzo". Che dire? Forza, Pietrangelo... le rimostranze
lasciamole ai sempiterni bigotti di ogni fede e credo.
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