A Dio i martiri non gli
hanno
fatto mai cambiar giudizio
«A Dio i martiri non gli hanno fatto mai cambiar giudizio», così il Gaber di "Io
se fossi Dio".
Per noi comuni mortali la cosa è un po' diversa e, di fronte al sangue, ad una
violenza che sfugge alla nostra comprensione, capita a volte di vacillare, di
revocare in dubbio certe nostre certezze. È così che guardando le immagini
dell'uccisione di Salvo Lima e, ancor più, quelle dell'attentato a Falcone, una
emozione ci ha fatto dubitare per un attimo dell'assioma «potere politico =
mafia, corruzione, criminalità». Per un attimo appunto, ma poi sull'emozione
hanno dovuto riprendere il sopravvento il ragionamento, il buon senso,
l'esperienza.
E quindi l'assioma torna ad essere al centro della nostra valutazione, della
nostra analisi, in forma più meditata anzi, quindi meno acritica, meno
pregiudiziale. Sempre meno moralistica e sempre più politica. I due episodi
possono avere, ed hanno avuto, molte diverse letture, nessuna certa, spesso
compatibili o sovrapponibili anche se diverse, ma probabilmente, al di là dello
specifico ed immediato movente, si inseriscono entrambi nel cambiamento delle
regole della politica italiana. Costituiscono un indice dello stato dei rapporti
tra la politica e la criminalità organizzata, non la loro negazione. E, ce lo
siamo detto più volte, anche se non c'è un legame tra i due fatti e le inchieste
giudiziarie di quel fenomeno che oggi si chiama tangentopoli, episodi così
diversi e lontani hanno una loro coerenza di sintomi, si inseriscono in quel più
generale processo di rottura dei vecchi schemi.
Due filoni diversi, dunque, che si intrecciano, che vanno valutati insieme ma
tenendo conto della loro differenza.
La corruzione, quella che tutti conosciamo, quella che secondo la chiamata in
correo di Bettino Craxi non assolve nessuno è divenuta, poco a poco un metodo
pervasivo, un sistema, una regola. Tutta la vita politica italiana ormai è
scandita da essa: non esiste da anni una opposizione anche perché non vi è
opposizione che non sia assoggettata a questa regola e la lotta politica si è
sempre più trasformata in lotta per la partecipazione alla spartizione del
bottino. Ma la corruzione non è quello che si vorrebbe far credere, un sistema
di finanziamento sommerso dei partiti, essa è meccanismo di potere delle
correnti, dei gruppi, delle cosche nei partiti ed è anche generalizzata
aspirazione all'arricchimento personale.
Sull'altro versante mafia, camorra, 'ndrangheta, sono apparati di potere
criminali divenuti spropositatamente forti grazie al traffico della droga e
delle armi. Sono due mercati, questi, intimamente connessi e intimamente legati
a certi apparati dello Stato, con connivenze necessarie sia di tipo politico che
istituzionale. E in questo settore che passano le risposte a molti degli
interrogativi rimasti insoluti in questi anni. Droga, armi, mafia, servizi
segreti, stragi, controllo di interi territori, controllo di pacchetti di voti,
è tutto nello stesso calderone.
Non c'è un politico a capo della mafia come non c'è un mafioso padrone della
politica, sono due facce della stessa medaglia, sono gruppi, fazioni che si
controllano, in un equilibrio precario e che si inviano segnali, avvertimenti,
che a volte si scontrano.
Basterebbe un dato, oltretutto parziale. Si calcola che la droga renda ai
trafficanti italiani circa 40.000 miliardi l'anno (stima di qualche anno fa):
una cifra di tali dimensioni metterebbe chiunque in grado di comprare vasti
settori del potere.
Ma una considerazione più grave a questo è connessa. Secondo alcuni esperti una
discreta aliquota di queste entrate viene «pulita» attraverso l'acquisto di
titoli di Stato italiani negoziati all'estero. Se questo, come sembra, è vero,
significa che la mafia è il maggior azionista di uno Stato che gestisce, già
oltre i limiti della bancarotta, le proprie scarne economie attraverso i
«prestiti» che i cittadini gli fanno investendo in titoli. Provate a pensare
cosa avverrebbe se la mafia portasse all'incasso questo suo pacchetto di
cambiali che lo Stato gli ha sottoscritto. Pensate a qual'è la forza di ricatto
che ciò gli attribuisce, sullo «Stato», non solo sui «Partiti» o gli uomini.
Sono solo cenni di argomenti che costituiscono una voragine insondabile su cui
altri e meglio di me si sono profusi in questi anni. Sono evidenti, noti,
vissuti da ognuno di noi i motivi che attestano la contiguità totale tra
criminalità e sistema dei partiti in Italia: le collusioni, per usare un termine
adoperato dallo stesso Falcone.
Perché, c'è da chiedersi oggi, solo oggi ed in forme così eclatanti emergono?
Perché oggi gli attentati eccellenti ed apparentemente senza senso, perché il
risveglio della magistratura, perché i pentimenti. Perché quel sistema di
apparati collusi cede, perché le regole del potere saltano, perché gli equilibri
da precari diventano instabili e si aprono varchi per la protesta, per l'azione
giudiziaria, ma anche si manifestano in forma eccessiva, morbosa, i tentativi di
quel potere di sopravvivere a sé stesso, di rigenerarsi.
Tempi brutti dunque all'orizzonte. Non basteranno le riforme cui si ricorre
tardivamente per tamponare la diga che crolla. Non basteranno certi
pensionamenti importanti che già nella formazione del nuovo governo si sono
adombrati. Gli intrecci di cui si parlava, il modus operandi di chi oggi è in
politica, a tutti i livelli, sono così diffusi e radicati che una svolta non
potrà che coinvolgere tutto.
Quello che realmente spaventa è che non ci sembra di individuare oggi nessuno in
grado di gestire il passaggio, di raccogliere delle eredità, di guidare il
cambiamento. Manca in Italia una nuova cultura di governo e soprattutto qualcuno
che sia in grado di interpretarla.
Ci piacerebbe indicare, magari illudendoci, questo o quel personaggio, questa o
quella forza come un riferimento verso cui orientarsi. Purtroppo non ne vediamo,
perché anche proprio i più onesti, quelli con cui ci sembra opportuno oggi
collaborare, onestamente si collocano come fenomeni di transizione, come ponti.
Altro non c'è quindi da fare che raccogliere gli sforzi degli uomini di buona
volontà e dare ed offrire aiuti senza pregiudizi: c'è almeno di buono che la
necessità ha portato una radicale spinta al superamento. Ci siamo da tempo
culturalmente attrezzati per passare attraverso questo guado, perseguiamo il
nostro destino di viandanti, commuovendoci pure davanti allo spettacolo della
violenza e della morte, ma senza farci distrarre da convinzioni che, se non sono
ormai più ideologiche, derivano dalla nostra esperienza, da quello che abbiamo
imparato.
Umberto
Croppi
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