«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 4 (31 Luglio 1992)

 

Arrivano i mostri?

 

 

Tutto ha inizio la notte del 20 gennaio quando una decina di giovanissimi tra i 14 ed i 25 anni ferisce in circostanze poco chiare due extracomunitari che conducono la loro misera esistenza all'interno del Parco di Colle Oppio, in una delle zone più degradate della capitale: immediatamente i principali canali massmediali nazionali scoprono la minaccia «naziskin» e, come ad un segnale convenuto, lanciano l'ennesimo allarme per la democrazia.
La vicenda, emblematica come altre accadute e parimenti «amplificate» in varie parti d'Europa, alza il velo sul degrado umano e sociale delle nostre città, sul tragico destino di chi, costretto ad espatriare dal Sud del pianeta, povero e «straccione», non riesce ad inserirsi in un sistema produttivo e subisce l'ostilità dei figli alienati di questa democrazia senza qualità che ritrovano un «senso» al proprio esistere in ritualità, simbologie, forme di aggregazione fortemente sentite quanto mal interpretate.
In una memorabile puntata dell'«Istruttoria», le capacità giornalistiche di Giuliano Ferrara, novello demiurgo della coscienza popolare, coadiuvato dall'inconsistenza e dal pressapochismo culturale e politico delle controparti, sembra voler dimostrare all'intera comunità nazionale come i «nemici» della società multirazziale siano relitti politici fuori dal tempo, dalla dinamica storica, dalla coscienza civile. L'operazione culturale degli sponsors Fininvest del «mondialismo» è marcatamente finalizzata ad incasellare nell'area razzista e quindi in un «cattiverio» assoluto, ogni antagonismo alla società multirazziale.

I selvaggi unici nemici del mondialismo
II «manifesto programmatico» di questa operazione, che già contiene le giustificazioni morali di ogni nefandezza condotta in nome della «Civiltà», chirurgici bombardamenti compresi, traspare dalla voce emozionata di George Bush che annuncia al Mondo, non appena eletto presidente degli Stati Uniti che: «Oggi non ci si chiede più quale sistema sociale e politico sia il migliore: tutti sanno che è il nostro ...».
È solo l'inizio di una nuova stagione che inaugura il Nuovo Ordine Mondiale, con le operazioni di polizia planetaria, con la filosofia della «unicità» dello sviluppo.
È, quindi, utile e necessario dimostrare come tutto ciò che suona antagonista alla società omologata e pacificata «deve» essere violento, intollerante, fanatico. Non basta quindi additare come selvaggi all'immaginario collettivo dell'Occidente i popoli che perseguono una via autonoma e «altra» rispetto al Mondialismo. Occorre che all'interno delle opulente società occidentali i potenziali antagonisti si accomodino tutti nelle predisposte e fisiologiche caselle comportamentali additabili al pubblico disprezzo.
La figura definita del nuovo satana che al posto delle corna esibisce la pelata sotto lo sguardo ispirato di Ferrara o quello sornione di Costanzo crea l'evento.
In un tripudio di svastiche, croci celtiche, bandiere della Lazio e gagliardetti vari, risorge nell'Italia riformata al pensiero «liberal» l'incubo del nazismo tetro e violento. La gente inizia a guardarsi le spalle, lo «skinhead» incombe, con la sua furia incontenibile e incontrollabile, con il suo odio ferale verso tutto e tutti.
E pensare che l'origine di tanta minaccia non nasce a Bayreuth, ma dalle giovani generazioni inglesi degli Anni Sessanta allevati al culto della III rivoluzione industriale sognando rivolte da week-end per ritrovarsi poi a fare i commessi nei negozi per i rimanenti cinque giorni della settimana.

Le origini Skinheads
La patria del movimento è appunto l'Inghilterra, luogo d'origine di quasi tutte le mode, le tendenze, le trasgressioni, le manie giovanili del dopoguerra. I fratelli minori di quei «Mods», indimenticabili ed indimenticati protagonisti di uno dei più acclamati «cult-movie» degli Anni Settanta, stanchi delle avventure, delle risse, delle scorribande sulle nebbiose spiagge di Brighton e nelle squallide periferie industriali anglosassoni, dopo aver anelato al «love reign over me» con relativo salto dalle bianche scogliere di Dover, inaspriscono il loro aspetto rasando sempre di più i capelli, fino alla soluzione finale: nascono così gli «skinheads».
Elementi precisi ed esclusivi del loro abbigliamento diventano una sorta di divisa che identifica e crea senso di «appartenenza»: Levi's 501, anfibi Dr. Martens con punta in acciaio, camicie Ben Shermans o polo Fred Perry, bretelle sottili.
La voglia di provocare ad ogni costo e di trasgredire le basi della puritana società anglosassone determina un progressivo riconoscersi ed identificarsi in simboli e ritualità proprie delle Rivoluzioni nazionali europee del Novecento. Appare subito evidente che la croce celtica, la svastica, il saluto romano sono utilizzati solo in quanto simboli «proibiti» per eccellenza e, patimenti, l'identificazione politica non riguarda il pensiero politico fascista o nazionalsocialista ma la demonizzazione dello stesso.
Ma è la musica la principale forma di diffusione dell'onda «skinheads», ad iniziare dal gruppo inglese dei "Madness", allo Ska, alla Oi Music, fino ai nostri giorni, al White Rock inneggiante alla «supremazia bianca» di gruppi come "Skrewdriver", il più celebre, "Skullhead", "No Remorse", "Elite Terror".
Vettore importante della «cultura skin» tutta una serie di rivistine spesso ciclostilate che propagandano gadgets vari, concerti, appuntamenti calcistici. Ed è appunto lo Stadio uno degli scenari prediletti dalle teste rasate. Anche nel nostro paese. Attorno ad un fatto-accadimento «effimero» si ricreano le condizioni del conflitto, dell'appartenenza, del territorio. Si ricreano forme di aggregazione con propri «riti» e precisi codici comportamentali.
Se da una parte il fenomeno è riconducibile al generale processo di trasformazione della società in direzione «anglosassone», cioè verso un modello sociale a tal punto «totale» ed omologatore da riuscire ad incanalare in senso «implosivo» ogni diversità o aspirazione ad essa, ogni ricerca di appartenenze definite sui «neutri» terreni delle «mode» e dell'immagine facendo di quest'ultima l'unico mezzo pensabile di rivendicazione di specificità, dall'altra è sintomatico il riaffiorare di una generale quanto confusa aspirazione ad un «radicamento» negato alle giovani generazioni da questa società patinata ed infelice.

La società multirazziale o la barbarie?
Ed è proprio in difesa di questa società che lo «skinhead» viene «usato», attraverso la creazione di una riserva di «irriducibili» che proprio perché additabili ed oggettivamente esecrabili diventano di volta in volta vittime e colpevoli. È emblematico come più di un intellettuale nei giorni del massimo battage antiskin sottolineava con enfasi il pericolo di un possibile revival nazista scorgendo strette analogie tra la situazione attuale e quella degli anni Trenta, «dimenticando» di evidenziare le differenze tra il movimento «skin» e la temperie culturale e politica che diede vita alle rivoluzioni nazionali del Novecento.
La figura dello «skinhead», mitizzata e amplificata, sostenuta dalle avvedute tesi di tanti intellettuali «liberal» angosciati dai rischi per la democrazia, diventa -viene fatta diventare- archetipo del barbaro distruttore, cosicché per sillogismo chiunque si pone contro la società multi-razziale e mondialista, distruttrice della specificità, diventa un barbaro irrazionale.
Ammoniva Tocqueville: «Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla di esseri simili e uguali che volteggiano su sé stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima. Ognuno di essi ritiratosi in disparte, è come straniero a tutti gli altri, i suoi figli e i suoi pochi amici costituiscono per lui l'umanità. Al di sopra di questa folla vedo innalzarsi un enorme potere tutelare, che si occupa solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti».
Noi siamo la civiltà voi la barbarie, se non siete come noi convincetevi di essere barbari e comportatevi come previsto. La trappola fin quando funzionerà?
 

Fabio Granata

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