«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 4 (31 Luglio 1992)

 

le recensioni

 

Enrico Landolfi
"Rosso imperiale"
Ed. Solfanelli

 

Le sorprese espansionistiche in Antonio Labrìola e altri saggi
 

 

Battezzando "Rosso Imperiale" questa sua raccolta di scritti storico-politici, Enrico Landolfi sceglie, come sempre, la strada della provocazione e dell'azzardo. Provoca perché, da socialista, e da socialista che ha da anni un ruolo non certo marginale nella vita del Partito, chiama i suoi compagni alla responsabilità di un dibattito alto, cioè non viziato da alcuna pregiudiziale; azzarda perché, proprio per il suo ruolo di guastatore, non può permettersi smargiassate, incursioni tessute solo di parole e mai rese operative, plateali quanto vane esibizioni di forza. Se uno decide di rompere gli schemi, facendo piazza pulita di ogni consolidato luogo comune, deve saperlo fare: se contrapponesse ai compiti bell'e pronti, appena appena riveduti e corretti, della storia ufficiale, il programmatico velleitarismo di una controstoria a tutti i costi originale, non solo non avrebbe meriti né alcun diritto agli encomi ma sarebbe investito da raffiche di rampogne e sorrisetti di compatimento. Come, gli si direbbe, hai tanto osato, hai fatto vibrare accademie e palazzi della tonante voce di un presunto anticonformismo ed ora ti presenti con qualche cascame ideologico, tenuto insieme solo dalla presunzione?
Ecco che professori e professorini dell'ipse dixit avrebbero buon gioco a riproporre vecchie formulette, schemi stantii, notiziole dove cause ed effetti si danno tranquillamente la mano, senza che possano insorgere dubbi di sorta a sciupare la festa del conformismo. Si da il fatto, invece, che Enrico Landolfi sia, oltre che un militante politico di liberi spiriti, uno storico. Nel senso di un intellettuale che i documenti li cerca e se qualcuno gli dice che già sono stati trovati, chiede di rileggerli; rileggendoli, non sfronda, non amputa, non isola, non enfatizza, ma tutto utilizza al fine di una visione chiara e distinta dei fatti scavando nei fatti, fa affiorare le idee, le guarda battagliare nella continua tensione dialettica, non le irrigidisce per spremervi il povero succo della fazione ma mostra come esse si allarghino, e possano crescere, e siano cariche di futuro, e possano scommettere su una ricchezza che è ancora tutta intatta, su un'eredità che è ancora tutta da mettere a frutto.
Enrico Landolfi ci aiuta a ripensare la storia. Un impegno, si badi bene, dietro cui ci deve essere la profonda consapevolezza etica del cercatore di verità, la tensione morale di chi chiama tutti a testimoniare e a nessuno chiude la bocca, il sentimento civile di chi lavora per ricomporre la storia nazionale in termini non solo di evento da riscattare nella trama complessa delle sue verità ma in quelli di progetto da offrire alle anime investiganti e pensose del bene comune. Attenzione: Landolfi non propone a sé stesso il ruolo un po' uggioso del pacificatore d'ufficio. Se scrive di Labriola o di Turati, di Gramsci o di Mussolini, di fascismo, di antifascismo, di neofascismo; se esplora nel cuore del movimento operaio, se si interroga sulla natura, sulle anime del socialismo, sulle vicende del sindacalismo, sugli strani incontri tra miti imperialistici e miti proletari, Landolfi non confonde le carte in un embrassons nous irenistico, non gioca al ribasso allorché deve evidenziare il tasso di contrapposizione tra le parti, non va in giro a propinare i tranquillanti della mistificazione.
La storia è ritrovata nella sua verità che è drammatica: c'entrano il cervello e il cuore, la carne e il sangue, l'odio certamente più dell'amore. Ed è quando tutto questo è riconosciuto che ci si accorge non solo della bellezza della lotta, per usare un'espressione di Luigi Einaudi (ma nei fieri e feroci Anni Venti, Mussolini la proclamava come Gobetti, e
Marinetti come Matteotti e Sturzo come Farinacci, e Gramsci come Malaparte), ma anche di come le dure distinzioni che alla lotta dettero alimento nascondevano spesso intenzioni -e non marginali, ma di fondo- che potevano svolgersi in comune.
Achille ed Ettore si scambiarono le parti, di volta in volta vincitori e vinti: appartenevano a due nazioni diverse, ma Omero e Foscolo, eternandoli, ci mostrano come si assomigliassero, come i profili potessero essere sovrapposti.
Ecco: l'antagonismo è stato veleno e farmaco, se oggi, ritrovando attori e parti, e dando a ciascuno il suo, senza trucchi e truffe, riusciamo a scoprire gli strani territori dove lo scontro diventava incontro.
Ma, allora, chi li vedeva quei paesaggi così singolari?
Raccogliendo un'eredità nazionale, Landolfi ce li può presentare adesso nella vibrante densità della memoria, nella limpida concitazione di un progetto tutto da scrivere.
 

Mario Bernardi Guardi

 

Per la stessa "Collana di Letteratura", "il Calamo & la Ferula" diretta da Mario Bernardi Guardi (Marino Solfanelli Editore in Chieti, Casella Postale 126), uscirà tra breve l'XI volume: «Dalla politologia alle coincidenze» di Giorgio Galli.

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