«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 4 (31 Luglio 1992)

 

le lettere

 

Sulla coerenza
 

 

Per la seconda volta nel volgere di alcuni mesi, Umberto Croppi, trattando su "Tabularasa" del «caso Pietrangelo», fa professione di scarso apprezzamento per il termine «coerenza» e per i coerenti in genere.
Pur senza averne particolari titoli, vorrei comunque tentare una difesa dell'una e degli altri. Premetto subito che non intendo qui assumere ruoli ed oneri impropri: non vi è da parte mia alcuna apologia dell'arroccamento, quando questo poggi sulle comodità dell'a-priori, del pre-concetto, dell'indiscusso e dell'indiscutibile.
A maggior ragione oggi, dove -con la caduta dei muri... tanto per restare in tema di luoghi comuni- non si possono concedere attenuanti alle anime belle che non vogliono più arrendersi, nemmeno all'evidenza. Volendo circoscrivere l'argomento al piccolo mondo di comune origine, alla granitica coerenza dei Tassi, Tremaglia & Co. dichiaro apertamente di preferire una zigzagante trasversalità, ogni sincera e palese contraddizione, l'anticonformismo più velleitario. Molto, molto più apprezzabili di costoro e dell'ambiente che li esprime, i più scettici fra i sognatori, i più curiosi fra i disillusi, i più sofferenti fra gli inquieti...
Credo allora di poter intuire quale sia stata, in Umberto, la spinta alla duplice attestazione di filo-incoerenza. E di poterla anche in qualche modo condividere. Troppi e troppe volte hanno imperversato in quel nostro mondo di ieri i dispensatori di intransigenze (e di personali indulgenze), perché non abbia a trarre alimento una logica e fisiologica diffidenza verso le proclamazioni interessate di certezze assolute e sovrane. Ne convengo: dopo tanti esclamativi, maiuscole e sottolineature, più che opportune risultano le parentesi, le virgole e -soprattutto, direi- gli interrogativi. (Esercizi di meditata punteggiatura che, del resto, non da oggi impegnano gli autori de "L'Eco" e di "Tabularasa").
Se dunque aderisco all'idea che le pietre soltanto non possono legittimamente mutar parere, mi sembra peraltro utile ribadire il principio della «normalità» della coerenza: quando per essa si intenda -come io credo si debba- la caratteristica di chi cerca di agire in armonia con i propri convincimenti.
Non è forse per seguire una tale esigenza di chiarezza che, giusto un anno fa, la finimmo col MSI? E non fu forse un distacco, maturatosi nel corso della guerra del Golfo, che venne da noi vissuto in piena coscienza e coerenza, sino a sfociare «naturalmente» e senza prospettive o strategie di sorta, nelle dimissioni di centinaia di singoli militanti/dirigenti in ogni parte d'Italia?
E se quella «coerenza» verrà giudicata innocente, mi si consenta sin d'ora di rivendicarla per quanti, nel «cambiar idea», dal cambio non hanno avuto, né tentato di avere, utile alcuno.
Eppoi... chi è stato «meno» coerente e chi ha «più» cambiato idea? Quelli -gli ex innovatori, gli ex nazionalpopolari- rimasti al riparo delle loro sicurezze dipartito, oppure quest'altri -gli ex tout-court- ora esposti alla libertà ed alle intemperie del campo aperto?
Ai posteri, se ne avranno voglia, la sentenza.
(Per intanto non guasterebbe, forse, una chiosa di U.C.)
 

Alberto Ostidich

 

La «coerenza» è una di quelle parole a cui si possono attribuire valori e significati diversi. Anche Alberto, nel parlarne, è costretto a distinguere la sua, la nostra (quella su cui siamo d'accordo) coerenza da quella di altri. Tale distinzione io l'ho data per scontata nei pezzi incriminati, trattando comunque la coerenza secondo due diverse prospettive riguardo a Buttafuoco.
Nel primo caso (quello dello scorso agosto) per contestargli scherzosamente la sua incoerenza; nel secondo (il corsivo dello scorso numero) difendendo il diritto dell'esteta giocherellone a contraddirsi di fronte a qualche amico che glielo contesta in nome della propria, magari tardiva, coerenza.
Coerenti come noi o incoerenti come Pietrangelo, con le cui tesi sono peraltro spesso in disaccordo, l'importante è essere, perlappunto, «innocenti».


U. C.

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