«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 4 (31 Luglio 1992)

 

le polemiche

O con Beppe, o con Salvo

 

 

Sul cadavere di Lima non rido.
Ma non piango nemmeno. Anche se «il dio dei siciliani» agitato da "Tabularasa" mi fulminerà.
La morte di Lima, infatti, non può avere che due spiegazioni: o l'ucciso era un acerrimo nemico della mafia e, come tale, costituiva un ostacolo da eliminare, o era un buon amico della stessa, ed allora la sua eliminazione va inquadrata nella classica guerra tra cosche rivali o in eventuali sgarri del soggetto spedito al Creatore. «Tertium non datur».
Salvo Lima alla prima categoria non poteva appartenere.
L'ex-camerata Guido Paglia e l'ex-compagno Paolo Liguori, dimenticando i loro migliori trascorsi giovanili, si son fatti portavoce della stampa di regime e sono andati a "Samarcanda" nelle vesti di iper-garantisti limaioli. Paglia starnazzava perché non si è mai trovato un giudice che perseguisse l'eurodeputato andreottiano. Ora, a parte il fatto che l'unico giudice che ci ha provato (Cesare Terranova) l'hanno riempito di piombo, Paglia fingeva di ignorare alcuni fatterelli. Vediamo di enumerarli.
1) L'on. Terranova (già giudice istruttore in processo di mafia) in data 7.5.1975 fu incaricato di ritirare dal Tribunale di Palermo i fascicoli n. 13772/A, 7578/7Q, 965/7 I/A, tutti riguardanti Salvo Lima, accusato di falsità in atti pubblici, interesse privato in atti d'ufficio, peculato continuato, tentato peculato aggravato. Terranova si premurò di far giungere subito i fascicoli in Commissione Antimafia, e si appurò così che le autorizzazioni a procedere contro Lima furono rilasciate dal Parlamento ben cinque anni dopo che le stesse erano state richieste dalla Magistratura. Dei quattro processi, a tutt'oggi, non se n'è saputo più nulla. Nel frattempo, Terranova è stato fatto fuori.
2) Prima di cadere ucciso, Terranova aveva lasciato scritto che «è certo che Angelo e Salvatore La Barbera (noti boss del palermitano)... conoscevano l'ex sindaco Salvatore Lima ed erano con lui in rapporti tali da chiedergli favori. Basta considerare che Vincenzo D'Accardi, il mafioso del Capo ucciso nell'aprile del 1963, non si sarebbe certo rivolto ad Angelo La Barbera per una raccomandazione al sindaco Lima, se non fosse stato sicuro che Angelo e Salvatore La Barbera potevano in qualche modo influire su Salvatore Lima... Del resto, quest'ultimo ha ammesso di avere conosciuto Salvatore La Barbera, pur attribuendo a tale conoscenza carattere superficiale... Gli innegabili contatti dei mafiosi La Barbera con colui che era il primo cittadino di Palermo... costituiscono una conferma di quanto si è già brevemente detto sulle infiltrazioni della mafia nei vari settori della vita pubblica».
3) Beppe Niccolai, che della Commissione antimafia era stato stimato componente, nell'82, parlando del delitto Dalla Chiesa, scriveva che: «Se si sfogliano i volumi che contengono i rapporti di Carlo Alberto Dalla Chiesa, quando era al comando, come colonnello, della Legione dei Carabinieri di Palermo, chi troviamo se non Salvo Lima (deputato DC europeo, la cui elezione è costata tre miliardi di lire)?
4) II Tribunale di Torino, nella sentenza emessa il 23 dicembre 1982, contro il generale massone Raffaele Giudice per le sue colossali ruberie afferma testualmente che Giudice «aveva avuto autorevoli padrini quali Lima e Gioia».
5) Nando Dalla Chiesa, nel suo libro "Delitto imperfetto" scrive che «Di ferro sono i rapporti tra la famiglia Salvo, Salvo Lima e Antonio Ardizzone, proprietario del "Giornale di Sicilia", la cui famiglia è a sua volta in rapporti di amicizia con Michele Greco, il boss mafioso condannato all'ergastolo per l'assassinio del giudice Chinnici».
6) Giuseppe Insalaco, altro sindaco democristiano morto per mano mafiosa, descriveva la DC siciliana come una società per azioni il cui pacchetto di maggioranza era concentrato nella mani di Lima, Ciancimino e Gioia.
7) II nome di Salvo Lima è citato per ben 149 volte nelle conclusioni della Commissione parlamentare antimafia, al punto che persino all'estero fatti e misfatti di Lima sono ben noti, tanto che il deputato scozzese James Provan dichiarava, sette anni or sono, che alla Camera di Strasburgo era stato eletto «almeno» un mafioso, con un'allusione più che evidente.
Sandro Fontana, collega di partito di Lima, diceva di lui: «È... come la pipì dei gatti. Non si sa mai dove l'hanno fatta ma dall'odore senti inequivocabilmente che c'è», il puzzo di quella pipì, diventato afrodisiaco per le narici di qualche «nostrano» invocatore del «Dio dei siciliani», aveva disturbato il respiro di Qualcuno, che ha creduto necessario procedere ad un'opera di disinfestazione.
Una vita ed una morte intrecciate all'interno del Sistema. Le sciocchezze turlupinatrici di Forlani e company, tese a presentarci il decesso del capataz andreottiano come un attacco al cuore dello Stato da parte delle solite «forze oscure» possono attecchire solo su un ministro Scottex o qualche poeta in vena di ebbrezze libatorie nell'al di là. Di tali poeti, è certo, un combattente come Beppe Niccolai avrebbe diffidato. Nonostante la protezione loro accordata dal temibile «dio dei siciliani».
 

Pino Tosca

 

 

 

«Dopo di noi verranno le jene, gli sciacalli»
(Tomasi di Lampedusa,
"Il Gattopardo")

«Chi non salta è mafioso uè, uè»
(Massima espressione d'intelligenza dei giovani)

Rai: «Durante il fascismo, in Sicilia, c'erano i mafiosi?»
Sciascia: «Sì, erano gli antifascisti»
(
"Rai3", Intervista con Leonardo Sciascia)



Gentile Signor Tosca,
dovrebbe avere la bontà di capire ciò che legge, naturalmente mi onora la sua lettera: la pisciatina del gatto, l'appellativo di poeta che ormai mi sono definitivamente conquistato nell'ambiente, e tutte le altre belle cose che capitano e che mi sono capitate nell'arco di pochi mesi con le conseguenze ridanciane di un bel manicomio.
Rispondo per me stesso quando scrivo dalle colonne di "Tabularasa", rispondo ancora dalle colonne del "Roma", rispondo pure per conto di Dragonera nel "Secolo d'Italia", insomma come vede non mi manca il diletto di occuparmi di parole e fatti giusto per creare il dibattito, per sfumare con l'impronta del rosmarino l'affanno dell'alito cattivo e quindi «sfruculiare la mozzarella a S. Gennaro».
Ebbene Gentile Signore, mi sento onorato di tutto, ma non di essere frainteso.
Ritiene che io sia dalla parte della buon'anima di Lima? Ebbene, ha sbagliato. Ha sbagliato ed evidentemente non ha retto il gioco delle figure retoriche.
Ritiene che io in quell'occasione sia stato dalla parte dei Paglia e dei Liguori? Sì, botta di bene!, sì, su questo ha indovinato. Sono stato dalla parte di Guido Paglia e di Paolo Liguori, in quell'occasione, ma da casa -era "Samarcanda"-, e per un semplicissimo motivo: perché io ritengo in assoluta serenità che aver sollevato il fantoccio di Lima -con la stessa malafede con cui ripetutamente si è sollevato allo sguardo dei «buoni» lo spettro di Michele Greco- non sia stato altro che il vecchio crucifige plebeo e grossolano di gridare aita! aita! quando ben altro è il pericolo, e quando ben altrove si trova il marcio. (Anche Andreotti è il capo della mafia?)
Gli uccellini bimbi buoni credono veramente che Michele Greco, il Papa, sia il capo della mafia? Gli uccellini dicono che bastava sbattere in galera il povero Lima?
Vede, Gentile Signore, il mio personalissimo Dio dei Siciliani ha tanta ripugnanza per (nell'ordine):
i coglioni,
le teste di «minchia»,
i «bavusi»,
i bavosi,
i «scassapagghiari»,
i scassapagliai,
i «quaqquaraquà»,
che sono come i bambini che vogliono fare le cose dei grandi, che vogliono parlare, vogliono dire la loro, vogliono avanzare proposte, vogliono fare fiaccolate, testimonianza, partecipazione, vogliono fare rompimenti di minchia insomma, ma senza sostanza.
Ci sono cose dove un galantuomo ci perde tutta la pazienza, le faccio un esempio: mettiamo il caso, e Dio ce ne scampi!, che venga assassinato il giudice Di Pietro, sono convinto che a Milano scoppierebbero nuovamente le «cinque giornate», sono convinto che nessun complice della Tangentopoli potrebbe scappare alla furia della Milano in rivolta.
Venga a vedere cosa succede nella mia Sicilia, viene massacrato Giovanni Falcone e tutti i ragazzini, gli stessi figli di famiglia con i diplomini che mandano i propri genitori nelle segreterie della DC per mendicare un posticino, vanno a fare le «fiaccolate» e poi vanno in visibilio per farsi un tiro di cocaina con i loro coetanei della grande mangiatoia dei party elettorali; che sia poi il Drago junior, o il Craxi junior non importa, anzi, gentile Signor Tosca le dirò di più, cioè mi permetto di svelare il vero busillis per cui la mafia non verrà mai distrutta. Mi segua.
A Milano il figlio di Craxi è privo di farsi una passeggiata che gli tirano addosso le pietre, a Catania, a Palermo, a Carrapipi sarebbe portato sul palmo della mano, o come una rosa al naso.
Più si è ladri, bastardi, arroganti, «sdisonesti» e più in Sicilia, nella mia Sicilia, si va avanti e si è rispettati. Solo per questo motivo il mio personalissimo Dio dei Siciliani si spaventa dei coglioni e delle teste di minchia che sono tanti e pericolosissimi e peggiori del colera, fanno da concime alle jene, sono fabbricati nei conformistifici di ogni specie, si ricorda quelle canaglie pidiessine in collegamento dalla piazza di Palermo? Peccato che nessuno gli potesse imbeccare anni e anni di complicità del partito comunista -«pane e cipudda», pane e cipolla- con tutti i «tagghiasacchetta», i tagliatasche e i disgregatori della sana feudalità siciliana. Gridavano come tanti cani rabbiosi, eppure quante carriere di grassatori sono venute fuori all'ombra delle lotte contadine, rubavano perfino l'olio dalle giare dell'ammasso proletario aggiungendo volta a volta l'acqua.
E non mancò mai nelle case dei capipopolo la ricotta, il pecorino, la farina, la benzina e il terreno e le ruberie.
Cosa vuole che me ne faccio del suo elenco, cosa vuole che se ne faccia la giustizia «taliana», non pretenda comunque che io mi adegui alla ragione o peggio ai giovanottini brufolosi dei licei, questi futuri democristiani, questi topini dei loro pifferai, pacifisti, «caiuordi», oleosi, amici di Nando Dalla Chiesa e di Leoluca Orlando.
Ecco, il busillis l'ho svelato, è bene che sveli adesso la mia civetteria. Esteticamente preferisco una conversazione sotto il pergolato con Michele Greco piuttosto che incontrarmi con Diego Novelli. Per il resto non sono mafioso, sono sufficientemente fascista per fregarmene di qualsiasi cosca e di qualsiasi mafia, sappia che il Dio dei Siciliani guardò un tempo negli occhi un uomo venuto dalla Romagna e ascoltò una voce che disse ad uno ad uno «portate la fatica e il frutto e l'odore della libertà, dell'onore, della giustizia», come ai tempi dell'eroica guerra dei Beati Paoli pensò il Dio e avvampò d'orgoglio per i fascisti di Sicilia.
Altri tempi, altri galantuomini. Anche lei è fascista, Tosca, ne approfitti.


Pietrangelo Buttafuoco
altrimenti detto
Dragonera

 

 

 

 

L'amico Tosca, dopo il «pezzo», aggiunge a penna:
«Caro Carli, lo scritto di Buttafuoco su Lima non mi è piaciuto. Questa è la risposta. Decidi tu se è pubblicabile».
Pubblico.
Anche se offensiva (abbiam pubblicato di peggio), nei confronti di Pietrangelo, e fuori luogo il titolo e la chiusura che fanno riferimento a Beppe. Fuori luogo soprattutto perché -guarda caso-, Beppe, di Pietrangelo aveva grande stima e glielo dimostrava affettuosamente.
Al poeta Pietrangelo (credo di essere stato il primo a definirlo tale... aggiungendovi anche pazzo), come a tutti i poeti, è mancato un verso: quello che avrebbe reso intelligibile, anche al volgo, il senso del suo articolo. Lo ha fatto questa volta.
Non so se ti riterrai soddisfatto, ma a noi, di "Tabularasa", del consenso dei più non ce ne frega niente.
Presunzione?
Non sappiamo che cosa essa sia. Il nostro è un altro mondo e su quello in cui (fato malvagio!) siamo costretti a viverci, vi oriniamo sopra. Ad orari (anch'essi da noi stabiliti) fissi: il mattino, quando apriamo gli occhi; la sera, prima di chiuderli. Siam di prostata buona.

a.c.

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