«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 5 (31 Agosto 1992)

 

Abbasso il vecchio, viva il nuovo

 


Su un muro della rossa e opulenta Modena ho letto di recente una frase assai significativa: «Avete cacciato il fascismo per rubare meglio». È indice di uno stato d'animo sempre più diffuso. Molti, moltissimi italiani non ne possono più di questo putrido sistema partitocratico. Dove i partiti che governano e quelli che stanno alla opposizione, si comportano allo stesso modo. Tutti responsabili. Tutti d'accordo. Tutti vecchi. Soprattutto nel modo di agire e di interpretare la vita politica.
Siamo tornati indietro di quasi cento anni. L'Italia è un Paese vecchio. Tremendamente vecchio. Obsoleto. Conservatore nel senso deleterio del termine. Alla deriva. Vecchio nella mentalità. Nelle strutture. Nella asfissiante burocrazia. Negli uomini politici. È un Paese corrotto. Fino al midollo. Corrotto in tutti i suoi gangli vitali. Nei funzionari. In molti professionisti e imprenditori legati al potere municipale dal metodo delle tangenti. Arricchimenti illeciti. Campagne elettorali, come l'ultima, faraoniche. Con i soldi turlupinati al contribuente. Compravendita di voti preferenziali.
Quasi metà del Paese è consegnata alla criminalità. Le scelte politiche e amministrative non sono dettate dall'efficienza e dal desiderio di servire la comunità, ma dal tornaconto personale di piccoli e grossi boss politici. Assenza totale di controlli e di trasparenza. La mediocrità che ha il sopravvento. I partiti ridotti a centri di affari. Dove vanno avanti i farabutti e i furbastri. Protetti da una impunità sconcertante. Una caduta verticale e impressionante di ogni valore. È mafia ovunque. Da Milano a Palermo. È mafia dentro e fuori dal Palazzo.
Tutto è vecchio, tremendamente vecchio. In questa Italia nata dalla vergogna dei ganci di piazzale Loreto.
Ecco la significativa scritta sui muri di Modena.
In questa Italia che per decenni è andata avanti verso lo sfascio e la corruzione pascendosi del mito della resistenza. In questa Italia che per oltre quaranta anni ha vissuto sulle false contrapposizioni tra sinistra e destra. Tra PCI e DC. Tra fascismo e antifascismo. Tra capitalismo e comunismo. In questa Italia che ha conosciuto financo gli anni di piombo. Gli opposti estremismi creati e voluti dal sistema, e ad esso perfettamente funzionali. Come oggi è la mafia. Quante similitudini tra le stragi sui treni e gli assassini di Falcone e Borsellino!
E la verità che mai viene fuori. I depistaggi. Le inutili e interminabili indagini. Pilotate, sempre e comunque, da chi muove i fili. E quel tanto italiano «Dagli all'untore!» che è stata una costante di questi oltre quarant'anni. Prima i «fascisti», poi i «piduisti», oggi i «mafiosi».
La commedia si ripete. Ed i personaggi sono sempre e ostinatamente gli stessi. Gli uomini del Palazzo. Con Presidenti della Repubblica messi all'uopo alla massima carica dello Stato. Triste destino anche questo per gli italiani! Pertini, Cossiga, Scalfaro. Personaggi diversi, ma sempre funzionali a questo sistema. Emblematiche le dichiarazioni del neo presidente all'indomani dell'uccisione del giudice Borsellino e della sua scorta: «Coraggio e avanti. Resistere, resistere, perché siamo dalla parte della libertà come ai tempi della guerra di liberazione quando sembrava che l'aurora non spuntasse mai e poi un giorno è spuntata».
Dichiarazione vecchia, stantia. Come l'Italia dei partiti che Scalfaro rappresenta. Come se quaranta e più anni non fossero trascorsi. Come se il Presidente eletto «per necessità» dopo l'ennesima strage si fosse dimenticato che l'Italia in cui oggi siamo costretti a vivere -tra scandali, ladroni e assassini- non è altro che quella nata da quella resistenza che lui stesso invoca.
È un'Italia in cui la nausea oramai ti soffoca. Ti fa, in certi momenti, sentire impotente.
Quando, dopo decenni di militanza in un partito, decidemmo di rompere con esso ogni cordone ombelicale perché lo reputavamo uguale agli altri, ci rendemmo immediatamente conto che finalmente qualcosa si poteva fare. Al di fuori degli schemi precostituiti. Al di sopra delle false e fittizie etichette, delle interessate logiche di parte. Ci rendemmo soprattutto conto che, come noi, tantissimi altri non ci stavano più, che in tantissimi altri c'era e c'è il desiderio di cambiare. C'era e c'è l'aspirazione al nuovo. Al di là degli steccati. Al di là di quelle fittizie formule di destra e di sinistra che per più di quaranta anni ci hanno soffocato e soggiogato. Facendo il gioco dei ladri e degli assassini. Ci siamo accorti che c'è la reale possibilità di opporsi e di ribaltare una situazione che, stando dentro ai partiti, appare ed è inattaccabile. Perché sono proprio i partiti a renderla tale.
Questa Italia vecchia e ottocentesca ha il fiato corto. L'esercito di coloro che non ci stanno, che hanno aperto gli occhi, che hanno capito è sempre più forte e numeroso. Si va verso il nuovo. Il comunismo è miseramente crollato. Il capitalismo che sembra avere vinto è ancora battibile. La logica di Yalta non detta più legge.
È finito il tempo delle paure e dei compromessi. Ognuno è libero di fare le proprie scelte. Senza condizionamenti. Senza più ricatti. Il nuovo è tutto da costruire. E lo possiamo fare insieme a tanti altri che, come noi, si sono liberati e si stanno liberando dalle catene di tanti anni di false e pilotate contrapposizioni. La strada è aperta. Si può uscire dal tunnel.
A noi il compito, senza nulla rinnegare e tenendo ben strette le nostre idee e salde le nostre radici, di iniziare la lunga marcia. Verso il nuovo. È l'ultima possibilità. È l'ultimo tentativo generoso e disinteressato. Spavaldo e coraggioso. Portato avanti da uomini ai quali il coraggio, disinteresse, coerenza e generosità non sono mai mancati. Anche la storia individuale di ciascuno di noi, quasi sempre oscura e disconosciuta, alla lunga può e deve avere il suo peso.
È ora di cambiare. Di spazzare via il vecchio ed il marciume. Per costruire il nuovo.
 

Gianni Benvenuti

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