Vogliamo i soldati anche
ai lavori di Loggia
«'sa di risate se mi controllano il conto in banca,
macari un centinaio di mila lire ci lasciano»
(Confidenza di un massone)
«Letto intatto, tracce di rossetto,
vade retro Satana, io mi batto il petto»
(Tina Pica, "Pane amore e fantasia")
La signorina Tina Anselmi è la contraffazione impietosa del concetto di Tina
Pica. Abbiamo avuto tutti una zitella professoressa di lingue e letteratura
straniera: inevitabilmente l'abbiamo chiamata Tina, Tina Pica, per quel mix di
acido e per quel tremore di impreparazione con cui affrontavamo le giornate di
ginnasio.
Mi spiego: Tina Pica è obiettivamente, per la nostra memoria storica, una donna
brutta, ma è un'anima dolce. Tina Pica è l'idea della cara zia. Pica è un mito.
Tina Pica si segna per la devozione a Dio. È la perpetua del maresciallo dei
carabinieri: nei secoli fedele, fedele alle trine, ai biscottini per il té, alle
cose buone.
La signorina ex-onorevolessa Tina Anselmi, già partigianessa, grandangolare
artificiera della commissione P2, stimata dalla Rete epperciò pericolosissima,
democristiana della certosa, ci offre la giusta idea di come una «tina pica»
posa essere antipatica, appunto per come vi dicevo su: la contraffazione di
un'idea.
Issa non è una «tina pica». È un'entità al femminile raffazzonata al gusto
dell'albume radicai chic. È una specie di Bobbio al sapor del ruttino di grappa.
È pienotta, paciocca, furbocca. Colma come un otre gravido di sani princìpi.
Assetata di giustizia nella sua versione alcoolica. Issa è la dea della
sagrestia. Prima trombonessa della fila di sinistra. È tabù di verginità. È
parte del tutto. È ciccina bella di repubblichina nostra. La vediamo affrontare
con il piglio di un sergente tutto lo scibile dell'esoterismo e il mistero
affabulatorio di anni e anni della storia nostra quotidiana.
Graffia, lacera, e squarcia i veli, le tele, le mura delle officine di Libera
Muratoria. Bofonchia, sboffa, ruggisce contro l'istituzione Massonica come se il
male accadesse proprio alla destra del Tempio di Salomone, all'ombra delle
piramidi, dentro i numeri di Pitagora, fra le note di Mozart.
Troppa grazia comare Tina. Troppa grazia. Vorrebbe mandare i soldati per
assistere ai lavori di Loggia? Non se la prenda neppure con Licio Gelli, se la
prenda piuttosto con i suoi compagni di oratorio. Giusto quando si cercano i
legami e le connivenze con la mafia. Giusto quando si deve spalancare il segreto
del malaffare. Giusto per grattare la rogna di questo sistema ladro e assassino.
Il punto è questo: l'Italia è strapiena di babbei, di zombies, di citrulli. È
terra di pubblicità: agosto da fiera in festa, giornali senza notizia,
televisione scosciata, ministri senza brillantina. È così: non c'è speranza.
Tutto svanisce all'ombra di un grande mostro. Oggi si rompe l'anima alla
Massoneria, così come avevano rotto i «cosiddetti» a noi fascisti ai tempi belli
delle trame nere, e si dimentica che l'unica cosa seria rimasta in Italia è
proprio la confraternita dei liberi muratori. Ma dico questo: volete veramente
fare pulizia? Volete scoprire le malefatte? Allora caro signor ministro Mannino
e cara signora Tina vadino, cioè andate insieme, mano nella mano a controllare i
conti in banca dei consiglieri comunali siciliani, i movimenti di valuta, gli
assegni, le cambiali, le monetine e din din di tutta la porca fauna
democristiana. Andate nelle sagrestie dove i voti si comprano. Andate negli enti
delle mangiatoie.
Vi mangerei il cuore, per quant'è vero che siete falsi come la pietra pomice.
Non ho l'immunità parlamentare ma possiedo l'arte della metafora per poter dire
con franchezza che a me non la date a bere. Per ripetere ancora con furor di
metafora che vi
rimangerei il cuore. Non sapete cos'altro inventare per stampare il vostro
grugno sul grande lenzuolo della comunicazione. Mettete piuttosto fuorilegge voi
stessi e tutta la storia di questo regime, mettete fuorilegge la democrazia
cristiana, la santa complicità di Romana Chiesa, i consigli comunali, le
amministrazioni provinciali, mezzo parlamento, le USL, apritevi le filiali nelle
carceri, coordinatevi per corrente. A me di certo non la date a bere.
Certe facce da cani fanno i democristiani e si accampano le briciole e rotoloni
di pane per sfamare cinque generazioni. Certe brutture nel vostro paradiso
democratico si elevano al suono delle campane del conformismo delinquente. Certe
volte viene su una voglia di fare la valigia e trasferirsi in Svizzera dove
almeno i buchi al formaggio non glieli fanno di certo i ladri. Certe volte sì
che ringrazio Iddio Onnipotente di non avermi fatto frequentare troppo spesso le
Chiese, le azioncine cattoliche, i gruppi di solidarietà cristiana, le questue
porta a porta e il sostegno al grande partito popolare. Certe volte guardo il
bottiglione di olio di ricino e il Santo Manganello. Come ai bei tempi del
«Selvaggio». Il nostro pane è «letteratura». Un colpo di «squadra» e il gioco è
fatto.
Pietrangelo Buttafuoco
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