In memoria di Paolo
Borsellino
Lettera aperta al prof. Buttafuoco
Caro prof.,
stavolta sono proprio costretto a scriverti nonostante i 40 gradi, la noia e il
timore che qualcuno degli amici della redazione sottolinei per l'ennesima volta
il tuo essere Poeta, che per te è diventato meglio di un'immunità parlamentare.
Ti confesso che ho dovuto trattenermi dal rivolgerti affettuosamente l'invito
più volte formulato dallo Zio Nino: quello di dedicarti al tradizionale gioco
della «strummula». Non temere, prof., io non ho intenzione di attardarmi su
riflessioni sofferte o lunghe elucubrazioni storiche o «dottrinarie». Voglio
semplicemente invitarti a ricordare sempre, quando scrivi di Mafia e di Sicilia,
gli occhi dei bambini di Catania o di Palermo, i loro squallidi quartieri, la
precarietà delle loro vite e il sorriso amaro e ironico di Paolo Borsellino:
forse così avvertirai un po' meno «esteticamente accettabili» i tuoi onirici
incontri, magari conviviali, sotto un pergolato con Michele Greco e ti
ricorderai un po' più degli amici del tuo simpatico interlocutore, a partire dal
compianto Salvo Lima a tutte le untuose figure del potere democristiano che in
quaranta anni ha massacrato il territorio siciliano, devastato le coste, reso
invivibili le Città, condannato a una vita infinitamente misera ampie fasce di
«dimenticati», avvelenato l'acqua e l'aria, ucciso, in una parola, la dignità di
un popolo.
Forse ti sorprenderà, ma nonostante non sia precisamente difensore di
«antropologie deboli», trovo, riesco a trovare, molto più «fascismo», il mio
«fascismo», in "Samarcanda", nelle mobilitazioni della società civile, nella
rottura di appartenenze ormai insignificanti e funzionali solo al sistema di
potere, nei combattenti della frontiera palermitana, che in stanche ritualità
nostalgiche, in triple pene di morte, torture e lavori forzati.
Caro prof., in certi momenti e su certi argomenti le parole sono pietre: il tuo
anticonformismo radicale e la tua satira corrosiva andrebbero reindirizzati,
come ai tempi memorabili in cui scrivevi, sprezzante, degli «ascari» di Catania
e in cui credo ricordare il tuo entusiasmo, comunque il tuo interesse, condiviso
e stimolato da Beppe, sulla primavera palermitana e sui fermenti
antidemocristiani di molti interlocutori politici isolani (... via, prof., la
«canaglia pidiessina» è degna del peggior Tremaglia!!).
So che hai iniziato a scrivere su "L'Indipendente" e non mi sorprenderei, te lo
dico con affetto, se intercalassi nei tuoi pezzi battute in «leonfortese
stretto» e sulfuree frecciate antileghiste: fa parte del tuo modo di essere. Ma
ne fa anche parte, grazie a Dio, una fiera avversione alle ristrettezze mentali
di una certa area politica che al dibattito ha sempre preferito l'invettiva,
all'analisi l'insulto e che in tutti i momenti che contano della vita politica
siciliana e italiana si è ritrovata sempre schierata con la «Conservazione», dal
'68 al terrorismo, dal divorzio alla pena di morte, dalla NATO all'intervento
nel Golfo (facendoti indignare all'inverosimile con una iniziativa parlamentare
contro la «dolce vita» e l'Anitona...).
Insieme, anche attraverso "Tabularasa", siamo alla ricerca di coordinate che
riescano a configurare un ruolo per le nostre suggestioni, le nostre eresie, i
nostri percorsi politici ed esistenziali, all'interno di un gigantesco
rivolgimento epocale che ha travolto le vecchie certezze, ridicolizzato i vecchi
schemi e dentro il quale dobbiamo muoverci, fedeli alla Memoria, ma aperti a
nuove e possibili sinergie positive.
Caro prof., io intendo continuare a discutere con Diego Novelli e con Enrico
Landolfi, con Leoluca Orlando e con Mario Segni, e con tutti quelli con i quali
non mi lega il passato ma i disgusti del presente e le Speranze del futuro.
Sotto il pergolato c'è posto: ci resterà sempre tempo per le donne e i viaggi, i
libri e i sogni. Forse anche per le canzoni che hanno fatto rizzare i capelli,
come dici tu, alla «gentuzza normale». «Gentuzza» che, nonostante tutto,
dobbiamo continuare ad amare. Per affrancarla e liberarla dal partito del denaro
e dai suoi utili idioti.
Con affetto,
Fabio
Granata
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