«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 5 (31 Agosto 1992)

 

In memoria di Paolo Borsellino
Lettera aperta al prof. Buttafuoco

 


Caro prof.,
stavolta sono proprio costretto a scriverti nonostante i 40 gradi, la noia e il timore che qualcuno degli amici della redazione sottolinei per l'ennesima volta il tuo essere Poeta, che per te è diventato meglio di un'immunità parlamentare. Ti confesso che ho dovuto trattenermi dal rivolgerti affettuosamente l'invito più volte formulato dallo Zio Nino: quello di dedicarti al tradizionale gioco della «strummula». Non temere, prof., io non ho intenzione di attardarmi su riflessioni sofferte o lunghe elucubrazioni storiche o «dottrinarie». Voglio semplicemente invitarti a ricordare sempre, quando scrivi di Mafia e di Sicilia, gli occhi dei bambini di Catania o di Palermo, i loro squallidi quartieri, la precarietà delle loro vite e il sorriso amaro e ironico di Paolo Borsellino: forse così avvertirai un po' meno «esteticamente accettabili» i tuoi onirici incontri, magari conviviali, sotto un pergolato con Michele Greco e ti ricorderai un po' più degli amici del tuo simpatico interlocutore, a partire dal compianto Salvo Lima a tutte le untuose figure del potere democristiano che in quaranta anni ha massacrato il territorio siciliano, devastato le coste, reso invivibili le Città, condannato a una vita infinitamente misera ampie fasce di «dimenticati», avvelenato l'acqua e l'aria, ucciso, in una parola, la dignità di un popolo.
Forse ti sorprenderà, ma nonostante non sia precisamente difensore di «antropologie deboli», trovo, riesco a trovare, molto più «fascismo», il mio «fascismo», in "Samarcanda", nelle mobilitazioni della società civile, nella rottura di appartenenze ormai insignificanti e funzionali solo al sistema di potere, nei combattenti della frontiera palermitana, che in stanche ritualità nostalgiche, in triple pene di morte, torture e lavori forzati.
Caro prof., in certi momenti e su certi argomenti le parole sono pietre: il tuo anticonformismo radicale e la tua satira corrosiva andrebbero reindirizzati, come ai tempi memorabili in cui scrivevi, sprezzante, degli «ascari» di Catania e in cui credo ricordare il tuo entusiasmo, comunque il tuo interesse, condiviso e stimolato da Beppe, sulla primavera palermitana e sui fermenti antidemocristiani di molti interlocutori politici isolani (... via, prof., la «canaglia pidiessina» è degna del peggior Tremaglia!!).
So che hai iniziato a scrivere su "L'Indipendente" e non mi sorprenderei, te lo dico con affetto, se intercalassi nei tuoi pezzi battute in «leonfortese stretto» e sulfuree frecciate antileghiste: fa parte del tuo modo di essere. Ma ne fa anche parte, grazie a Dio, una fiera avversione alle ristrettezze mentali di una certa area politica che al dibattito ha sempre preferito l'invettiva, all'analisi l'insulto e che in tutti i momenti che contano della vita politica siciliana e italiana si è ritrovata sempre schierata con la «Conservazione», dal '68 al terrorismo, dal divorzio alla pena di morte, dalla NATO all'intervento nel Golfo (facendoti indignare all'inverosimile con una iniziativa parlamentare contro la «dolce vita» e l'Anitona...).
Insieme, anche attraverso "Tabularasa", siamo alla ricerca di coordinate che riescano a configurare un ruolo per le nostre suggestioni, le nostre eresie, i nostri percorsi politici ed esistenziali, all'interno di un gigantesco rivolgimento epocale che ha travolto le vecchie certezze, ridicolizzato i vecchi schemi e dentro il quale dobbiamo muoverci, fedeli alla Memoria, ma aperti a nuove e possibili sinergie positive.
Caro prof., io intendo continuare a discutere con Diego Novelli e con Enrico Landolfi, con Leoluca Orlando e con Mario Segni, e con tutti quelli con i quali non mi lega il passato ma i disgusti del presente e le Speranze del futuro. Sotto il pergolato c'è posto: ci resterà sempre tempo per le donne e i viaggi, i libri e i sogni. Forse anche per le canzoni che hanno fatto rizzare i capelli, come dici tu, alla «gentuzza normale». «Gentuzza» che, nonostante tutto, dobbiamo continuare ad amare. Per affrancarla e liberarla dal partito del denaro e dai suoi utili idioti.

Con affetto,
 

Fabio Granata

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