«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 6 - 7 (31 Ottobre 1992)

 

Tutti a bordo! Diamo una mano al sistema...

 

Caro Direttore, ti rimetto questo articolo ma a due condizioni:
1) la possibilità di utilizzare un nome de plume al fin di meglio provocare;
2) come l'Imaginifico, Insuperato Dragonera, voglio anch'io un interprete autentico del mio pensiero. Uno che mi aiuti a discernere tra quanto vado a dire.
Per ciò che concerne questa mia seconda richiesta, essendo io, solo una pallida imitazione dell'Inimitabile, ti prego di considerare l'altro Lanna Brother's, così come la gente (... sì, «la gente» come nella rauca voce di Tina Pica) possa distinguere il Vero dal falso e l'allegoria possa compiersi.
Convinto che aderirai a queste richieste neanche esose, vengo al dunque, introdotto al tema da Marx, non Carlo, ma il grande Groucho: «non mi iscriverei mai in un club esclusivo che prendesse me tra i suoi soci». Questo per dire che ho tanta consapevolezza di me da evitare accuratamente le intruppate e le folle che si cibano di luoghi comuni che proprio in quanto tali vanno sfatati e sbattuti in faccia ai meschinelli.
Prendiamo Tangentopoli che non è una provincia di Disneyland, ma quel gioco dove metà Italia sta ferma un giro in prigione e l'altra metà suda freddo ad ogni transito in Parco della Vittoria, l'equivalente ludico della via Montenapoleone immortalata da Peter Van Wood, quella dove ti fanno pagare anche l'aria che respiri.
Passi di là e tutti a sproloquiare sui tangentomani, sui «làder» e sui «Lander» e su quelli che se ne devono andare. Citano Giorgio «trombetta» in Bocca (cfr. il principe Antonio De Curtis), il quale proprio ieri ha scoperto che il Sud è l'inferno. Aho... che fichi! Come dice il mio vecchio fruttarolo al mercato dietro l'angolo.
Insomma, passi per la predicozza a buon mercato sullo Stato che nel Sud manca, ma il pulpito. Il pulpito, quello no.
E per meglio chiarire vado a citare una parabola in versi del buon Trilussa; s'intitola «L'omo finto» e racconta di un passero che «giranno» intorno ad uno spaventapasseri non si lascia spaventare e lo confonde «cor padrone der monno», l'uomo. «Je beccò la capoccia, ma s'accorse ch'era piena de stracci e de giornali. Questi -pensò- saranno l'ideali, le convinzioni, forse: o li ricordi de le cose vecchie che se ficcano nell'occhi e ne l'orecchie. Vedemo un po' che diavolo cià in core... Uh! quanta paja! Apposta pija foco per così poco, quanno fa l'amore! E indove sta la fede? e indove sta l'amore? e questo è un orno? Nun ce posso crede...»
Al che provoca la reazione dello spaventapasseri: «Devi considera che, se domani ognuno se mettesse a fa un'inchiesta su quello che cià in core e che cià in testa, resterebbero più pupazzi che cristiani».
Quale morale trarre da questa storiellina?
Primo: diffidare e diffidare sempre dagli oppositori che salgono sull'ultimo treno utile. Secondo: trarre motivo per difendere gli sconfitti, ricordando ciò che disse un anonimo hidalgo: «La derrota es el blason de l'alma bien nacida».
Orsù, camerati! In questi ultimi quarantasette anni siamo stati ai margini del sistema. Non ne abbiamo ricavato alcunché. La patria, questa patria partitocratica che si risveglia antipatizzante di sé stessa e sputa nel piatto dove ha mangiato fino a ieri, ha bisogno di noi.
Un grande ideale ha bisogno di grandi sacrifici. «Aux armes citoyens» è il nostro momento. Corriamo a difendere noi e noi soli il sistema morente.
Cittadino Martinazzoli, cittadino Craxi, cittadino Occhetto, ricordate che noi siamo la «fedeltà più forte del fuoco». Altra tempra di uomini. Non quei badogliani da cui siete circondati. Tutti come Bruto e tutti uomini d'onore.
Qualcuno già reclama l'onere del comando della barca che affonda. E sia. Saremo con lui. Voi raggiungete pure terra, mettetevi in salvo e con voi le vostre famiglie. Altre navi ed altri comandi vi attendono. A noi il governo della nave senza nocchier nella tempesta. Come disse Lui: siamo un popolo di navigatori. A maggior ragione quando la barca sta per affondare e i topi scappano.
A bordo allora. Prendiamo il timone e diamogli una mano. No. Non quella che niccianamente «delicatamente uccide», ma la mano cameratesca di chi dopo tanto aver atteso i Tartari, oggi è preso dalla sindrome Bastiani cerca nuovi nemici ai confini e vuol sbarrargli le porte.
A tal proposito noto che nella forma abbreviata al mitico Drago, basta cambiare una vocale per ritrovare Drogo, per cui mi piacerebbe leggere una sua replica a questa improvvida provocazione. Caro Dragonera se anche tu cerchi nuovi futuristici Tartari contro cui marciare, rispondi all'appello.
All'armi! All'armi e alla pugna. Nel senso latino del termine, ovvio. Alea jacta est. Il Rubicone è o no ai confini della Padania? Lì si fa l'Italia o si muore.
Noi intanto abbiamo tirato e... sette, otto, nove... ci ritroviamo proprio nella casella del Parco della Vittoria. A bestemmiare in romanesco e in tutti gli altri dialetti di questa italica Babele.

Nichilisticamente tuo.
 

Barbanera

 

P. S. — Ti chiederai il perché di questo orrendo pseudonimo. Francamente al di là della parodia, neanche io lo so. Ma ti giuro che ci rifletto sopra, faccio un salto a Foligno e poi ti spiego... Intanto, ti prego, fa che a spiegare sia il mio critico.

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