Facce nuove e vecchi
merletti
Siamo in tempi di facce nuove. In questi giorni, proprio in questi giorni, sono
molte le facce nuove o seminuove che si stanno proponendo come tali sulla scena
politica. Magari, a volte si tratta di facce vecchie (ma non per questo meno
rispettabili), che si collocano in ruoli nuovi.
Sono facce personali, di muscoli, ossa e pelle, sono facce metaforiche,
collettive, politiche. C'è la faccia bitorzoluta e rugosa di Mino Martinazzoli,
nuova nella veste di segretario nazionale della DC. La sua elezione è un fatto
importante, serio, da non sottovalutare. Da valutare, anzi, nella sua esatta
dimensione, nella scelta dei tempi che ad essa ha condotto. La elezione di
Martinazzoli è forse il segno più evidente dello stato delle cose, della crisi
totale del partito di maggioranza relativa, costretto a ricorrere all'ultimo dei
ripari, all'estremo espediente, per salvare il salvabile. Un partito che si
sente mancare la terra sotto i piedi, arriva a «concedere» ciò che solo pochi
mesi fa sembrava impossibile: l'elezione unitaria, l'acclamazione dell'uomo
apparentemente (e forse veramente) più onesto, più estraneo alle logiche
spartitorie, più inviso alle oligarchie storiche. Primum vivere, poi si vedrà.
Ma è tardi, anche per loro è troppo tardi, è una scelta fuori tempo, è un
tentativo di recuperare su quello che già è perduto.
A Martinazzoli si presentano due sole alternative. Assoggettarsi ai dictat delle
cupole democristiane e quindi deludere l'ultima aspettativa, dare l'estrema
fregatura ad un elettorato ormai esausto. Oppure, se sapesse dimostrare doti di
carattere di cui in precedenza non ha dato grosse prove, azzerare la vecchia
classe dirigente e le vecchie regole. Ma questo risultato porterebbe ad un
drastico ridimensionamento di un partito che fonda la sua forza, e ormai la sua
stessa ragione di esistere, sugli apparati clientelari, sui complicati equilibri
correntizi. Una DC dimezzata, minoritaria, magari all'opposizione perderebbe il
suo ruolo, il suo significato, cesserebbe di esistere. Non vedo insomma, per il
neosegretario, altra possibilità che il fallimento.
Nuova pure si afferma la faccia tesa e pensosa di Mariotto Segni, credibile
leader dello schieramento che, con la grande battaglia referendaria, ha reso
ineludibile la questione delle riforme istituzionali. Meno nuove e meno
credibili alcune delle facce che, dietro di lui si prestano ai riflettori della
stampa, oggi attenta al suo movimento. Ma anche per Segni due diverse e
convergenti alternative si pongono. Forzare subito i toni della sua polemica con
l'establishment democristiano, fino ad una rottura che gli farebbe subito
perdere il grosso del notabilato che oggi gli si fa intorno, riducendosi a
costituire un'altra piccola scheggia del mosaico del parlamento italiano. Oppure
restare più a lungo nel suo partito, per vedere eroso fino in fondo il proprio
patrimonio di credibilità ed energia, fino a trovarsi fuori della DC quando il
suo movimento non significherà più nulla. Anche lui in ritardo, anche lui già
fuori tempo.
Così fuori tempo sembra presentarsi l'altra faccia nuova, Claudio Martelli.
Nuova, anche la sua, nella inedita veste di antagonista di Craxi e moralizzatore
del costume politico. Primo sintomo di una palingenesi socialista o non
piuttosto destinata a perdersi, con le altre nel gorgo di una guerra intestina
che si annuncia non priva di colpi bassi. E sul PSI qualche parola in più va
spesa. Non siamo tra quelli che vanno ad ingrossare le fila del coro dei
moralisti anticraxiani dell'ultima ora, noi che in altri tempi venivamo
costantemente definiti «filo-socialisti», per le attenzioni rivolte al
potenziale di cambiamento che il PSI di Craxi ha rappresentato. Non ci siamo mai
illusi sulle qualità morali della classe dirigente socialista (anche quella dei
neo-oppositori), il giudizio che va dato è freddamente politico e, ancora una
volta, il giudizio è fondato sui tempi, è correlato alla situazione oggettiva.
Craxi ha avuto l'indubbio merito di riaprire, in Italia, la prospettiva di un
cambiamento, di ridare un ruolo da protagonista ad un partito asfittico. Il
combustibile per questa operazione fu costituito dalla rincorsa alla DC
nell'accaparramento del potere, nella contesa arrogante di spazi per la
spartizione, sotto il ricatto della «governabilità». Troppo tempo è passato in
questa guerra di logoramento e, seppure ha aperto una strada, l'obiettivo è
fallito, e morte le speranze, sono rimasti i metodi, divenuti stabili e fini a
sé stessi. Insieme al carburante Craxi ha finito per bruciare la sua
credibilità, i suoi uomini, il suo partito.
La faccia di Occhetto, a tratti ingenua e quindi simpatica, è invecchiata quasi
subito.
Altri soggetti si affacciano oggi a rivendicare l'eredità di una speranza di
superamento. La «Sinistra di governo» e l'«Alleanza democratica». Anche qui
molte facce seminuove, con l'unico limite che sono quasi sempre le stesse,
intercambiabili nelle parti e nei palcoscenici su cui quotidianamente vengono
rappresentate scene tanto simili e sovrapposte tra loro da renderne difficile la
decifrazione dei codici. Tanti, quindi, gli scenari di movimento e tante le
facce, quasi tutte oneste e rispettabili, degne comunque di attenzione, perché
rappresentano davvero gran parte di quello che oggi si muove. Insieme ad altri
soggetti ormai più noti e consolidati (Verdi, Rete, ecc.) sono gli ambiti in cui
vai la pena di indagare, di impegnarsi, sono il terreno di partecipazione alla
politica di oggi.
Sono comunque e soprattutto dei sintomi, dei segnali, sempre più avanzati, della
disgregazione di quanto c'è (di quanto c'era?), sono gli aspetti di una fase
ormai matura della crisi. Sono gli indicatori di un livello di guardia ormai
superato. Nascono, è vero, all'interno di quegli ambienti e di quelle logiche
rispetto ai quali si pongono come superamento, ma dove altro potevano nascere?
Gli uomini nuovi non si trovano sotto i cavoli. Sono, siamo, tutti figli di
quella cultura politica. Dalla crisi nasceranno le nuove regole, i nuovi fronti.
Non credo di avventurarmi in visioni profetiche se azzardo l'idea che questa
classe intermedia accompagnerà, favorirà, il cambiamento e ne verrà bruciata. È
un destino scritto nella logica di tutti i processi di rivolgimento, violenti o
pacifici che siano.
Senza dover tornare con lo sguardo alla rivoluzione francese è sufficiente
osservare il destino di Gorbaciov, che ha anticipato il cambiamento, gli è corso
affannosamente davanti, fino ad essere raggiunto, superato e travolto. Un
destino ancora più crudele sembra toccare al suo successore, Eltsin. Ma non è
successo lo stesso a Lech Walesa?
Mi è capitato altre volte di chiedere, senza risposta, se qualcuno ricorda il
nome di quel personaggio, che pure sarebbe dovuto passare alla storia, il
successore di Honecker alla guida della Germania Democratica, l'uomo che
subì-concesse-ordinò l'apertura del muro di Berlino. Sono passati solo tre anni
eppure la sua faccia, il suo faccione, sorridente per l'effimera popolarità di
una sera, è l'unica immagine che rimarrà per qualche tempo nella nostra memoria.
Il suo nome è già perso. Stiamo voltando pagina, anche se nessuno ha scritto le
nuove regole, siamo già sul nuovo versante del crinale, anche se non ci è dato
di vedere dove e quando si arresterà la nostra corsa. Per chi ha sognato, sia
pure maldestramente, confusamente, di cambiare, per chi non ha accettato il
conformismo, l'acquiescenza, l'immobilità, oggi l'importante è poter correre,
con la propria faccia.
Umberto
Croppi
|