«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 6 - 7 (31 Ottobre 1992)

 

Facce nuove e vecchi merletti

 


Siamo in tempi di facce nuove. In questi giorni, proprio in questi giorni, sono molte le facce nuove o seminuove che si stanno proponendo come tali sulla scena politica. Magari, a volte si tratta di facce vecchie (ma non per questo meno rispettabili), che si collocano in ruoli nuovi.
Sono facce personali, di muscoli, ossa e pelle, sono facce metaforiche, collettive, politiche. C'è la faccia bitorzoluta e rugosa di Mino Martinazzoli, nuova nella veste di segretario nazionale della DC. La sua elezione è un fatto importante, serio, da non sottovalutare. Da valutare, anzi, nella sua esatta dimensione, nella scelta dei tempi che ad essa ha condotto. La elezione di Martinazzoli è forse il segno più evidente dello stato delle cose, della crisi totale del partito di maggioranza relativa, costretto a ricorrere all'ultimo dei ripari, all'estremo espediente, per salvare il salvabile. Un partito che si sente mancare la terra sotto i piedi, arriva a «concedere» ciò che solo pochi mesi fa sembrava impossibile: l'elezione unitaria, l'acclamazione dell'uomo apparentemente (e forse veramente) più onesto, più estraneo alle logiche spartitorie, più inviso alle oligarchie storiche. Primum vivere, poi si vedrà. Ma è tardi, anche per loro è troppo tardi, è una scelta fuori tempo, è un tentativo di recuperare su quello che già è perduto.
A Martinazzoli si presentano due sole alternative. Assoggettarsi ai dictat delle cupole democristiane e quindi deludere l'ultima aspettativa, dare l'estrema fregatura ad un elettorato ormai esausto. Oppure, se sapesse dimostrare doti di carattere di cui in precedenza non ha dato grosse prove, azzerare la vecchia classe dirigente e le vecchie regole. Ma questo risultato porterebbe ad un drastico ridimensionamento di un partito che fonda la sua forza, e ormai la sua stessa ragione di esistere, sugli apparati clientelari, sui complicati equilibri correntizi. Una DC dimezzata, minoritaria, magari all'opposizione perderebbe il suo ruolo, il suo significato, cesserebbe di esistere. Non vedo insomma, per il neosegretario, altra possibilità che il fallimento.
Nuova pure si afferma la faccia tesa e pensosa di Mariotto Segni, credibile leader dello schieramento che, con la grande battaglia referendaria, ha reso ineludibile la questione delle riforme istituzionali. Meno nuove e meno credibili alcune delle facce che, dietro di lui si prestano ai riflettori della stampa, oggi attenta al suo movimento. Ma anche per Segni due diverse e convergenti alternative si pongono. Forzare subito i toni della sua polemica con l'establishment democristiano, fino ad una rottura che gli farebbe subito perdere il grosso del notabilato che oggi gli si fa intorno, riducendosi a costituire un'altra piccola scheggia del mosaico del parlamento italiano. Oppure restare più a lungo nel suo partito, per vedere eroso fino in fondo il proprio patrimonio di credibilità ed energia, fino a trovarsi fuori della DC quando il suo movimento non significherà più nulla. Anche lui in ritardo, anche lui già fuori tempo.
Così fuori tempo sembra presentarsi l'altra faccia nuova, Claudio Martelli. Nuova, anche la sua, nella inedita veste di antagonista di Craxi e moralizzatore del costume politico. Primo sintomo di una palingenesi socialista o non piuttosto destinata a perdersi, con le altre nel gorgo di una guerra intestina che si annuncia non priva di colpi bassi. E sul PSI qualche parola in più va spesa. Non siamo tra quelli che vanno ad ingrossare le fila del coro dei moralisti anticraxiani dell'ultima ora, noi che in altri tempi venivamo costantemente definiti «filo-socialisti», per le attenzioni rivolte al potenziale di cambiamento che il PSI di Craxi ha rappresentato. Non ci siamo mai illusi sulle qualità morali della classe dirigente socialista (anche quella dei neo-oppositori), il giudizio che va dato è freddamente politico e, ancora una volta, il giudizio è fondato sui tempi, è correlato alla situazione oggettiva. Craxi ha avuto l'indubbio merito di riaprire, in Italia, la prospettiva di un cambiamento, di ridare un ruolo da protagonista ad un partito asfittico. Il combustibile per questa operazione fu costituito dalla rincorsa alla DC nell'accaparramento del potere, nella contesa arrogante di spazi per la spartizione, sotto il ricatto della «governabilità». Troppo tempo è passato in questa guerra di logoramento e, seppure ha aperto una strada, l'obiettivo è fallito, e morte le speranze, sono rimasti i metodi, divenuti stabili e fini a sé stessi. Insieme al carburante Craxi ha finito per bruciare la sua credibilità, i suoi uomini, il suo partito.
La faccia di Occhetto, a tratti ingenua e quindi simpatica, è invecchiata quasi subito.
Altri soggetti si affacciano oggi a rivendicare l'eredità di una speranza di superamento. La «Sinistra di governo» e l'«Alleanza democratica». Anche qui molte facce seminuove, con l'unico limite che sono quasi sempre le stesse, intercambiabili nelle parti e nei palcoscenici su cui quotidianamente vengono rappresentate scene tanto simili e sovrapposte tra loro da renderne difficile la decifrazione dei codici. Tanti, quindi, gli scenari di movimento e tante le facce, quasi tutte oneste e rispettabili, degne comunque di attenzione, perché rappresentano davvero gran parte di quello che oggi si muove. Insieme ad altri soggetti ormai più noti e consolidati (Verdi, Rete, ecc.) sono gli ambiti in cui vai la pena di indagare, di impegnarsi, sono il terreno di partecipazione alla politica di oggi.
Sono comunque e soprattutto dei sintomi, dei segnali, sempre più avanzati, della disgregazione di quanto c'è (di quanto c'era?), sono gli aspetti di una fase ormai matura della crisi. Sono gli indicatori di un livello di guardia ormai superato. Nascono, è vero, all'interno di quegli ambienti e di quelle logiche rispetto ai quali si pongono come superamento, ma dove altro potevano nascere? Gli uomini nuovi non si trovano sotto i cavoli. Sono, siamo, tutti figli di quella cultura politica. Dalla crisi nasceranno le nuove regole, i nuovi fronti. Non credo di avventurarmi in visioni profetiche se azzardo l'idea che questa classe intermedia accompagnerà, favorirà, il cambiamento e ne verrà bruciata. È un destino scritto nella logica di tutti i processi di rivolgimento, violenti o pacifici che siano.
Senza dover tornare con lo sguardo alla rivoluzione francese è sufficiente osservare il destino di Gorbaciov, che ha anticipato il cambiamento, gli è corso affannosamente davanti, fino ad essere raggiunto, superato e travolto. Un destino ancora più crudele sembra toccare al suo successore, Eltsin. Ma non è successo lo stesso a Lech Walesa?
Mi è capitato altre volte di chiedere, senza risposta, se qualcuno ricorda il nome di quel personaggio, che pure sarebbe dovuto passare alla storia, il successore di Honecker alla guida della Germania Democratica, l'uomo che subì-concesse-ordinò l'apertura del muro di Berlino. Sono passati solo tre anni eppure la sua faccia, il suo faccione, sorridente per l'effimera popolarità di una sera, è l'unica immagine che rimarrà per qualche tempo nella nostra memoria. Il suo nome è già perso. Stiamo voltando pagina, anche se nessuno ha scritto le nuove regole, siamo già sul nuovo versante del crinale, anche se non ci è dato di vedere dove e quando si arresterà la nostra corsa. Per chi ha sognato, sia pure maldestramente, confusamente, di cambiare, per chi non ha accettato il conformismo, l'acquiescenza, l'immobilità, oggi l'importante è poter correre, con la propria faccia.
 

Umberto Croppi

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