«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 6 - 7 (31 Ottobre 1992)

 

In alto le bandiere del Sud

 


Diavolo d'un direttore, quando la smetterai di spingerci verso la totale perdizione? L'apertura dell'ultimo "Tabularasa" è più un'istigazione a delinquere che una provocazione: «Per risorgere devi insorgere popolo del Sud»! Una scudisciata.
E c'è da giurare che, assestandola sulle nostre carni ancora calde d'estate, non hai minimamente pensato alle conseguenze. Anzi, se qualcuno avesse potuto spiarti dal buco della serratura, t'avrebbe trovato incurvito sulla tastiera del personal, intento a fregarti le mani: lo sguardo vispo e soddisfatto, come di un monello che ne ha combinata una delle sue.
Più avanti, quasi per farti perdonare, recuperi il ruolo di papà austero d'altri tempi cui basta uno sguardo per farti capire ed ammonisci scugnizzi e picciotti della redazione -e non solo- ad «aprire un dibattito sull'Unità d'Italia, sul Risorgimento, sulla colonizzazione del Meridione che dura da 130 anni». Come dire: smettetela con le bischerate, amici del Sud! Etciù, etciù... Salute.
Non te l'avevo detto, direttore? Ho studiato in Toscana. E non arrabbiarti. Tanto la tua collera -e le tre o quattro ulcere- non resisterebbero ai miei bellissimi filari di peperoncini rossi. Così sia. Si cominci. E chissà che almeno uno dei tanti amici del Sud non sappia cogliere l'irripetibile occasione di soddisfare i tenebrosi desideri del papà-direttore, anche per non vederlo morire di crepacuore. Si darebbe finalmente la stura ad un dibattito di tipo nuovo sulla «questione meridionale» capace di seppellire certezze e luoghi comuni della storiografia e della cultura liberal-sabauda e dei suoi epigoni, quanto di certo meridionalismo piagnone e parolaio ad essa perfettamente funzionale. Capire quando, come e perché un popolo è diventato... questione: ecco un approccio stimolante per chi, come me, perde tempo a spiegare al proprio rampollo che i sussidiari non sono il Vangelo e che, a ben vedere, i signori Cavour, Garibaldi e Mazzini hanno fatto più danno e morti dei tanti terremoti e calamità naturali. Va da sé che sull'argomento non potrò fare a meno di tornare.
Non prima, però, di aver raccolto l'incauta sfida all'insurrezione che il direttore considera -giustamente- condizione necessaria, anche se non sufficiente, per un cammino di liberazione -anzi per il ritorno alla vita- del Popolo del Sud.
Bene. Qualche settimana fa avevamo salutato la sua pellaccia irsuta sul limitar del bosco. C'è gente dalla scorza dura quaggiù in Calabria. I più fanno la siesta riparati da pagliette e coppole incapaci di dar refrigerio dal sole impietoso. Si sveglieranno, prima o poi.
Molti continuano a salire e scendere le scale di feudatari resisi irreperibili in questi giorni burrascosi. Sono i sudditi ed i questuanti di turno, gli ultimi a realizzare che l'impero è crollato e che quei palazzi rimarranno vuoti per lungo tempo ancora.
Quante contraddizioni, quanti insanabili contrasti in Calabria! Chi scommetterebbe su quel variopinto gruppo di terroni determinati ad arrampicarsi lungo i pendii della Sila o i costoni selvaggi d'Aspromonte a picco sul mare: zona strategicamente ideale per le resurrezioni. Così, almeno, qualcuno la smetterà una buona volta di fare il narciso, ritenendosi il solo ribelle sopravvissuto a quella devastante glaciazione delle coscienze che si verificò verso la fine (amen!) dell'età dell'oro. E si preoccuperà, piuttosto, di preparare una buona scorta di sigari toscani per farcene dono quando deciderà di essere dei nostri. Sui monti o nelle patrie galere.
Dunque: è vero. Ci stiamo provando. Registrando simpatie e solidarietà tali da convincerci -assai più dei lusinghieri e ripetuti successi elettorali- che il progetto a suo tempo battezzato "Calabria Libera" è diventato un abito stretto. Tra qualche giorno, a Cosenza, tenteremo un ulteriore salto di livello e, perché no!, di qualità. Avendo concordato con il Movimento Meridionale (Raggruppamento federalista), con circoli ed associazioni più o meno organizzate, con pezzi importanti della cultura e della società calabrese, i modi ed i tempi -necessariamente brevi- per la costruzione di un soggetto politico di secondo livello, a struttura federativa, autenticamente antagonista, meridionale e federalista. Da tempo non ci chiediamo più da dove viene la gente che incontriamo e come sia possibile tenere insieme ciò che era fino a ieri incompatibile. Senza tessere e sezioni, senza strutture ed apparati: soltanto con una stretta di mano. Del resto, tranne che per gli ascari e i trasformisti, c'è posto per tutti. Son tempi difficili e la lotta si farà dura: i trucchi ed i colori dell'estetista sarebbero solo d'impedimento al cammino.
In alto le bandiere del Sud: questo il sentimento e la volontà che cercheremo di evocare. Anche perché, non si può continuare a fingere di non vedere il processo secessionistico in atto; né si può esorcizzarlo, come ha fatto per ultimo ed a gentile richiesta l'on. Scalfaro, lanciando anatemi peraltro privi di destinatario davanti ad un manipolo di reduci partigiani, beati e plaudenti quasi quanto i... missini i quali, guarda caso, hanno sempre bisogno di un Presidente ora da votare, ora da osannare. È acqua passata, non macina più.
La verità -se vogliamo dirla tutta, senza infingimenti- è che il senatore Bossi non chiede altro se non la definizione sul piano del Diritto di ciò che è un fatto: ovvero l'esistenza di almeno due Italie; di cittadini di serie A e di serie B o C; di un'area padana tornata mitteleuropea, nella misura in cui è stata progressivamente scaraventata verso l'Africa una fetta importantissima del territorio della penisola.
E facendo questa constatazione, ovvero consegnando, anche storicamente, la responsabilità di un processo unitario concepito male e gestito peggio a classi dirigenti e politiche antiche e recenti, non vogliamo certo assolvere quanti, accettando sin qui senza reagire lo status di sudditi, quelle classi dirigenti e quelle politiche hanno finito per legittimare.
Rozzezze ed approssimazioni di Bossi a parte, continuare a scambiare gli effetti con le cause è operazione sciagurata di oligarchi -galantuomini e non- che dopo il voto di aprile hanno perso la bussola.
È colpa della Lega se una guerra coloniale è stata spacciata per... unità d'Italia? Ed è colpa di Bossi se l'attuale agonizzante regime -al cui capezzale accorrono medici vecchi e nuovi- dopo aver stretto patti politico-militari con la mafia, consegnando ad essa un terzo del territorio dello Stato; dopo aver prosciugato le residue energie, materiali e morali del Sud; dopo averlo umiliato ed anestetizzato con politiche assistenziali; dopo averlo trasformato in sacca di degrado e sottosviluppo, vera e propria discarica abusiva, anziché recitare il mea culpa dimostra di preoccuparsi esclusivamente di quel che potrebbe accadere a partiti, Comitati di affari, burocrati, tangentocrati e mazzettieri se il Sud si svegliasse dal letargo? E puntando l'indice su Bossi o su Miglio o su Bocca continua a gridare al lupo al lupo per poter continuare a far razzie di pecore e caproni.
Noi non ci stiamo più! Abbiamo da sempre saputo di questo terribile inganno e, finalmente, i tempi -ma anche le scelte che abbiamo avuto il coraggio e l'onestà di compiere!- ci mettono nella condizione di parlare al nostro popolo il solo linguaggio che conosciamo: quello della chiarezza e della coerenza. Egualmente distante tanto dai velleitarismi pseudo-rivoluzionari degli imbalsamati, quanto dalle performances dei trasformisti. Già, i trasformisti... Gava, Pomicino, Andreotti, Forlani, De Mita e tutti gli altri notabili del partito-Stato hanno dato a Martinazzoli l'investitura.
Di nuovo ci son solo gli esiti di una pregressa, severa, acne giovanile. Quasi certamente basteranno al Mariotto popolariformista ed ai suoi sponsor confindustriali, La Malfa compreso, per giustificare la mancata rottura. La DC è come una palude: digerisce sempre tutto ciò che ne agita le acque e ritrova sempre il suo malsano equilibrio. La DC non la cambi. Bisogna lottarla e sconfiggerla.
Intanto, Martelli -che sembra esser venuto da un altro pianeta e si autoincarica di «restituire l'onore ai socialisti»- gioca su quel versante a fare il... Segni: specchietto per allodole, strumento antico. È prevedibile che Craxi -un po' alla volta, data la mole- si defilerà e che, alla fine, spunterà il Martinazzoli del garofano, come lui molto Amato.
Non lo neghiamo: siamo dei visionari. E riusciamo persino a immaginare -dietro le quinte di questo teatro di fine epoca- pupari dell'alta finanza, venerabili di logge varie, capibastone e quant'altro.
Certo si è che quel variopinto gruppetto di calabresi testa dura non è molto interessato alle operazioni di riciclaggio. Si tratti di danaro sporco o di partiti ed uomini di potere. Neppure quando si fingono profeti del nuovo.
Giorni fa è venuto Orlando, da queste parti. E prima di lui Pintacuda. Che delusione: hanno parlato molto di più a burocrati e notabili in versione cani da tartufo che alla società civile calabrese. D'altra parte, la Rete è riuscita fin qui ad eleggere in Calabria -utilizzando sistemi da far venire il voltastomaco- un solo consigliere comunale, a Crotone: che regge il sacco ad una giunta DC-PDS. Alla faccia della novità.
Non si pretende qui di esaurire, in poche battute, un'analisi che dovrà essere articolata e seria. Ma certo si avvertiva l'esigenza di mettere -per quel che ci riguarda personalmente- qualche paletto. Quel che stiamo facendo non è un gioco e neppure un semplice esercizio intellettuale. Stiamo agendo in politica in un momento di grandi e sconvolgenti cambiamenti ed in una realtà gravida di rischi per chi si ostina a scavarla in profondità.
La sfida che noi vediamo -e viviamo sulla nostra pelle!- è tra il Nord ed il Sud.
Meglio, tra i ricchi ed i poveri del mondo, la cui collocazione non sempre coincide con i paralleli. Siamo convinti, ed è questo che cercheremo di argomentare nell'annunciato convegno organizzato da "Tabularasa" in Versilia, si tratti di una sfida non solo culturale e politica, ma ideologica: tra un Nord prigioniero delle leggi di mercato quanto dei suoi egoismi, ed un Sud che dovrà operare il miracolo di riscattare la sua nuova vocazione solidaristica e comunitaria in un prospettiva politica nuova. In definitiva, tra un Nord liberalcapitalista ed un Sud socialista. Che è cosa ben diversa e radicale rispetto ad alleanze democratiche, sinistre dì governo et similia.
Ecco: noi abbiamo scelto il campo ed accettato la sfida: in alto le bandiere del Sud!
 

Beniamino Donnici

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