In alto le bandiere del
Sud
Diavolo d'un direttore, quando la smetterai di spingerci verso la totale
perdizione? L'apertura dell'ultimo "Tabularasa" è più un'istigazione a
delinquere che una provocazione: «Per risorgere devi insorgere popolo del Sud»!
Una scudisciata.
E c'è da giurare che, assestandola sulle nostre carni ancora calde d'estate, non
hai minimamente pensato alle conseguenze. Anzi, se qualcuno avesse potuto
spiarti dal buco della serratura, t'avrebbe trovato incurvito sulla tastiera del
personal, intento a fregarti le mani: lo sguardo vispo e soddisfatto, come di un
monello che ne ha combinata una delle sue.
Più avanti, quasi per farti perdonare, recuperi il ruolo di papà austero d'altri
tempi cui basta uno sguardo per farti capire ed ammonisci scugnizzi e picciotti
della redazione -e non solo- ad «aprire un dibattito sull'Unità d'Italia, sul
Risorgimento, sulla colonizzazione del Meridione che dura da 130 anni». Come
dire: smettetela con le bischerate, amici del Sud! Etciù, etciù... Salute.
Non te l'avevo detto, direttore? Ho studiato in Toscana. E non arrabbiarti.
Tanto la tua collera -e le tre o quattro ulcere- non resisterebbero ai miei
bellissimi filari di peperoncini rossi. Così sia. Si cominci. E chissà che
almeno uno dei tanti amici del Sud non sappia cogliere l'irripetibile occasione
di soddisfare i tenebrosi desideri del papà-direttore, anche per non vederlo
morire di crepacuore. Si darebbe finalmente la stura ad un dibattito di tipo
nuovo sulla «questione meridionale» capace di seppellire certezze e luoghi
comuni della storiografia e della cultura liberal-sabauda e dei suoi epigoni,
quanto di certo meridionalismo piagnone e parolaio ad essa perfettamente
funzionale. Capire quando, come e perché un popolo è diventato... questione:
ecco un approccio stimolante per chi, come me, perde tempo a spiegare al proprio
rampollo che i sussidiari non sono il Vangelo e che, a ben vedere, i signori
Cavour, Garibaldi e Mazzini hanno fatto più danno e morti dei tanti terremoti e
calamità naturali. Va da sé che sull'argomento non potrò fare a meno di tornare.
Non prima, però, di aver raccolto l'incauta sfida all'insurrezione che il
direttore considera -giustamente- condizione necessaria, anche se non
sufficiente, per un cammino di liberazione -anzi per il ritorno alla vita- del
Popolo del Sud.
Bene. Qualche settimana fa avevamo salutato la sua pellaccia irsuta sul limitar
del bosco. C'è gente dalla scorza dura quaggiù in Calabria. I più fanno la
siesta riparati da pagliette e coppole incapaci di dar refrigerio dal sole
impietoso. Si sveglieranno, prima o poi.
Molti continuano a salire e scendere le scale di feudatari resisi irreperibili
in questi giorni burrascosi. Sono i sudditi ed i questuanti di turno, gli ultimi
a realizzare che l'impero è crollato e che quei palazzi rimarranno vuoti per
lungo tempo ancora.
Quante contraddizioni, quanti insanabili contrasti in Calabria! Chi
scommetterebbe su quel variopinto gruppo di terroni determinati ad arrampicarsi
lungo i pendii della Sila o i costoni selvaggi d'Aspromonte a picco sul mare:
zona strategicamente ideale per le resurrezioni. Così, almeno, qualcuno la
smetterà una buona volta di fare il narciso, ritenendosi il solo ribelle
sopravvissuto a quella devastante glaciazione delle coscienze che si verificò
verso la fine (amen!) dell'età dell'oro. E si preoccuperà, piuttosto, di
preparare una buona scorta di sigari toscani per farcene dono quando deciderà di
essere dei nostri. Sui monti o nelle patrie galere.
Dunque: è vero. Ci stiamo provando. Registrando simpatie e solidarietà tali da
convincerci -assai più dei lusinghieri e ripetuti successi elettorali- che il
progetto a suo tempo battezzato "Calabria Libera" è diventato un abito stretto.
Tra qualche giorno, a Cosenza, tenteremo un ulteriore salto di livello e, perché
no!, di qualità. Avendo concordato con il Movimento Meridionale (Raggruppamento
federalista), con circoli ed associazioni più o meno organizzate, con pezzi
importanti della cultura e della società calabrese, i modi ed i tempi
-necessariamente brevi- per la costruzione di un soggetto politico di secondo
livello, a struttura federativa, autenticamente antagonista, meridionale e
federalista. Da tempo non ci chiediamo più da dove viene la gente che
incontriamo e come sia possibile tenere insieme ciò che era fino a ieri
incompatibile. Senza tessere e sezioni, senza strutture ed apparati: soltanto
con una stretta di mano. Del resto, tranne che per gli ascari e i trasformisti,
c'è posto per tutti. Son tempi difficili e la lotta si farà dura: i trucchi ed i
colori dell'estetista sarebbero solo d'impedimento al cammino.
In alto le bandiere del Sud: questo il sentimento e la volontà che cercheremo di
evocare. Anche perché, non si può continuare a fingere di non vedere il processo
secessionistico in atto; né si può esorcizzarlo, come ha fatto per ultimo ed a
gentile richiesta l'on. Scalfaro, lanciando anatemi peraltro privi di
destinatario davanti ad un manipolo di reduci partigiani, beati e plaudenti
quasi quanto i... missini i quali, guarda caso, hanno sempre bisogno di un
Presidente ora da votare, ora da osannare. È acqua passata, non macina più.
La verità -se vogliamo dirla tutta, senza infingimenti- è che il senatore Bossi
non chiede altro se non la definizione sul piano del Diritto di ciò che è un
fatto: ovvero l'esistenza di almeno due Italie; di cittadini di serie A e di
serie B o C; di un'area padana tornata mitteleuropea, nella misura in cui è
stata progressivamente scaraventata verso l'Africa una fetta importantissima del
territorio della penisola.
E facendo questa constatazione, ovvero consegnando, anche storicamente, la
responsabilità di un processo unitario concepito male e gestito peggio a classi
dirigenti e politiche antiche e recenti, non vogliamo certo assolvere quanti,
accettando sin qui senza reagire lo status di sudditi, quelle classi dirigenti e
quelle politiche hanno finito per legittimare.
Rozzezze ed approssimazioni di Bossi a parte, continuare a scambiare gli effetti
con le cause è operazione sciagurata di oligarchi -galantuomini e non- che dopo
il voto di aprile hanno perso la bussola.
È colpa della Lega se una guerra coloniale è stata spacciata per... unità
d'Italia? Ed è colpa di Bossi se l'attuale agonizzante regime -al cui capezzale
accorrono medici vecchi e nuovi- dopo aver stretto patti politico-militari con
la mafia, consegnando ad essa un terzo del territorio dello Stato; dopo aver
prosciugato le residue energie, materiali e morali del Sud; dopo averlo umiliato
ed anestetizzato con politiche assistenziali; dopo averlo trasformato in sacca
di degrado e sottosviluppo, vera e propria discarica abusiva, anziché recitare
il mea culpa dimostra di preoccuparsi esclusivamente di quel che potrebbe
accadere a partiti, Comitati di affari, burocrati, tangentocrati e mazzettieri
se il Sud si svegliasse dal letargo? E puntando l'indice su Bossi o su Miglio o
su Bocca continua a gridare al lupo al lupo per poter continuare a far razzie di
pecore e caproni.
Noi non ci stiamo più! Abbiamo da sempre saputo di questo terribile inganno e,
finalmente, i tempi -ma anche le scelte che abbiamo avuto il coraggio e l'onestà
di compiere!- ci mettono nella condizione di parlare al nostro popolo il solo
linguaggio che conosciamo: quello della chiarezza e della coerenza. Egualmente
distante tanto dai velleitarismi pseudo-rivoluzionari degli imbalsamati, quanto
dalle performances dei trasformisti. Già, i trasformisti... Gava, Pomicino,
Andreotti, Forlani, De Mita e tutti gli altri notabili del partito-Stato hanno
dato a Martinazzoli l'investitura.
Di nuovo ci son solo gli esiti di una pregressa, severa, acne giovanile. Quasi
certamente basteranno al Mariotto popolariformista ed ai suoi sponsor
confindustriali, La Malfa compreso, per giustificare la mancata rottura. La DC è
come una palude: digerisce sempre tutto ciò che ne agita le acque e ritrova
sempre il suo malsano equilibrio. La DC non la cambi. Bisogna lottarla e
sconfiggerla.
Intanto, Martelli -che sembra esser venuto da un altro pianeta e si autoincarica
di «restituire l'onore ai socialisti»- gioca su quel versante a fare il...
Segni: specchietto per allodole, strumento antico. È prevedibile che Craxi -un
po' alla volta, data la mole- si defilerà e che, alla fine, spunterà il
Martinazzoli del garofano, come lui molto Amato.
Non lo neghiamo: siamo dei visionari. E riusciamo persino a immaginare -dietro
le quinte di questo teatro di fine epoca- pupari dell'alta finanza, venerabili
di logge varie, capibastone e quant'altro.
Certo si è che quel variopinto gruppetto di calabresi testa dura non è molto
interessato alle operazioni di riciclaggio. Si tratti di danaro sporco o di
partiti ed uomini di potere. Neppure quando si fingono profeti del nuovo.
Giorni fa è venuto Orlando, da queste parti. E prima di lui Pintacuda. Che
delusione: hanno parlato molto di più a burocrati e notabili in versione cani da
tartufo che alla società civile calabrese. D'altra parte, la Rete è riuscita fin
qui ad eleggere in Calabria -utilizzando sistemi da far venire il voltastomaco-
un solo consigliere comunale, a Crotone: che regge il sacco ad una giunta DC-PDS.
Alla faccia della novità.
Non si pretende qui di esaurire, in poche battute, un'analisi che dovrà essere
articolata e seria. Ma certo si avvertiva l'esigenza di mettere -per quel che ci
riguarda personalmente- qualche paletto. Quel che stiamo facendo non è un gioco
e neppure un semplice esercizio intellettuale. Stiamo agendo in politica in un
momento di grandi e sconvolgenti cambiamenti ed in una realtà gravida di rischi
per chi si ostina a scavarla in profondità.
La sfida che noi vediamo -e viviamo sulla nostra pelle!- è tra il Nord ed il
Sud.
Meglio, tra i ricchi ed i poveri del mondo, la cui collocazione non sempre
coincide con i paralleli. Siamo convinti, ed è questo che cercheremo di
argomentare nell'annunciato convegno organizzato da "Tabularasa" in Versilia, si
tratti di una sfida non solo culturale e politica, ma ideologica: tra un Nord
prigioniero delle leggi di mercato quanto dei suoi egoismi, ed un Sud che dovrà
operare il miracolo di riscattare la sua nuova vocazione solidaristica e
comunitaria in un prospettiva politica nuova. In definitiva, tra un Nord
liberalcapitalista ed un Sud socialista. Che è cosa ben diversa e radicale
rispetto ad alleanze democratiche, sinistre dì governo et similia.
Ecco: noi abbiamo scelto il campo ed accettato la sfida: in alto le bandiere del
Sud!
Beniamino
Donnici
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