Un richiamo per la passera
Caro direttore, rieccomi a te e alla tua "Tabula Rasa". Qualche tempo fa, ho
avuto modo di scambiare due chiacchiere due con quel bel tomo del tuo
collaboratore di siciliana origine. In primis egli mi intrattenne sulle sue
inimitabili storie di amore, confessandomi che l'uso dello pseudonimo nel
giornalismo si raccomanda non foss'altro perché il mistero ingenera benefici
effetti di richiamo sul sesso femminile. Un po', dissi io, come il cinguettio
d'amore che consente al passero solitario di avvicinare la passera scopaiola o
Prunella modularis che dir si voglia. Altro che sicilianità! Il tuo augusto
collaboratore mi ha quasi confessato di essersi nascosto per anni dietro
l'anonimato per meglio circuire le fanciulle. Il che, confesso, mi lascia
impaziente di verificare sul campo e, rinfrancato sul perché, è giusto
«nascondersi» in una identità segreta, come del resto faceva la buonanima di
Superman con quello stordito di Clark Kent. Ho immaginato la scena. «Motore.
Silenzio si gira» «Lui e lei, uno primaaa. Azione» Un dialogo del tipo: «Conosci
uno scrittorpoetagiornalista che si chiama Dragonera?» E quella, rapita: «Oh...
Sììì. Il mitico Dragonera... Dì, mica vorrai parlarne male, eh?». «Come
potrei... Dragonera sono io!» «Dimostramelo!» Mentre lui va a dimostrarglielo,
dissolvenza su di lui e lei che si baciano appassionati.
Caro Direttore, non so se il buon Dragonera mi perdonerà mai l'ardire di questa
parodia, ma serviva ad introdurre il secondo argomento della conversazione che
ebbi con lui. La professione del giornalista. O meglio quelli che, come direbbe
Jannacci, con scarso senso dell'ironia fanno della professione il solo contenuto
della loro esistenza. Quelli che: l'universo è racchiuso tra le quattro mura
della loro redazione. O peggio: l'universo sono me. Quelli che: meglio tutto
fermo, meglio tutto immobile. E se qualcuno si muove, producendo idee fuori dal
campetto seminato: zac! Scatta l'interrogativo d'obbligo: «Cosa avrà mai in
testa costui? Chi/cosa c'è dietro?» Che introduce al sospetto di chissà quale
disegno occulto dietro ogni minimo segno di vitalità e di movimento.
Neanche se fossero le vestali dell'ideologia. I difensori «di questa Italia vera
che non ha più bandiera» come voleva un noto inno di qualche stagione fa.
Come diceva Longanesi, «ci salveranno le vecchie zie», anzi le giovani nipoti.
Almeno a loro, è consentito dire che i nonni non sempre hanno ragione.
Fu così che il buon Dragonera mi accennò in maniera fugace alle amene
disavventure in cui era incorso per uno scritto destinato al giornale del
Partito (mi raccomando sempre con la P maiuscola, siamo o non siamo contro la
partitocrazia!?). Sai com'è. Lui è discreto e di cultura siculo-isolana.
Altre voci -si sa il paese è piccolo e la gente mormora- mi riferirono di una
sorta di «processo» ai contenuti di un suo ironico articolo considerato assai
poco fascista. Anzi di chiaro sapore libertario e/o addirittura anti.
Qualcuno -esagerato!- favoleggiava addirittura di un comitato di redazione
trasformato in un tribunale del Santo Uffizio, con redattori-inquisitori come
neanche Bernardo Guy.
Ti chiederai: e Dragonera? Ebbene, Dragonera era sorpreso! Lui. Proprio lui il
fine conoscitore delle umane menti. Lui che è pure uomo di mondo -si tramanda
che fosse milite con Totò a Cuneo- aveva dimenticato che il suo compagno di
camerata (... Ah! che calembour.... Così trasversale...) soleva distinguere
l'umanità in uomini e caporali.
Barbanera
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