Questo o quello per me
pari sono
Si è fatto, si fa e si farà un gran parlare delle elezioni presidenziali
americane. Qualcuno ha tifato Bush, altri Clinton. Secondo copione. Dibattiti,
discussioni interminabili, fiumi di inchiostro, ore ed ore di Tv, una miriade di
supposizioni per cercare di spiegare e di capire il futuro dell'Europa e del
resto del mondo se avesse vinto l'uno o l'altro candidato. Per ipotizzare quale
«America» sarebbe uscita all'indomani della elezione del nuovo Presidente degli
Stati Uniti. Se fosse stato meglio che vincesse l'anziano Bush o il più giovane
Clinton. È una litania che si ripete da sempre.
Tutti o quasi si dimenticano, o fanno finta?, che vinca l'uno o l'altro poco o
niente cambia. È la storia, più lontana e più recente, che ce lo ricorda
inequivocabilmente.
Gli Stati Uniti restano, sempre e comunque, una potenza supercapitalista.
Accentratrice. Egemonizzatrice. Guerrafondaia. Tesa ad imporre ovunque i propri
interessi economici, la propria supremazia e, quel che è peggio, il proprio
modus vivendi. Questo accade fin dai tempi -ed abbiamo più volte avuto il modo
di scriverlo e ricordarlo- delle guerre e degli orrendi massacri contro i
pellerossa. Passando attraverso la guerra di Corea e del Vietnam, per arrivare
fino alla guerra del Golfo. E ciò indipendentemente dal fatto che alla guida
della Casa Bianca vi fossero i repubblicani Eisenhower, Nixon, Reagan e Bush o i
democratici Kennedy, Johnson e Carter.
Ecco perché sembrano patetiche, accademiche se non fuorvianti le supposizioni e
le previsioni a cui più sopra facevamo cenno. Ci sembra anzi il modo, e qui non
si sa più dove finisca la buonafede e inizi la malafede o viceversa, per
occultare il vero problema. Meglio ancora la autentica immagine
dell'americanismo. Un americanismo che, da anni ed anni, o con il costante
ricatto economico o con la reiterata prepotenza delle armi, si diffonde ovunque
a macchia d'olio, distruggendo valori e coscienze, annientando le identità
nazionali e culturali.
Poco importa che a vincere sia un repubblicano o un democratico. Sono due facce
di una stessa medaglia. Sono, sempre e comunque, i rappresentanti di quel
supercapitalismo e di quel mondialismo tanto filo-massoni e filo-sionisti che,
dopo il vergognoso crollo del comunismo e la scomparsa della Unione Sovietica,
la fanno da incontrastati e arroganti padroni. Secondo un progetto chiaro e ben
definito. Un progetto che di recente è stato vieppiù evidenziato in quelle
quarantasei cartelle redatte dal Pentagono. In esse si dichiara di voler
proteggere gli interessi americani (sic!) con una presenza militare globale. Nel
documento sopracitato si legge testualmente: «Per perpetuare l'attuale egemonia
dobbiamo essere in grado di scoraggiare chiunque dallo sfidare la nostra
leadership e dal cercare di rovesciare il già stabilito ordine politico ed
economico».
Questi erano, sono e saranno gli Stati Uniti d'America. Con Kennedy e con Nixon.
Ieri con Bush, oggi con Clinton.
Forse potrà cambiare qualche cosa nella loro politica economica interna, ma
sicuramente tutto resta inalterato per noi europei e per il resto del mondo.
Clinton su questo punto ha già messo nero su bianco. La politica estera non si
tocca.
Ed allora diciamolo chiaramente! Che cosa ce ne frega se, per caso, negli Stati
Uniti diminuiscono i disoccupati? Che cosa ce ne frega se la prepotente e
puritana «America» fra qualche tempo risolverà del tutto o in parte i propri
problemi economici interni e si accorgerà di essere più opulenta ed ancora più
egoista? Forse che cesserebbe la smania di voler egemonizzare tanto e tutti al
di fuori dei propri confini? Forse che il Pentagono, ed i suoi lacchè sparsi
ovunque, la finirebbero di innalzare periodicamente la falsa ed ipocrita
bandiera della libertà dei popoli portata avanti a suon di bombardamenti e di
massacri? Forse che con il tanto atteso ed osannato Clinton avranno termine le
prevaricazioni e le pesanti ingerenze americane? Nessuna illusione. Tutto
resterà come prima.
Cambia il padrone, e la storia in questo caso è maestra di vita più che mai, ma
la Casa Bianca resta la stessa. Continua il secolare inganno della
contrapposizione tra repubblicani e democratici. Tra conservatori e
progressisti. Il volto e l'operato americani restano i medesimi. Ecco perché
abbiamo seguito la consueta, forsennata e miliardaria corsa alla Casa Bianca con
la massima indifferenza ed il più grande distacco. Senza dubbio con tanta
rabbia. Ecco perché, parafrasando Giuseppe Verdi, «questo o quello per me pari
sono».
Il nemico principale, spazzato via Bush e arrivato Clinton, resta comunque
quello che da sempre definiamo il «male americano», con tutto ciò che di
pesantemente negativo e deleterio esso rappresenta per noi europei.
Gianni Benvenuti
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