«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 8 - 9 (31 Dicembre 1992)

 

Questo o quello per me pari sono

 


Si è fatto, si fa e si farà un gran parlare delle elezioni presidenziali americane. Qualcuno ha tifato Bush, altri Clinton. Secondo copione. Dibattiti, discussioni interminabili, fiumi di inchiostro, ore ed ore di Tv, una miriade di supposizioni per cercare di spiegare e di capire il futuro dell'Europa e del resto del mondo se avesse vinto l'uno o l'altro candidato. Per ipotizzare quale «America» sarebbe uscita all'indomani della elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti. Se fosse stato meglio che vincesse l'anziano Bush o il più giovane Clinton. È una litania che si ripete da sempre.
Tutti o quasi si dimenticano, o fanno finta?, che vinca l'uno o l'altro poco o niente cambia. È la storia, più lontana e più recente, che ce lo ricorda inequivocabilmente.
Gli Stati Uniti restano, sempre e comunque, una potenza supercapitalista. Accentratrice. Egemonizzatrice. Guerrafondaia. Tesa ad imporre ovunque i propri interessi economici, la propria supremazia e, quel che è peggio, il proprio modus vivendi. Questo accade fin dai tempi -ed abbiamo più volte avuto il modo di scriverlo e ricordarlo- delle guerre e degli orrendi massacri contro i pellerossa. Passando attraverso la guerra di Corea e del Vietnam, per arrivare fino alla guerra del Golfo. E ciò indipendentemente dal fatto che alla guida della Casa Bianca vi fossero i repubblicani Eisenhower, Nixon, Reagan e Bush o i democratici Kennedy, Johnson e Carter.
Ecco perché sembrano patetiche, accademiche se non fuorvianti le supposizioni e le previsioni a cui più sopra facevamo cenno. Ci sembra anzi il modo, e qui non si sa più dove finisca la buonafede e inizi la malafede o viceversa, per occultare il vero problema. Meglio ancora la autentica immagine dell'americanismo. Un americanismo che, da anni ed anni, o con il costante ricatto economico o con la reiterata prepotenza delle armi, si diffonde ovunque a macchia d'olio, distruggendo valori e coscienze, annientando le identità nazionali e culturali.
Poco importa che a vincere sia un repubblicano o un democratico. Sono due facce di una stessa medaglia. Sono, sempre e comunque, i rappresentanti di quel supercapitalismo e di quel mondialismo tanto filo-massoni e filo-sionisti che, dopo il vergognoso crollo del comunismo e la scomparsa della Unione Sovietica, la fanno da incontrastati e arroganti padroni. Secondo un progetto chiaro e ben definito. Un progetto che di recente è stato vieppiù evidenziato in quelle quarantasei cartelle redatte dal Pentagono. In esse si dichiara di voler proteggere gli interessi americani (sic!) con una presenza militare globale. Nel documento sopracitato si legge testualmente: «Per perpetuare l'attuale egemonia dobbiamo essere in grado di scoraggiare chiunque dallo sfidare la nostra leadership e dal cercare di rovesciare il già stabilito ordine politico ed economico».
Questi erano, sono e saranno gli Stati Uniti d'America. Con Kennedy e con Nixon. Ieri con Bush, oggi con Clinton.
Forse potrà cambiare qualche cosa nella loro politica economica interna, ma sicuramente tutto resta inalterato per noi europei e per il resto del mondo. Clinton su questo punto ha già messo nero su bianco. La politica estera non si tocca.
Ed allora diciamolo chiaramente! Che cosa ce ne frega se, per caso, negli Stati Uniti diminuiscono i disoccupati? Che cosa ce ne frega se la prepotente e puritana «America» fra qualche tempo risolverà del tutto o in parte i propri problemi economici interni e si accorgerà di essere più opulenta ed ancora più egoista? Forse che cesserebbe la smania di voler egemonizzare tanto e tutti al di fuori dei propri confini? Forse che il Pentagono, ed i suoi lacchè sparsi ovunque, la finirebbero di innalzare periodicamente la falsa ed ipocrita bandiera della libertà dei popoli portata avanti a suon di bombardamenti e di massacri? Forse che con il tanto atteso ed osannato Clinton avranno termine le prevaricazioni e le pesanti ingerenze americane? Nessuna illusione. Tutto resterà come prima.
Cambia il padrone, e la storia in questo caso è maestra di vita più che mai, ma la Casa Bianca resta la stessa. Continua il secolare inganno della contrapposizione tra repubblicani e democratici. Tra conservatori e progressisti. Il volto e l'operato americani restano i medesimi. Ecco perché abbiamo seguito la consueta, forsennata e miliardaria corsa alla Casa Bianca con la massima indifferenza ed il più grande distacco. Senza dubbio con tanta rabbia. Ecco perché, parafrasando Giuseppe Verdi, «questo o quello per me pari sono».
Il nemico principale, spazzato via Bush e arrivato Clinton, resta comunque quello che da sempre definiamo il «male americano», con tutto ciò che di pesantemente negativo e deleterio esso rappresenta per noi europei.


Gianni Benvenuti

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