Errori e orrori... «di
razza»
Queste note non nascono per contingenza di momento. Quel che si vuoi propalare
come l'insorgere d'una nuova ventata di razzismo genocida è soltanto un
miserabile tentativo, perpetrato da una classe politica fitta di ladroni e
masnadieri della peggior risma, per stornare l'attenzione della gente da quelli
che sono i problemi reali e terribili di questa epoca da basso impero.
Quell'accozzaglia di soggetti a «crapa pelata» non costituisce le basi di una
moderna Gestapo. Ben ha fatto Giampiero Mughini ad esprimersi (1) in questi
termini. I nazi-skin rappresentano un problema d'ordine pubblico; non sono la
causa di future paure ma l'effetto di una politica quasi semisecolare che come
«homo novus» ha prodotto siffatti imbecilli. I quali a loro volta danno la
possibilità a vecchi arnesi della guerra civile, primo fra tutti Alessandro
Galante Garrone, d'imbrattare pagine di giornali con le loro elucubrazioni da
«pugili suonati», che pretenderebbero di tornare sul ring della storia
senz'accorgersi che il mondo ha voltato pagina ed ha imboccato un nuovo cammino.
Queste note erano in «scaletta» da tempo per affrontare, da una posizione tutta
personale che non ha rinnegato il fascismo ma lo discute, un tema che il
perbenismo stucchevole e l'ipocrisia pelosa d'una Destra sempre più forcaiola e
rancida preferisce frettolosamente rimuovere, incapace culturalmente e timorata
a dibatterlo.
* * *
Qui si discute della «questione razziale» che negli ultimi anni del fascismo
infuriò per lo Stivale. Chi scrive non può dirsi un convertito dell'ultim'ora.
Da sempre, ed anche su queste pagine, ha sostenuto la «follia» d'un disposto
legislativo che alienò tutto d'un colpo al fascismo quel «consenso» che gli
Italiani pressocché unanimemente gli conferirono e che finanche Togliatti
riconoscerà (2).
I motivi di tanto sono stati più volte illustrati, primo fra tutti quello
dell'inesistenza di una «razza italiana», che si ritiene invece il risultato
d'un mescolamento di etnie, il quale dal crogiolo della storia ha colato bramme
d'uomini, diversi per tradizioni, usi e costumi, divenuti popolo dopo un lungo,
aspro e sanguinoso cammino.
Al fattore biologico s'aggiunga una qualità dell'anima che aborrisce qualsiasi
discriminazione. È un carattere di religiosità che alligna in uno spirito
pervaso di dubbi che trova la serenità nell'unica certezza dell'esistenza di
Dio.
* * *
II fascismo, in quanto movimento di uomini, rifulse di eroici atti e s'incupì di
abiette azioni. Quali e quanti di essi prevalsero, sarà la storia a dirlo. Non
nostro può essere un giudizio sereno, in quanto parte di generazioni ancora
impregnate delle passioni faziose. Ma mettere in discussione, e da parte nostra,
certi comportamenti è cosa nobilitante. Discutere degli errori del passato, che
ci appartiene nella sua totalità, è necessario per non compierne nuovamente di
analoghi.
E che il Regio Decreto Legge n° 1728 del 17 novembre 1938 sia stato un errore, è
opinione condivisa. Che fu un atto di autolesionismo politico, anche. Quel
decreto inchioda alla responsabilità della storia la persona di Benito Mussolini
allorché recita, nel capoverso di chiusura, «II Duce, Ministro dell'Interno
proponente (corsivo d.R.), è autorizzato a presentare il relativo disegno di
legge». (3)
La «regalità» dello strumento legislativo palesa la responsabilità morale,
giacché quella giuridica è da ritenersi inesistente a fronte della
«irresponsabilità degli atti» riconosciuta dallo Statuto Albertino alla persona
del Re, di una Casa Savoia che nel succedersi della sua dinastia ha sempre
brillato per ignavia, codardia ed egoismo di trono. Altre responsabilità, pur
esse morali, sono da scaricare a quanti, turibolanti il Duce, non fecero nulla
per riportarlo su «la dritta via».
Fra questi va compresa una delle massime autorità culturali del Regime che
risponde al nome di Giuseppe Bottai. "Critica Fascista" dedicò tre articoli
all'argomento, nei quali tentò una plausibile spiegazione della «ratio» che
presiedeva all'infame costrutto legislativo. «I fondamenti, infatti, del
razzismo italiano sono e devono essere eminentemente spirituali, anche se esso
parte, opportunamente, da "dati" puramente biologici» (4).
Traspare la solita doppiezza che ha uniformato la vita di Bottai «che è un
soldato valoroso e un acuto scrittore. Come uomo politico egli è un inquieto, ma
anche un coraggioso. [...] Il suo viso è piuttosto una maschera. Il suo sguardo
è piuttosto sfuggente. Non è limpido sino in fondo» (5).
Quella mancata limpidezza si appalesa nell'affermare che «questa sussunzione del
nostro movimento razzistico nella sfera del Partito risponde anzitutto
all'intima logica del Regime». (6)
Un «regime» che aveva rinnegato lo Spirito di San Sepolcro, aleggiante quel 28
agosto 1919, quando dal «covo» di via da Cannobio il Comitato Centrale dei Fasci
di Combattimento aveva sancito la volontà di «tenere ancora uniti -con una forma
di antipartito o di superpartito- gli Italiani di tutte le fedi e di tutte le
classi».
Quando i provvedimenti di legge razziale furono varati, in Italia e nel mondo si
verificarono moti di sdegno. "Critica Fascista" abborracciò una risposta
puntualizzando che «la concezione razzistica fascista non è che un particolare
aspetto della concezione vorremmo dire italianistica del Fascismo:
individuazione e difesa ad oltranza di ciò che è italiano ...». (7)
Se non ci fosse stato orrore, verrebbe da ridere. Erano o no italiani quei 227
ebrei (8) che parteciparono alla Marcia su Roma? Erano o no italiani Aldo Finzi,
Sottosegretario agli Interni nel primo Ministero Mussolini; Gino Arias,
Consigliere Nazionale, autore della «Relazione sopra l'ordinamento corporativo
dello Stato e sulla rappresentanza corporativa», fedele a Mussolini tanto da
dedicargli uno studio, scritto a quattro mani (9); Guido Jung, fascista
siciliano, presidente dell'Istituto Nazionale per l'Esportazione? Era italiano
Ettore Ovazza, che arrivò a fondare un giornale, "La Nostra Bandiera", «nel
tentativo di chiarire in modo inequivocabile che gli ebrei erano tra i seguaci
più ardentemente leali del regime» (10)?
Erano italiani, sacrificati in nome di un'antica logica che Charles Peguy, il
fustigatore dell'usura, nei suoi "Cahiers de la quinzaine" riteneva «vittime di
quella ben nota illusione ottica che ci fa vedere un quadrato bianco su fondo
nero assai più grande dello stesso quadrato nero su fondo bianco, che sembra più
piccolo. [...] Così ogni azione, ogni quadrato ebreo su cristiano sembra molto
più grande dello stesso quadrato cristiano su ebreo. E una pura illusione ottica
storica». (11)
Le leggi razziali costituiscono un problema angosciante se si sa che Mussolini
non aveva mai nutrito sentimenti razzistici. Non aveva mai fatto credo di
farneticazioni da "Mein Kampf". La sua cultura risentiva del peso e della
complessità dei momenti storici che la sua vita stava attraversando; epoca ricca
di cambiamenti di pensiero, di rivoluzioni sociali che spesso lo individuavano
come uno degli artefici del nuovo corso della storia.
Sarà per questo che non gli mancheranno le confessioni davanti alla sua
coscienza. «Razza: questo è un sentimento -dirà- non una realtà; il 95% è
sentimento... Io non crederò che si possa provare biologicamente che una razza
sia più o meno pura... L'orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri di
razza» (12)
Erano gli anni dell'amicizia con Dollfüss, dell'intesa con Margherita Sarfatti
«che a "l'Avanti!" e al "Popolo d'Italia" ha recato il contributo della propria
cultura» (13); con Giorgio Del Vecchio, «amico mio e di Alfredo Rocco» (14), con
Salvatore Barzilai, con Gino Olivetti «che più rivoluzionario di lui il mondo
del profitto mai ebbe in Italia». (15)
Li chiamerà, al cospetto di Yvon de Begnac, «gli ebrei della mia vita». Ma si
sente un senso di amarezza se non proprio lo scrupolo di coscienza che avvolge
l'anima del peccatore contrito. Sempre a De Begnac dirà: «Vi sono momenti della
storia, nei quali sembra sia d'obbligo attribuire a qualcosa, a qualcuno, la
responsabilità degli errori che un protagonista ha improvvidamente compiuto. È
il momento del razzismo» (16)
Parla per sé, Mussolini, o per chi? Quale sarebbe l'errore improvvidamente
compiuto? Chi sarebbe il «protagonista»? Non ci potrebbe essere in queste parole
il pentimento per un'alleanza con i Tedeschi, a cui la storia l'aveva costretto?
* * *
Di Mussolini s'è detto tutto e il suo contrario. Su un fatto esiste unanimità di
giudizio: il riconoscimento di una capacità politica e l'intelligenza dell'uomo
di governo. Perché Mussolini potè incorrere nell'errore delle leggi razziali?
Con esse mise a dura prova la coerenza di una nazione che aveva combattuto la
guerra d'Abissinia anche per liberare dalle catene dello schiavismo esseri umani
ai quali dare «un altro Duce e un altro Re». Ma soprattutto impoverì la nazione
d'intelligenze vive fornendo, a molte di loro, l'occasione per esplicitare
un'opposizione al regime che fino allora era rimasta latente.
Famosi sono i casi di Beppe Foa, ingegnere aeronautico alla Piaggio, progettista
di avanzatissimi trimotori da bombardamento, che tornerà in Italia a fascismo
caduto in divisa americana; Enrico Fermi, uno dei «ragazzi di via Panisperna»,
che continuerà a percepire gli emolumenti di Accademico d'Italia durante la sua
permanenza al servizio degli americani.
Distrusse la militanza di ferventi fascisti che nella causa avevano creduto
fideisticamente: Renzo Ravenna, caro amico di Italo Balbo, Podestà di Ferrara;
Oscar Sinigaglia, fascista convinto, che si rimetterà al servizio dell'Italia
dopo la guerra, quando varerà il Piano Siderurgico Nazionale.
* * *
Ma quel maledetto decreto fece di più. Fornì a certi individui pervasi soltanto
di livore che finiva per essere antinazionale, la veste e la canna del martirio.
Vittorio Foa, fratello di Beppe, apparteneva a una famiglia ebrea che teneva in
nessun conto l'ebraismo. Egli era un affiliato a «Giustizia e Libertà»,
organizzazione che aveva il compito di raccogliere «informazioni sull'economia e
la politica militare, sulle condizioni di lavoro, sugli scioperi illegali e le
proteste contadine. L'attività di Vittorio consisteva in larga misura nella
raccolta di queste informazioni che faceva uscire clandestinamente dal paese»
(17)
Finivano a Parigi, dove c'era «Pietro Nenni, agente di tutte le polizie» (18)
II 6 luglio 1938 il Gran Consiglio fissò la nuova legislazione matrimoniale che
vietava i matrimoni misti fino ad arrivare a dichiarare nulli quelli celebrati,
ai sensi del secondo capoverso dell'art. 1 del R.D.L. n° 1728. Questo fatto
provocò reazioni diplomatiche del Vaticano che vedeva unilateralmente modificati
i Patti Lateranensi nella fattispecie del disposto dell'art. 34 del Concordato.
E tutto l'apparato ecclesiastico, che ha sempre avuto importanza notevole nella
gestione del consenso politico in Italia, cominciò a prendere le distanze dal
fascismo e getterà le basi per la costituzione in Italia di griglie
d'informazione con gli USA, che dateranno l'anno 1939, e vedranno in
Giovanbattista Montini, il futuro Papa Paolo VI, uno dei massimi artefici dei
complotti che getteranno in rovina il Tripartito in guerra.
Anche se c'è da aggiungere che tre anni prima nulla aveva avuto da ridire il
Vaticano, quando il 9 aprile 1935 la Circolare Buffarini Guidi n° 600/158 aveva
vietato il culto al Movimento Pentecostale (19) di professione protestante.
* * *
Pur se necessita, per verità storica, affermare che alla solita maniera (questa
volta, fortunatamente) fu «fatta la legge, creato l'inganno». Perché in quel
decreto n° 1728 si contemplava una discriminazione nella discriminazione. Chi
aveva particolari meriti, usufruiva della clemenza della legge. Il tutto mentre
la maggior parte degli italiani non sapeva cosa fosse un ebreo.
Fu un grosso monumento alla stupidità che provocò sangue e tragedia, che aizzò i
bassi istinti d'infimi soggetti umani fra i quali «rifulse» lo scrittore
Pitigrilli, che portò alla luce nascoste doti d'eroismo di italiani oscuri.
Nella Francia occupata dai Tedeschi, nella Jugoslavia in preda alle orde di Ante
Pavelic, nell'Ungheria dilaniata dopo l'arresto di Horty gli italiani si faranno
in quattro per salvare esseri umani, colpevoli d'avere un'altra fede o di essere
additati in quanto tali. Durante i mesi terribili della guerra civile il
Commissario Sbezzi, dirigente l'Ufficio Passaporti della Questura di Genova,
contraffarà decine di documenti d'espatrio e Luigi Sangermano, potente
Commissario Straordinario per la Liguria, proteggerà e aiuterà gli ebrei a
rimanere fuori dalle grinfie dei nazisti. Giorgio Perlasca, un «giusto
d'Israele», salvatore di cinquemila ebrei in Ungheria, non rinnegherà mai la sua
fede che lo portò volontariamente a combattere prima in Abissinia e poi in
Spagna con le Camicie Nere della «28 Ottobre».
I «razzisti di regime» rimasero una minoranza. E diedero la possibilità a turpi
soggetti come Roosevelt, Churchill e Stalin, che avevano perpetuato la
tradizione di sfruttamento delle razze della terra, di ammantarsi d'una veste di
liberatori.
* * *
Quale lezione ricavare da questi fatti? Prima di tutto rispettare la «diversità»
dell'altro. Per tutta la nostra vita abbiamo combattuto un sistema di pensiero
che faceva dell'uguaglianza un dogma. Oggi quel sistema è caduto e noi possiamo
dirci vincitori. Ma ciò non può farci scivolare in estremizzazioni di rango
contrario. Se non ci sono eguali, non ci sono eletti. Né uomini, né popoli. E se
atteggiamenti s'assumono, di fronte a problemi di politica internazionale, che
ci portano a parteggiare per la nazione araba, ciò non significa che in circolo
nel nostro sangue fluttuino tossine rivenienti dal passato. Non le avremmo avute
allora, non l'abbiamo ora. Quello schierarsi nasce, tra l'altro, dalla mancata
comprensione di come possa un popolo, che ha pagato un conto di sangue, farsi
aguzzino d'un altro popolo. Quando si costringono i palestinesi a vivere come
fanno, la storia si capovolge.
Furio Colombo ha scritto (20): «[...] I due termini -Israele ed ebrei- non si
possono scindere». Invece si devono scindere. Perché fintanto che la laicità
degli Stati sarà confusa con la religione dei popoli, le miscele che si
otterranno saranno solo e soltanto di natura esplosiva.
Non deve più succedere che «la tendenza del mondo occidentale, europeo in
particolare, è quella di esorcizzare il male proiettandolo su etnie e
comportamenti che ci appaiono diversi dai nostri». (21)
Israele, fino a questo momento, è il cane da guardia d'un Occidentalismo che sta
fagocitando storie, culture e tradizioni, in nome di una presunzione che lo
vorrebbe «popolo eletto».
Vito
Errico
Note:
1) "L'Indipendente", 6.11.1992
2) P. Togliatti, "Lezioni sul
Fascismo", Ed. Riuniti
3) "Gazzetta Ufficiale" n°
264 del 19.11.1938
4) "Critica
Fascista", n°
219, 1.8.1938, p. 290
5) B. Mussolini,
"Pensieri pontini e sardi", in "Opera Omnia", vol. XXXIV
6) "Critica
Fascista", n°
20, 15.8.1938, p. 306
7) "Crìtica
Fascista, n°
21, 1.9.1938, p. 322
8) R. de Felice, "Storia degli
Ebrei Italiani sotto il fascismo"
9) G. Arias - B. Giuliano - E.
Codignola - A. De Stefani, "Mussolini e il suo fascismo", Le Monnier, Firenze
1927
10) A. Stille, "Uno su Mille",
Mondadori ed.
11) Op. cit. ora in P.
Maltese, "Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico", Mursia Ed.
12) E. Ludwig, "Colloqui con
Mussolini", Mondadori ed.
13) Y. De Begnac, "Taccuini
mussoliniani", II Mulino ed.
14) ibidem
15) ibidem
16)
ibidem
17) "Uno su Mille", op. cit.,
p. 105
18) A. Giannini, "Io, spia
dell'OVRA", Ed. del Borghese
19) D. Womack - F. Toppi, "Le
radici del Movimento Pentecostale"
20) "Panorama", n°
1388, 22.11.1992
21) G. Falcone, "Cose di Cosa
Nostra", Rizzoli ed.
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