«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 8 - 9 (31 Dicembre 1992)

 

Errori e orrori... «di razza»

 


Queste note non nascono per contingenza di momento. Quel che si vuoi propalare come l'insorgere d'una nuova ventata di razzismo genocida è soltanto un miserabile tentativo, perpetrato da una classe politica fitta di ladroni e masnadieri della peggior risma, per stornare l'attenzione della gente da quelli che sono i problemi reali e terribili di questa epoca da basso impero.
Quell'accozzaglia di soggetti a «crapa pelata» non costituisce le basi di una moderna Gestapo. Ben ha fatto Giampiero Mughini ad esprimersi (1) in questi termini. I nazi-skin rappresentano un problema d'ordine pubblico; non sono la causa di future paure ma l'effetto di una politica quasi semisecolare che come «homo novus» ha prodotto siffatti imbecilli. I quali a loro volta danno la possibilità a vecchi arnesi della guerra civile, primo fra tutti Alessandro Galante Garrone, d'imbrattare pagine di giornali con le loro elucubrazioni da «pugili suonati», che pretenderebbero di tornare sul ring della storia senz'accorgersi che il mondo ha voltato pagina ed ha imboccato un nuovo cammino.
Queste note erano in «scaletta» da tempo per affrontare, da una posizione tutta personale che non ha rinnegato il fascismo ma lo discute, un tema che il perbenismo stucchevole e l'ipocrisia pelosa d'una Destra sempre più forcaiola e rancida preferisce frettolosamente rimuovere, incapace culturalmente e timorata a dibatterlo.

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Qui si discute della «questione razziale» che negli ultimi anni del fascismo infuriò per lo Stivale. Chi scrive non può dirsi un convertito dell'ultim'ora. Da sempre, ed anche su queste pagine, ha sostenuto la «follia» d'un disposto legislativo che alienò tutto d'un colpo al fascismo quel «consenso» che gli Italiani pressocché unanimemente gli conferirono e che finanche Togliatti riconoscerà (2).
I motivi di tanto sono stati più volte illustrati, primo fra tutti quello dell'inesistenza di una «razza italiana», che si ritiene invece il risultato d'un mescolamento di etnie, il quale dal crogiolo della storia ha colato bramme d'uomini, diversi per tradizioni, usi e costumi, divenuti popolo dopo un lungo, aspro e sanguinoso cammino.
Al fattore biologico s'aggiunga una qualità dell'anima che aborrisce qualsiasi discriminazione. È un carattere di religiosità che alligna in uno spirito pervaso di dubbi che trova la serenità nell'unica certezza dell'esistenza di Dio.

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II fascismo, in quanto movimento di uomini, rifulse di eroici atti e s'incupì di abiette azioni. Quali e quanti di essi prevalsero, sarà la storia a dirlo. Non nostro può essere un giudizio sereno, in quanto parte di generazioni ancora impregnate delle passioni faziose. Ma mettere in discussione, e da parte nostra, certi comportamenti è cosa nobilitante. Discutere degli errori del passato, che ci appartiene nella sua totalità, è necessario per non compierne nuovamente di analoghi.
E che il Regio Decreto Legge n° 1728 del 17 novembre 1938 sia stato un errore, è opinione condivisa. Che fu un atto di autolesionismo politico, anche. Quel decreto inchioda alla responsabilità della storia la persona di Benito Mussolini allorché recita, nel capoverso di chiusura, «II Duce, Ministro dell'Interno proponente (corsivo d.R.), è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge». (3)
La «regalità» dello strumento legislativo palesa la responsabilità morale, giacché quella giuridica è da ritenersi inesistente a fronte della «irresponsabilità degli atti» riconosciuta dallo Statuto Albertino alla persona del Re, di una Casa Savoia che nel succedersi della sua dinastia ha sempre brillato per ignavia, codardia ed egoismo di trono. Altre responsabilità, pur esse morali, sono da scaricare a quanti, turibolanti il Duce, non fecero nulla per riportarlo su «la dritta via».
Fra questi va compresa una delle massime autorità culturali del Regime che risponde al nome di Giuseppe Bottai. "Critica Fascista" dedicò tre articoli all'argomento, nei quali tentò una plausibile spiegazione della «ratio» che presiedeva all'infame costrutto legislativo. «I fondamenti, infatti, del razzismo italiano sono e devono essere eminentemente spirituali, anche se esso parte, opportunamente, da "dati" puramente biologici» (4).
Traspare la solita doppiezza che ha uniformato la vita di Bottai «che è un soldato valoroso e un acuto scrittore. Come uomo politico egli è un inquieto, ma anche un coraggioso. [...] Il suo viso è piuttosto una maschera. Il suo sguardo è piuttosto sfuggente. Non è limpido sino in fondo» (5).
Quella mancata limpidezza si appalesa nell'affermare che «questa sussunzione del nostro movimento razzistico nella sfera del Partito risponde anzitutto all'intima logica del Regime». (6)
Un «regime» che aveva rinnegato lo Spirito di San Sepolcro, aleggiante quel 28 agosto 1919, quando dal «covo» di via da Cannobio il Comitato Centrale dei Fasci di Combattimento aveva sancito la volontà di «tenere ancora uniti -con una forma di antipartito o di superpartito- gli Italiani di tutte le fedi e di tutte le classi».
Quando i provvedimenti di legge razziale furono varati, in Italia e nel mondo si verificarono moti di sdegno. "Critica Fascista" abborracciò una risposta puntualizzando che «la concezione razzistica fascista non è che un particolare aspetto della concezione vorremmo dire italianistica del Fascismo: individuazione e difesa ad oltranza di ciò che è italiano ...». (7)
Se non ci fosse stato orrore, verrebbe da ridere. Erano o no italiani quei 227 ebrei (8) che parteciparono alla Marcia su Roma? Erano o no italiani Aldo Finzi, Sottosegretario agli Interni nel primo Ministero Mussolini; Gino Arias, Consigliere Nazionale, autore della «Relazione sopra l'ordinamento corporativo dello Stato e sulla rappresentanza corporativa», fedele a Mussolini tanto da dedicargli uno studio, scritto a quattro mani (9); Guido Jung, fascista siciliano, presidente dell'Istituto Nazionale per l'Esportazione? Era italiano Ettore Ovazza, che arrivò a fondare un giornale, "La Nostra Bandiera", «nel tentativo di chiarire in modo inequivocabile che gli ebrei erano tra i seguaci più ardentemente leali del regime» (10)?
Erano italiani, sacrificati in nome di un'antica logica che Charles Peguy, il fustigatore dell'usura, nei suoi "Cahiers de la quinzaine" riteneva «vittime di quella ben nota illusione ottica che ci fa vedere un quadrato bianco su fondo nero assai più grande dello stesso quadrato nero su fondo bianco, che sembra più piccolo. [...] Così ogni azione, ogni quadrato ebreo su cristiano sembra molto più grande dello stesso quadrato cristiano su ebreo. E una pura illusione ottica storica». (11)
Le leggi razziali costituiscono un problema angosciante se si sa che Mussolini non aveva mai nutrito sentimenti razzistici. Non aveva mai fatto credo di farneticazioni da "Mein Kampf". La sua cultura risentiva del peso e della complessità dei momenti storici che la sua vita stava attraversando; epoca ricca di cambiamenti di pensiero, di rivoluzioni sociali che spesso lo individuavano come uno degli artefici del nuovo corso della storia.
Sarà per questo che non gli mancheranno le confessioni davanti alla sua coscienza. «Razza: questo è un sentimento -dirà- non una realtà; il 95% è sentimento... Io non crederò che si possa provare biologicamente che una razza sia più o meno pura... L'orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri di razza» (12)
Erano gli anni dell'amicizia con Dollfüss, dell'intesa con Margherita Sarfatti «che a "l'Avanti!" e al "Popolo d'Italia" ha recato il contributo della propria cultura» (13); con Giorgio Del Vecchio, «amico mio e di Alfredo Rocco» (14), con Salvatore Barzilai, con Gino Olivetti «che più rivoluzionario di lui il mondo del profitto mai ebbe in Italia». (15)
Li chiamerà, al cospetto di Yvon de Begnac, «gli ebrei della mia vita». Ma si sente un senso di amarezza se non proprio lo scrupolo di coscienza che avvolge l'anima del peccatore contrito. Sempre a De Begnac dirà: «Vi sono momenti della storia, nei quali sembra sia d'obbligo attribuire a qualcosa, a qualcuno, la responsabilità degli errori che un protagonista ha improvvidamente compiuto. È il momento del razzismo» (16)
Parla per sé, Mussolini, o per chi? Quale sarebbe l'errore improvvidamente compiuto? Chi sarebbe il «protagonista»? Non ci potrebbe essere in queste parole il pentimento per un'alleanza con i Tedeschi, a cui la storia l'aveva costretto?

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Di Mussolini s'è detto tutto e il suo contrario. Su un fatto esiste unanimità di giudizio: il riconoscimento di una capacità politica e l'intelligenza dell'uomo di governo. Perché Mussolini potè incorrere nell'errore delle leggi razziali? Con esse mise a dura prova la coerenza di una nazione che aveva combattuto la guerra d'Abissinia anche per liberare dalle catene dello schiavismo esseri umani ai quali dare «un altro Duce e un altro Re». Ma soprattutto impoverì la nazione d'intelligenze vive fornendo, a molte di loro, l'occasione per esplicitare un'opposizione al regime che fino allora era rimasta latente.
Famosi sono i casi di Beppe Foa, ingegnere aeronautico alla Piaggio, progettista di avanzatissimi trimotori da bombardamento, che tornerà in Italia a fascismo caduto in divisa americana; Enrico Fermi, uno dei «ragazzi di via Panisperna», che continuerà a percepire gli emolumenti di Accademico d'Italia durante la sua permanenza al servizio degli americani.
Distrusse la militanza di ferventi fascisti che nella causa avevano creduto fideisticamente: Renzo Ravenna, caro amico di Italo Balbo, Podestà di Ferrara; Oscar Sinigaglia, fascista convinto, che si rimetterà al servizio dell'Italia dopo la guerra, quando varerà il Piano Siderurgico Nazionale.

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Ma quel maledetto decreto fece di più. Fornì a certi individui pervasi soltanto di livore che finiva per essere antinazionale, la veste e la canna del martirio. Vittorio Foa, fratello di Beppe, apparteneva a una famiglia ebrea che teneva in nessun conto l'ebraismo. Egli era un affiliato a «Giustizia e Libertà», organizzazione che aveva il compito di raccogliere «informazioni sull'economia e la politica militare, sulle condizioni di lavoro, sugli scioperi illegali e le proteste contadine. L'attività di Vittorio consisteva in larga misura nella raccolta di queste informazioni che faceva uscire clandestinamente dal paese» (17)
Finivano a Parigi, dove c'era «Pietro Nenni, agente di tutte le polizie» (18)
II 6 luglio 1938 il Gran Consiglio fissò la nuova legislazione matrimoniale che vietava i matrimoni misti fino ad arrivare a dichiarare nulli quelli celebrati, ai sensi del secondo capoverso dell'art. 1 del R.D.L. n° 1728. Questo fatto provocò reazioni diplomatiche del Vaticano che vedeva unilateralmente modificati i Patti Lateranensi nella fattispecie del disposto dell'art. 34 del Concordato. E tutto l'apparato ecclesiastico, che ha sempre avuto importanza notevole nella gestione del consenso politico in Italia, cominciò a prendere le distanze dal fascismo e getterà le basi per la costituzione in Italia di griglie d'informazione con gli USA, che dateranno l'anno 1939, e vedranno in Giovanbattista Montini, il futuro Papa Paolo VI, uno dei massimi artefici dei complotti che getteranno in rovina il Tripartito in guerra.
Anche se c'è da aggiungere che tre anni prima nulla aveva avuto da ridire il Vaticano, quando il 9 aprile 1935 la Circolare Buffarini Guidi n° 600/158 aveva vietato il culto al Movimento Pentecostale (19) di professione protestante.

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Pur se necessita, per verità storica, affermare che alla solita maniera (questa volta, fortunatamente) fu «fatta la legge, creato l'inganno». Perché in quel decreto n° 1728 si contemplava una discriminazione nella discriminazione. Chi aveva particolari meriti, usufruiva della clemenza della legge. Il tutto mentre la maggior parte degli italiani non sapeva cosa fosse un ebreo.
Fu un grosso monumento alla stupidità che provocò sangue e tragedia, che aizzò i bassi istinti d'infimi soggetti umani fra i quali «rifulse» lo scrittore Pitigrilli, che portò alla luce nascoste doti d'eroismo di italiani oscuri. Nella Francia occupata dai Tedeschi, nella Jugoslavia in preda alle orde di Ante Pavelic, nell'Ungheria dilaniata dopo l'arresto di Horty gli italiani si faranno in quattro per salvare esseri umani, colpevoli d'avere un'altra fede o di essere additati in quanto tali. Durante i mesi terribili della guerra civile il Commissario Sbezzi, dirigente l'Ufficio Passaporti della Questura di Genova, contraffarà decine di documenti d'espatrio e Luigi Sangermano, potente Commissario Straordinario per la Liguria, proteggerà e aiuterà gli ebrei a rimanere fuori dalle grinfie dei nazisti. Giorgio Perlasca, un «giusto d'Israele», salvatore di cinquemila ebrei in Ungheria, non rinnegherà mai la sua fede che lo portò volontariamente a combattere prima in Abissinia e poi in Spagna con le Camicie Nere della «28 Ottobre».
I «razzisti di regime» rimasero una minoranza. E diedero la possibilità a turpi soggetti come Roosevelt, Churchill e Stalin, che avevano perpetuato la tradizione di sfruttamento delle razze della terra, di ammantarsi d'una veste di liberatori.

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Quale lezione ricavare da questi fatti? Prima di tutto rispettare la «diversità» dell'altro. Per tutta la nostra vita abbiamo combattuto un sistema di pensiero che faceva dell'uguaglianza un dogma. Oggi quel sistema è caduto e noi possiamo dirci vincitori. Ma ciò non può farci scivolare in estremizzazioni di rango contrario. Se non ci sono eguali, non ci sono eletti. Né uomini, né popoli. E se atteggiamenti s'assumono, di fronte a problemi di politica internazionale, che ci portano a parteggiare per la nazione araba, ciò non significa che in circolo nel nostro sangue fluttuino tossine rivenienti dal passato. Non le avremmo avute allora, non l'abbiamo ora. Quello schierarsi nasce, tra l'altro, dalla mancata comprensione di come possa un popolo, che ha pagato un conto di sangue, farsi aguzzino d'un altro popolo. Quando si costringono i palestinesi a vivere come fanno, la storia si capovolge.
Furio Colombo ha scritto (20): «[...] I due termini -Israele ed ebrei- non si possono scindere». Invece si devono scindere. Perché fintanto che la laicità degli Stati sarà confusa con la religione dei popoli, le miscele che si otterranno saranno solo e soltanto di natura esplosiva.
Non deve più succedere che «la tendenza del mondo occidentale, europeo in particolare, è quella di esorcizzare il male proiettandolo su etnie e comportamenti che ci appaiono diversi dai nostri». (21)
Israele, fino a questo momento, è il cane da guardia d'un Occidentalismo che sta fagocitando storie, culture e tradizioni, in nome di una presunzione che lo vorrebbe «popolo eletto».
 

Vito Errico

 

Note:

1) "L'Indipendente", 6.11.1992

2) P. Togliatti, "Lezioni sul Fascismo", Ed. Riuniti

3) "Gazzetta Ufficiale" n° 264 del 19.11.1938

4) "Critica Fascista", n° 219, 1.8.1938, p. 290

5) B. Mussolini, "Pensieri pontini e sardi", in "Opera Omnia", vol. XXXIV

6) "Critica Fascista", n° 20, 15.8.1938, p. 306

7) "Crìtica Fascista, n° 21, 1.9.1938, p. 322

8) R. de Felice, "Storia degli Ebrei Italiani sotto il fascismo"

9) G. Arias - B. Giuliano - E. Codignola - A. De Stefani, "Mussolini e il suo fascismo", Le Monnier, Firenze 1927

10) A. Stille, "Uno su Mille", Mondadori ed.

11) Op. cit. ora in P. Maltese, "Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico", Mursia Ed.

12) E. Ludwig, "Colloqui con Mussolini", Mondadori ed.

13) Y. De Begnac, "Taccuini mussoliniani", II Mulino ed.

14) ibidem

15) ibidem

16) ibidem

17) "Uno su Mille", op. cit., p. 105

18) A. Giannini, "Io, spia dell'OVRA", Ed. del Borghese

19) D. Womack - F. Toppi, "Le radici del Movimento Pentecostale"

20) "Panorama", n° 1388, 22.11.1992

21) G. Falcone, "Cose di Cosa Nostra", Rizzoli ed.

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