le recensioni
Ernst Jünger: istruzioni
per l'uso
Dall'alto dei suoi novantotto anni Ernst Jünger continua a comunicarci metafore
e profezie. Ne sono una conferma le sue più recenti opere narrative. Ora siamo
in attesa del suo ultimo saggio "Die Schere" ("Le Cesoie"), in cui il grande
vecchio della cultura tedesca, sulla scorta della sua lunga avventura
intellettuale, sembra obbligarci ad un doveroso bilancio sulla nostra esperienza
di uomini del Novecento. Dove stiamo andando dopo il crollo definitivo delle
ideologie? Qual è il nostro destino tra il richiamo titanico della tecnica e la
nostalgia degli dèi? Avendo sperimentato su di sé in prima persona le passioni,
le ideologie e le tentazioni che hanno sconvolto il secolo, Jünger ha dalla sua
il carisma del testimone: non offre certezze a buon mercato, non demonizza e non
rimuove, aderisce senza esitazioni allo spirito dei tempi, anche se il suo
proposito è quello di spingerci a guardare oltre. Con il distacco che
contraddistingue il suo stile ci invita ad una sensibilità nuova, proponendo un
atteggiamento disincantato ma lontano da ogni forma di rassegnazione, e allo
stesso tempo aperto all'avvenire anche se scevro da qualsiasi ottimismo
storicistico. Non è un caso che Jünger riesce ancora ad entusiasmarci per
l'irruzione del nuovo, come quando in seguito agli avvenimenti dell'89 annota
sul suo diario: «I nipoti hanno ballato sul Muro. Noi eravamo sorpresi e
commossi».
Maestro di tutti coloro che non cercano maestri, il solitario di Wilflingen si
impone, forse al di là delle sue intenzioni, come un riferimento obbligatorio
per chiunque tenti di individuare serie coordinate di orientamento in questo
scorcio di fine millennio. Reduce dal travagliato percorso del Novecento, Jünger
non ha -o comunque non vuole avere- risposte definitive. La provvisorietà,
l'abbandono di qualsiasi pensiero della totalità, la capacità maieutica di
cogliere il senso dei frammenti sono le dimensioni in cui gli si configura lo
stile del nostro tempo. «Oggi -si legge nel suo romanzo "Il problema di
Aladino"- le soluzioni non rientrano nel quadro dell'epoca: la perfezione non è
affar suo. L'avvicinamento può realizzarsi solo passo dopo passo».
Eppure a tutt'oggi su di uno scrittore così importante mancano in Italia sia
un'analisi di ampio respiro che uno sforzo critico per restituire al dibattito
delle idee tutta la portata delle sue intuizioni. Basti pensare alla decisiva
influenza del pensiero jüngeriano sulle concezioni della tecnica espresse da
Martin Heidegger. In questo contesto un coraggioso e stimolante contributo
ermeneutico ci viene ora offerto da Mario Bernardi Guardi con il suo "La tigre
della Modernità. Saggio su Ernst Jünger nelle tempeste d'acciaio", introdotto
dalle osservazioni storiografiche di un acuto filosofo come Antimo Negri, e
pubblicato con la consueta cura da un editore non-conformista come Antonio
Pellicani, estremamente attento a tutto ciò che si muove oltre gli steccati
della cultura ufficiale.
Inserendo un'altra importante casella nel suo mosaico sulle voci del Moderno,
Bernardi Guardi propone un'analisi propedeutica, come lui stesso avverte, ad un
«discorso su Jünger che avrà ben altra ampiezza e ben più meditato spessore». Si
tratta dell'approfondimento di quel discorso sulla modernità ed il nichilismo
intrapreso dall'intellettuale toscano con i suoi lavori su Borges ("L'io
plurale", Edizioni II Falco, 1979), su Nietzsche ("Il caos e la stella", stessa
casa editrice, 1983) e sulla letteratura mitteleuropea ("Austria infelix",
Solfanelli, 1990). Nel saggio su Jünger l'argomento è inquadrato attraverso
l'intervento di una testimonianza eccellente: lo scrittore tedesco viene
interpretato come l'avventuriero della cultura che nelle tempeste d'acciaio
della Grande Guerra sfida la Tigre della modernizzazione chiedendo che l'urto
sia completo in modo da avere diritto a tutte le zone di legittimità prima
sconosciute. Il nichilismo si rivela allora come il nucleo estremo e autentico
della modernità: «Chi non ha sperimentato su di sé l'enorme potenza del niente e
non ne ha subito la tentazione -scrive Jünger- conosce ben poco la nostra
epoca».
Bernardi Guardi si imbatte consapevolmente nelle principali figure jüngeriane,
il combattente, l'Operaio, l'avventuriero, l'abitatore del bosco, l'Anarca. E
nel gelido incanto della prosa di Jünger individua i contorni della scommessa
del nostro tempo: sarà più forte la Forma o la Tigre? In altre parole, riuscirà
l'uomo a produrre un'estetica in grado di pensare a dominare i linguaggi del
Moderno? Le poste della sfida appaiono ancora sul tavolo da gioco.
E così il saggio di Bernardi Guardi si rivela come un'interrogazione sul nuovo
che avanza e il vecchio che indietreggia. Il tutto sulla base della convinzione
che «l'estetica non è un rifugio per i dilettanti della sensazione ma un'etica
senza altre risorse che quelle del volto e della parole.
Luciano Lanna
II libro di Mario Bernardi
Guardi, "La tigre della Modernità" (Antonio Pellicani Editore, Roma, 1992, lire
13.000) può essere richiesto direttamente all'Editore scrivendo a: Antonio
Pellicani, via dei Banchi Nuovi 24, 00186 Roma.
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