«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 8 - 9 (31 Dicembre 1992)

 

Ricami all'uncino

 


Ricami all'uncino, occhielli tintinnanti vive gocce di sangue, eleganti ferite disegnate là dove batte e là dove non batte il sole. Ci divertiremo nella nostra sartoria a tagliar panni addosso, a cucire e a scucire, ad usare l'ago, l'uncinetto e l'uncino. Quello del Capitano, minaccioso e trinciante. Fa finta di graffiare solo l'aria ma poi si porta dietro lembi di pelle. Una sartoria piratesca, la nostra. Un porto franco dove sono graditi avventurieri e corsari. Meno, molto meno, quelli che si imbarcano con provviste di salvagenti e di pillole per il mal di mare. Il mare fa male, sibila il topastro terragno. E invece a noi piace sciacquarci la bocca anche con l'acqua salata, oltre che con la grappa. Quando, da bravi sarti, tramavamo articoli da far indossare agli amanti della libertà, non ci siamo punti le dita. Quando, da bravi marinai, abbiamo attraversato qualche cupa tempestosa nuvolaglia, qualche onda col or d'inchiostro, senza troppe precauzioni, non abbiamo lanciato alti lai al cielo perché evitasse che le nostre tremule alucce si inzuppassero d'acqua: ci siam bagnati, eccome!, ma poi il sole ci ha fatto visita, ed eccoci asciutti ed anche abbronzati. Siamo qui, adesso, a divertirci. Se il lettore non si diverte, chieda lui l'uncino e provi ad usarlo. Glielo presteremo volentieri.
I naziskin sono brutti, sporchi, cattivi, si disegnano la svastika sui crani rasati, urlano, aggrediscono, bruciano, hanno la testa e la bocca piena di slogan barbarici e la pancia gonfia di birra. La Signoria Vostra post-radical-chic ha ragione: fanno proprio schifo. La spocchia di Capalbio si rivolta fremente di democratico sdegno di fronte a tanta mancanza di garbo. Eppure questi naziskin sono in genere poveracci, sottoproletari, ciondolano da mattina a sera senza un lavoro, si scatenano ebbri d'odio contro gli stranieri di tutte le razze e di tutti i colori perché, in una desolata guerra tra poveri, li vedono come privilegiati, imbottiti di sussidi governativi, mentre intasano i sobborghi, pisciano sui prati, si dilettano sovente nello stupro e nello spaccio di droga. Perché la Signoria Vostra post-radical-chic che mostrava tanta benevola comprensione per il disagio politico-social-ideologico-generazionale delle masse studentesche con la patacca di Mao all'occhiello negli anni formidabili evocati dal Katanghese Mario, non mostra benevola attesa circa le democratiche capacità di recupero dei pelati-strapelati teutonici e borgatari, e non si ingegna con rosari di dotte esegèsi e di ammicchi progressisti e di qualche sotterranea complicità a trasformarli in baronetti universitari o dirigenti d'azienda? Infatti -se non andiamo errati- molti dei più sbraitanti sacerdoti del tutto e subito!, magari dopo essere stati concupiti da damazze in fregola di scopate rivoluzionarie, si son trovati baciati dalla fortuna e la loro lotta continua è finita in qualche lussuosa redazione progressista o in una delle tante corporazioni politiche, mediche, sindacali, finanziarie che allietano l'itala gente.
Torniamo al nostro interrogativo: perché? perché? perché? Non sarà -ma questa è una ipotesi maligna e quasi ci vergogniamo di formularla- che alla Signoria Vostra post-radical-chic le bandierone con le falci, i martelli, i baffoni di Stalin, il giallo mandorlato di Mao, anche se eccessive, anche se troppo svolazzanti, facessero battere cuore e viscere di occulte frenesie con condimenti simpatizzanti mentre aquilotti gotici, simboli runici, svastike arrotondate o appuntite suscitano tale e tanta ripulsa che no, per i picchiatori naziskin non può esserci comprensione? Non è che, per caso, la Signoria Vostra post-radical-chic li giudichi razzialmente inferiori?

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Dunque, si annuncia un nuovo anno di televisione-spazzatura con arroganze sgarbiane, ghigni minoliani, cosce pariettali, adipi ferraresi, sanfedismi funariani, prosopopee baudesche, purghe frizzanti, bonomie corradiane, notturni bongiorni, maurizieschi vocalizzi popolari tradotti in voci divine grazie al gargarismo di un palazzinaro pentito. Chi ci salverà? È fare orrido qualunquismo il suggerire di tener la televisione spenta? Ma l'avversario va affrontato, suggeriscono gli alfieri dell'incontro-scontro creativo-trasgressivo. Dovete vedere e criticare, sol così si cresce: ecco il prof. di liceo che sbandiera il suo concettino dinnanzi alla platea studentesca drogata da poppe, glutei e cosce al servizio del Verbo del ninfettaro Boncompagni. Critichiamo, cresciamo, moltiplichiamoci con esponenziale ardimento. Ma se tra un valzer dell'obnubilamento per vecchietti dal cuore ancora fiorito e un rap dell'ottundimento per giovani videogiocati ma non domi, c'è rimasto un posticino libero, uno spicchio d'intelligenza disposta a tutto, ecco un consiglio eversivo: munitevi di duecentottantamila lire, andate in libreria e compratevi il "Tutto Nietzsche" in cofanetto Adelphi. Vi servirà ad accendere lampadine dappertutto nel vostro corpo e nella vostra mente; imparerete a pensare attraverso folgorazioni, a smascherare attraverso intuizioni illuminanti, ad accogliere la sovrabbondanza emotiva e spirituale di Frater Fridericus, chierico vagante dionisiaco, distruttore vaticinante, uccel di bosco canoro ed ubriaco, maestro di quella elettissima schiera di discepoli che i maestri li ha in uggia. E se già state preparando le strenne di Natale e vi avanza uno Zarathustra, regalatelo a uno dei summentovati telesignori. Sarà per loro veleno o farmaco? Non esiste alcun terribile dilemma: se lo popperanno come benefico latte, buon per loro; se per eccesso di luce si cercheranno una stabile nicchia tra i cavernicoli del post-moderno, reimparando cos'è un gesto e cos'è una parola, buon per noi. Riaccenderemo la televisione (sì, sarebbe più corretto dire il televisore, ma dicendo «televisione» è come se ci attaccassimo a desiate ghiandole mammarie da cui eravamo stati estromessi dopo che avevamo cominciato a parlare).
«Quant'era grande Totò! Che maschera! Quanta genialità! Ma perché non glielo abbiamo mai detto? Ma perché non gli abbiamo mai dato un premio?». E giù con pianti, lagne, capi cosparsi di cenere, vesti stracciate, dichiarazioni ex cathedra, convegni, saggi di alta filologia, ecc,
che dovrebbero servire da tardiva remunerazione. C'è anche chi, uggiolante e mieloso, ha scritto che Totò ci guarda compiaciuto dal cielo. E magari, aggiungiamo noi, rotea e strabuzza gli occhi. No, signori, troppo comodo. Totò gonfia le guance e sbotta in una bella serie di ohibò!, ve lo garantisco. O magari piega la mano, serra le dita verso il basso, se la picchia contro la fronte e scandisce: «'cca nisciuno è fesso!». E questo non è propriamente un gesto principesco, anzi è sguaiato e popolaresco, ma rivela appieno quel che Antonio De Curtis, nobiluomo e attore, sta pensando, ammesso che veda, pensi e senta, e soprattutto che abbia voglia di interessarsi delle umane miserie, là dalla sua celestiale nicchia (e così abbiamo portato anche noi la nostra pietruzza di contributo alla melensaggine dei pentiti). Il fatto è che Totò avrebbe tutta la ragione di arrabbiarsi e di fare la faccia schifata. Mi si consenta qualche ricordino personale. Quand'ero studente liceale e Totò riempiva le sale dei cinema perché allora si andava al cinema (più o meno nel Pleistocène, come potrete capire. A proposito, avete letto il libro di Roy Lewis "Il più grande uomo scimmia del Pleistocène", Adelphi? Con ventiduemila lire ve lo comprate, insieme a qualche non degradante e non spazzaturesca risata), fui contagiato per qualche anno da una malattia allora abbastanza diffusa tra quelli che avevano la fissazione della cultura: la compunta, ascetica, silente frequentazione settimanale di locali fatiscenti, spettrali e gravanti tetraggine in cui si organizzavano cineforum. Horresco referens (se non sapete il latino, andatevelo a studiare: è una bella occasione per imparare una lingua come si deve, dunque per disimparare il cattivo angloitaliano in cui siete abituati a esprimervi), compravo anche paludatissime riviste di critica che, come piatto meno indigesto, servivano una cosa che si chiamava lo specifico filmico. Bene, credete che in quei club zeppi di tipetti saccenti, occhialuti, foruncolosi, lettori del giovane Marx, di Teilhard de Chardin, di Lukàcs e di tutto Brecht minuto per minuto, ci fosse posto per Totò? No, lì imperava sovrano quel gran puttaniere del piagnisteo coatto che rispondeva al nome di Charlie Chaplin, in arte Charlot. Lui sì che faceva un cinema "intelligente, ricco di sottili problematiche, percorso da fremiti di genialità, aperto a una visione del mondo laica e progressiva ecc. ecc.! Dinnanzi a questo gigante con bombetta, bastoncino e occhio di pesce al rimmel, Totò diventava una piccola marionetta partenopea, di cui ridere in segreto, magari con un po' di vergogna.
Quegli stessi professori che ci sconsigliavano di leggere Nietzsche perché, dicevano, «corrompeva lo spirito» (da parte mia, vi consiglio di lasciarvelo corrompere...), ci invitavano a inchinarci reverenti di fronte all'arte sublime di Charlot e qualcuno già sbandierava una parola che sarebbe diventata di moda: messaggio, che è poi il massaggio per coscienze inquiete. Charlot aveva un messaggio e, bontà sua, ce lo proponeva; Totò, biecamente ridanciano e per di più italiano napoletano, principe e di fede monarchica dichiarata, ci chiamava a nozze con l'inerzia intellettuale, avviliva la mente -adusa magari a essere sollecitata dalle corroboranti proposizioni lukàcsiane- con giochetti di parole, era tremendamente volgare con quelle sue continue allusioni al chiodo fisso dei maschi italioti: la donna, anzi la femmina.
Ne son dovuti passare di anni perché Totò diventasse di moda e la cultura radical-chic lo celebrasse come una delle più grandi, mobili, intense maschere del Novecento, relegando Charlie Chaplin nel dimenticatoio con puttanesca volubilità. Ma come mai, prima, tanti crucifige in un senso e tanti osanna nell'altro? Il fatto è che Charlot con il suo omettino che vuole uscire dal ghetto, ma è schiacciato dalla congiunta violenza persecutoria di tutte le istituzioni, era un mito della sinistra, si proponeva come il modello degli emarginati che un giorno, benedetti dall'imprimatur rosso, rosseggiante o rosa shocking, avrebbero alzato al cielo le testoline piegate-piagate, urlando: «II re è nudo!». Ovvero: il capitalismo è nudo! L'Occidente è nudo! Il che è vero e da sempre, per lo meno dalla fine del Sacro Romano Impero: ma pronunciato in nome di quale controparte? Che c'entra tutto questo con Totò?
C'entra perché, in anni che ora sembrano lontanissimi, il principe De Curtis osava presentarsi in pubblico non come l'intellettualistico burattino di una classe o di un'ideologia ma, da una parte, come l'erede di una tradizione particolare -napoletana, italica e popolare-, dall'altra come il rappresentante dell'umanità nella sua eterna essenza, nel suo impasto di bene e di male, nella sua spontaneità bene incardinata nel diritto naturale o anarchicamente decisa a scardinarlo riconoscendolo, dunque portata a farsi un baffo delle utopie. Se riscoperta o cotta di Totò deve esserci, che sia dunque piena. Che non contenga pentimenti generici ma entri bene nel merito delle colpe, dica con chiarezza perché ci furono. E i maddaleni pentiti il loro coraggio lo portino fino in fondo: rivisitino -se questo vocabolo a loro è ancor caro- il cinema del secondo dopoguerra e si rinserrino in neonati cineclub per guardare, ad esempio, tutta la collezione dei film neorealisti e tutta la collezione dei film di Totò. Chissà. Forse scopriranno che "Guardie e Ladri" col nostro principe in veste di ladruncolo e Aldo Fabrizi in quella di poliziotto, vale quanto "Roma, città aperta" o "Ladri di Biciclette". Anzi, diciamola tutta: vale di più: e non c'era bisogno di aspettare "Uccellacci e uccellini" per dare a Totò quel che era suo né di questi anni per innalzargli monumenti.
 

Sartor Resartus

 

 

Mauro Tomei ci ha lasciati.
Stroncato, a cinquantanni, da un male incurabile. L'amico e camerata di tante -non ricordiamo nemmeno più quante- battaglie, se ne è andato.
Ci piace ricordarlo così come era. Generoso. Picaresco. Disponibile. Sempre in prima fila. Militante autentico. Fascista eretico.
Coerente fino in fondo con le proprie idee; per le quali, ha combattuto e anche pagato ingiustamente un prezzo altissimo.

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