«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno I - n° 8 - 9 (31 Dicembre 1992)

 

Ieri come oggi al sud di un'idea

 


Correva l'anno 1985. Ristretto tra le mura calcinate di una sezione di massima sicurezza, condannato più volte al carcere a vita, costretto a trascorrere il mio tempo coatto su una sedia a rotelle generosamente messami a disposizione dai Signori della struttura, inseguito da un insultante mandato di cattura per la ignobile strage di Bologna, riuscii -ricorrendo ad astuzie divenute ormai consuete per i dannati della trasgressione- a far pervenire ad un parlamentare partenopeo, allora «illuminato» oppositore della linea politica del partito di Almirante, talune mie considerazioni sulla cui valenza e sulla cui attualità lascio decidere ai lettori di "Tabula Rasa" ed ancor più a quanti si muovono nell'area antagonista che opera in numerose parti d'Italia e che -specie nel Sud- va compiendo scelte federaliste incentrate sul principio delle Autonomie Popolari.
Il testo -stralciato nelle parti più personali- viene proposto nella sua integralità: senza aggiustamenti di comodo né ammodernamenti di maniera.

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(...)
Le mie considerazioni valgono come riflessioni doverose non come impossibili nostalgie: ego sum qui sum e come tale sono nostalgico del domani ed ho la certezza che il domani ci appartiene. Non a caso la nostra concezione del tempo si sviluppa nel senso della circolarità e non della linearità, della durata e non dell'artificiosa spazializzazione. Passato, presente e futuro convivono, sono co-presenti nella nostra coscienza individuale come debbono esserlo nella coscienza del Popolo.
Diversamente non avrebbe senso parlare di memoria storica che è ciò che consente al presente ed al futuro di essere: essi nascono, infatti, dal «messaggio integrale di quello che siamo stati». Per vivere nella «dimensione del perenne e dell'integrale» si rende, però, necessario conservare la propria identità o -se smarrita- recuperarla. Non c'è problematicità per noi sul piano delle Idee; la problematicità interviene quando ci si trasferisce sul piano del «fare», sulla capacità di rendere «fattuale» quanto in noi è solarmente limpido, di trasformare in atto le potenzialità pur esistenti, di rinvenire i modi ed i mezzi per operare.
Di qui la mia provocazione, di qui il mio chiederti cosa ci fai in un «partito» dove mancano e le idee e la volontà di operare politicamente... Tu mi hai risposto che -nonostante il tuo entusiasmo- non vedi altre vie, se non come velleitarie ed impraticabili, per cui quel «partito» può essere l'unico strumento possibile...
È sul concetto di strumento che dobbiamo accordarci: soltanto dopo sarò disposto a convenire con te. Non dimenticare che certe esperienze le ho fatte personalmente, che attraverso certi filtri sono passato anche io, che a talune esigenze «perverse» mi sono in altri tempi dovuto piegare; ma pur sempre guardando oltre, sempre cercando il varco per «il passaggio nel cielo». Lo sforzo di ricerca degli strumenti idonei mi ha condotto a vivere nel pianeta carcere... So bene che «fuori di qui» è ancora più difficile vivere... Almeno che non si sia uomini muniti di robusti attributi... Ed è all'uomo che mi rivolgo per invitarlo, per stimolarlo a tentare altre vie possibili, che non siano quelle del partito e neanche del movimento. Noi abbiamo bisogno dell'esistenza di un'area perché soltanto in questa -resa ampia e fertile- è possibile mettere a dimora e coltivare quello che diversamente rimarrebbe un sogno impossibile.
È un discorso non facile a farsi data la condizione in cui siamo costretti a dialogare, ma io conto sulla tua capacità di sintonizzarti con me indipendentemente dal linguaggio dei segni. Va bene il partito, va bene il giornale (io personalmente sono convinto che ti danno su di esso spazio perché non capiscono la suggestione rivoluzionaria del messaggio), ma proiettati con i tuoi amici, con la tua gente fuori ed oltre gli steccati limitati e limitanti dell'uno -come strumento- e dell'altro -come veicolo.
Comunità organiche prima e quindi area in cui farle operare nella prospettiva dell'evento rivoluzionario che è costituito dalla rifondazione del Popolo cui va restituita l'identità di cui è stato storicamente rapinato.
Le Autonomie popolari: né in Italia né nel mondo i mille popoli esistenti come precise realtà etniche, culturali, linguistiche hanno la possibilità di esprimersi autonomamente perché resi colonie dagli apparati di «stati» costruiti quali strumenti non di una esigenza organica ma di interessi multinazionali economici ed ideologici. Rimanendo in Italia (il che non vuol dire che noi non ci si debba schierare a fianco di tutti i popoli che lottano per la loro indipendenza e per la loro autonomia) la nostra battaglia dovrebbe essere intesa a sollecitare le spinte autonomistiche dei tanti popoli in essa stanziati. Poiché non esiste il Popolo italiano, poiché non esiste la Nazione italiana (la sintesi nazionale non si è mai realizzata anche perché il concetto di Nazione -che è un prodotto culturale e non una realtà naturale- è difficilmente riferibile all'Italia), poiché -invece- esiste uno Stato che è funzionale a determinati interessi di potere ed inevitabilmente antipopolari, poiché -ancora- esiste una sudditanza della «Colonia Italia» nei confronti degli USA, la nostra azione deve dispiegarsi in direzione dell'obiettivo «autonomia».
Lungo la «via dei briganti»? Naturalmente, per ciò che idealmente essa rappresenta non certo per una impossibile sua riproposizione. In fondo i Piemontesi conquistarono il Sud e l'assoggettarono ad un ignobile colonialismo; in fondo l'unica autentica guerra di Popolo della «nostra» Storia fu quella combattuta dai «Briganti» contro i bersaglieri ed i carabinieri.
Per il Trono e per l'Altare? Non soltanto. Borjes si battè sicuramente per essi, Crocco no. Se molti imbracciarono lo schioppo o impugnarono l'ascia in nome del Re Francesco, molti altri si sollevarono contro le angherie dei conquistatori, contro la loro «estraneità» insultante, contro l'arroganza dei «galantuomini» subito al servizio dell'invasore di turno.
L'accostamento alla Vandea per noi è istintivo ed immediato; ma si sa: in noi l'immagine degli Chouans, dei «Baroni e Contadini» che si battono uniti contro il Giacobinismo dilagante sventolando il vessillo gigliato evoca suggestioni antiche e nostalgie mai sopite... Eppure la nostra Vandea fu altra cosa, fenomeno assai più complesso di quello descritto dalle meravigliose pagine di Alianello o raccontato dalle puntigliose -e sanamente faziose!- cronache di Butta.
Il Grande Brigantaggio, dunque, come Lotta di Popolo...
Certo rifarsi tout court a quanto avvenne allora nel nostro Sud per riproporlo come modello operativo sarebbe oltre che impossibile cretino. Come lo sarebbe la riproposizione antistorica (così si dice?) di valori-simbolo quali il Trono e l'Altare. Pur se il Reame fu al tempo una realtà di tutto rispetto, checché ne abbiano detto e ne dicano gli storici d'accatto italiani e stranieri.
Noi viviamo nell'età dell'informatica, della telematica, del postindustriale, nel tempo in cui l'uomo lo si vorrebbe rassomigliare sempre più ad un maneggevole e servizievole robot. Come sfuggire alla dissacrazione ultima? Dove rinvenire le energie per continuare e per riprendere la lotta con la mentalità dei vincenti e non con la rassegnazione disperante -anche se romantica!- da «ultima spiaggia»?
Io non credo al contropotere metropolitano. La città è infetta, in essa gli uomini passano come ombre, non hanno passato e non hanno domani. Le sollecitazioni delle mille droghe -dalla moda, al guadagno ad ogni costo, all'eroina- spingono i mutanti senza volto e senza anima ad uno squallido e demenziale esistere in un oggi apparentemente dilatato oltre ogni misura ma in realtà miseramente contratto. Chi credette nei «metropolitani» come soggetti rivoluzionari ha fallito. Un fallimento scontato, come quello di quanti idiotamente s'illusero di utilizzare l'operaismo in funzione antiborghese, quasi che la borghesia si potesse ancora identificare con una classe quando invece essa è una mentalità, un modo di essere inscrivibile in una categoria sociale onnicomprensiva in cui ben si collocano gli stessi operai.
L'utopia gramsciana della rivoluzione determinata dall'incontro tra gli operai del Nord ed i contadini del Sud? Messianesimo da «legge bronzea dei salari»...
Nella pratica noi abbiamo assistito ad una serie di atti di colonialismo: militare, economico, culturale. Il Nord ha prima conquistato il Sud, poi lo ha sfruttato economicamente, infine lo ha colonizzato culturalmente.
Ed è alla colonizzazione dei cervelli e delle anime che noi dobbiamo cercare con tutte le nostre energie di reagire.
Riproponendo lo spirito della Comunità contro l'infezione della società fondata sull'utile, riscoprendo la nostra storia, rivalutando i valori contadini, ritornando nei borghi e contrapponendo la concezione urbana con il suo «Centro» sacrale (non chiesaiuolo), le sue tradizioni, la sua stessa economia, organica perché funzionale alle esigenze comunitarie, alla schizofrenia metropolitana (la città moderna anche urbanisticamente -e non a caso- non si sviluppa partendo da un Centro che possa rappresentare l'orientamento ed il riferimento), alla demonia economicistica.
La città esiste e non la si può distruggere: è vero. Ma si può distruggere l'ideologia da cui essa discende operando culturalmente -e quindi- politicamente in aree che sono fuori di essa ma anche dentro di essa. E si può operare per impedire che la città si estenda ancora divenendo una sterminata e inumana megalopoli.
Ma ciò che propongo può avere una possibilità di successo solo se il Popolo ritroverà la sua identità. Il nostro compito, la nostra funzione di militanti è -e mi ripeto- quello di «provocare» il ritrovamento. E non esistendo il Popolo ma i tanti Popoli l'azione di provocazione va sviluppata in ogni realtà popolare, in ogni area, in ogni entità autonoma.
Ciò che potrebbe apparire una spinta verso la dissoluzione ed il particolarismo; in realtà è l'unica via praticabile per il ritorno ad una struttura organica. L'unità non è mai la somma dei particolarismi ma è la sintesi delle autonomie che si realizza intorno ad un'Idea.
L'identità dell'Imperium (e non del miserabile «potere») dipende dalle identità delle Comunità che si aggregano intorno ad un Centro conservando ognuna le proprie caratteristiche originarie, le proprie peculiarità, le proprie tradizioni, le proprie essenzialità. L'aggregazione organica presuppone la differenziazione delle funzioni. Il «quod principi placuit legis habet vigorem» è un principio tradizionale che vale in quanto esiste un'Idea che s'identifica nell'Imperium e che può anche impersonarsi in un Princeps. La legge -comunque- deriva la sua sacralità non dal Princeps ma dall'Idea in cui si riconoscono i soggetti destinati a rispettarne i princìpi. A Roncaglia s'incontrano con il Barbarossa i rappresentanti delle realtà autonome -feudali e cittadine- che non chiedono privilegi e regalie ma che si riconoscono nell'universalità dell'Imperium.
Quanti sono mossi dal particolarismo sono altrove, intenti a tramare in difesa d'interessi bottegai...
I tanti Popoli, dicevo, non certo le tante regioni che rispondono a criteri convenzionali di suddivisione del territorio dettati da interessi «amministrativi» propri di uno Stato e di una consorteria di politicanti onnivori che «divorano con denti rubati».
Guardiamo la regione Campania: cosa ha a che fare il Sannita con l'Irpino e questi con il Napoletano? Gaeta è culturalmente partenopea e, invece, è collocata nella regione Lazio con la quale neppure economicamente è omogenea... Potremmo continuare per intiere pagine a esemplificare discendendo e risalendo la penisola sino a giungere nel Sud-Tirol che si pretende considerare «italiano» quando etnicamente, linguisticamente, culturalmente, storicamente, geograficamente è «tedesco» (gli Italiani presenti in Alto Adige sono allogeni, lì importati a seguito di una conquista militare e di una successiva colonizzazione.
Proprio come si è verificato nel Sud con la conquista piemontese... L'unica differenza è storicamente costituita dallo sradicamento che ha costretto i meridionali -dopo il dramma dell'emigrazione oltreoceano- a debordare oltre la «linea gotica» alla ricerca di un ubi consistam da sopravvivenza: schiavi bianchi in giro per il mondo prima e poi per l'Italia in cerca di un'interpretazione che talvolta si è rinvenuta attraverso la cosiddetta criminalità organizzata... (È interessante a tal proposito quanto sostenuto da G. Fergola in "Quel Mezzogiorno a due facce". È un discorso che andrà ripreso).
Andreas Hofer e Fra' Diavolo, gli Schiltzen ed i Briganti non sono forse riconducibili ad una medesima esigenza di rivolta contro gli invasori, non sono le espressioni (solo geograficamente lontane) di Popoli che lottano per la loro libertà, per la conservazione della loro indipendenza e, quindi, della loro identità?
E per che cosa lottavano i Rebels se non per impedire agli Yankees di distruggere -in nome del dollaro e della usura- la civiltà e le tradizioni «diverse» del deep South!
Considerazioni «in libertà» le mie, probabili tentativi di «evasione»... Formuliamo insieme la proposta rivoluzionaria delle Autonomie Popolari: non si tratta di fantasie «antistoriche» ma di capacità d'interpretare l'oggi e di costruire il domani. Idealmente e realisticamente.
Conservando la nostra memoria storica, rimanendo saldamente aderenti al nostro patrimonio ideale e culturale, calando la nostra Weltanschauung nella realtà, rendendola «fattuale» nella considerazione di ciò che esiste epocalmente e di ciò che potrà essere in un futuro non remoto costruito da noi e da quanti avremo saputo aggregare.
Abbiamo bisogno di spazi ariosi: perciò l'area. Dobbiamo assolutamente abbattere gli steccati in cui ci hanno costretti, dobbiamo uscire dalle riserve in cui ci hanno rinchiusi.
Rendiamo autonomi i nostri Popoli in vista della rifondazione del Popolo come organismo in cui si armonizzino le diverse funzioni, in cui le autonomie si saldino senza rinunciare alla loro specificità, in cui i socii ed i foederati s'incontrino a parità di dignità, nel rispetto delle reciproche competenze. Inter pares, in breve.
Ma non vedi che un tale Popolo non solo è proponibile come idea ma è concretamente e naturalmente realizzabile?
E non vedi come esso coincida con l'idea di Stato Organico, con l'unica possibile riproposizione in chiave epocale dell'Imperium?
Veniamo da lontano e vogliamo andare lontano, consapevoli che contro ogni determinismo la Storia è decisa dall'Uomo e non l'uomo deciso dalla storia.
In alto i cuori!
 

Paolo Signorelli

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