Ieri come oggi al sud di
un'idea
Correva l'anno 1985. Ristretto tra le mura calcinate di una sezione di massima
sicurezza, condannato più volte al carcere a vita, costretto a trascorrere il
mio tempo coatto su una sedia a rotelle generosamente messami a disposizione dai
Signori della struttura, inseguito da un insultante mandato di cattura per la
ignobile strage di Bologna, riuscii -ricorrendo ad astuzie divenute ormai
consuete per i dannati della trasgressione- a far pervenire ad un parlamentare
partenopeo, allora «illuminato» oppositore della linea politica del partito di
Almirante, talune mie considerazioni sulla cui valenza e sulla cui attualità
lascio decidere ai lettori di "Tabula Rasa" ed ancor più a quanti si muovono
nell'area antagonista che opera in numerose parti d'Italia e che -specie nel
Sud- va compiendo scelte federaliste incentrate sul principio delle Autonomie
Popolari.
Il testo -stralciato nelle parti più personali- viene proposto nella sua
integralità: senza aggiustamenti di comodo né ammodernamenti di maniera.
* * *
(...)
Le mie considerazioni valgono come riflessioni doverose non come impossibili
nostalgie: ego sum qui sum e come tale sono nostalgico del domani ed ho la
certezza che il domani ci appartiene. Non a caso la nostra concezione del tempo
si sviluppa nel senso della circolarità e non della linearità, della durata e
non dell'artificiosa spazializzazione. Passato, presente e futuro convivono,
sono co-presenti nella nostra coscienza individuale come debbono esserlo nella
coscienza del Popolo.
Diversamente non avrebbe senso parlare di memoria storica che è ciò che consente
al presente ed al futuro di essere: essi nascono, infatti, dal «messaggio
integrale di quello che siamo stati». Per vivere nella «dimensione del perenne e
dell'integrale» si rende, però, necessario conservare la propria identità o -se
smarrita- recuperarla. Non c'è problematicità per noi sul piano delle Idee; la
problematicità interviene quando ci si trasferisce sul piano del «fare», sulla
capacità di rendere «fattuale» quanto in noi è solarmente limpido, di
trasformare in atto le potenzialità pur esistenti, di rinvenire i modi ed i
mezzi per operare.
Di qui la mia provocazione, di qui il mio chiederti cosa ci fai in un «partito»
dove mancano e le idee e la volontà di operare politicamente... Tu mi hai
risposto che -nonostante il tuo entusiasmo- non vedi altre vie, se non come
velleitarie ed impraticabili, per cui quel «partito» può essere l'unico
strumento possibile...
È sul concetto di strumento che dobbiamo accordarci: soltanto dopo sarò disposto
a convenire con te. Non dimenticare che certe esperienze le ho fatte
personalmente, che attraverso certi filtri sono passato anche io, che a talune
esigenze «perverse» mi sono in altri tempi dovuto piegare; ma pur sempre
guardando oltre, sempre cercando il varco per «il passaggio nel cielo». Lo
sforzo di ricerca degli strumenti idonei mi ha condotto a vivere nel pianeta
carcere... So bene che «fuori di qui» è ancora più difficile vivere... Almeno
che non si sia uomini muniti di robusti attributi... Ed è all'uomo che mi
rivolgo per invitarlo, per stimolarlo a tentare altre vie possibili, che non
siano quelle del partito e neanche del movimento. Noi abbiamo bisogno
dell'esistenza di un'area perché soltanto in questa -resa ampia e fertile- è
possibile mettere a dimora e coltivare quello che diversamente rimarrebbe un
sogno impossibile.
È un discorso non facile a farsi data la condizione in cui siamo costretti a
dialogare, ma io conto sulla tua capacità di sintonizzarti con me
indipendentemente dal linguaggio dei segni. Va bene il partito, va bene il
giornale (io personalmente sono convinto che ti danno su di esso spazio perché
non capiscono la suggestione rivoluzionaria del messaggio), ma proiettati con i
tuoi amici, con la tua gente fuori ed oltre gli steccati limitati e limitanti
dell'uno -come strumento- e dell'altro -come veicolo.
Comunità organiche prima e quindi area in cui farle operare nella prospettiva
dell'evento rivoluzionario che è costituito dalla rifondazione del Popolo cui va
restituita l'identità di cui è stato storicamente rapinato.
Le Autonomie popolari: né in Italia né nel mondo i mille popoli esistenti come
precise realtà etniche, culturali, linguistiche hanno la possibilità di
esprimersi autonomamente perché resi colonie dagli apparati di «stati» costruiti
quali strumenti non di una esigenza organica ma di interessi multinazionali
economici ed ideologici. Rimanendo in Italia (il che non vuol dire che noi non
ci si debba schierare a fianco di tutti i popoli che lottano per la loro
indipendenza e per la loro autonomia) la nostra battaglia dovrebbe essere intesa
a sollecitare le spinte autonomistiche dei tanti popoli in essa stanziati.
Poiché non esiste il Popolo italiano, poiché non esiste la Nazione italiana (la
sintesi nazionale non si è mai realizzata anche perché il concetto di Nazione
-che è un prodotto culturale e non una realtà naturale- è difficilmente
riferibile all'Italia), poiché -invece- esiste uno Stato che è funzionale a
determinati interessi di potere ed inevitabilmente antipopolari, poiché -ancora-
esiste una sudditanza della «Colonia Italia» nei confronti degli USA, la nostra
azione deve dispiegarsi in direzione dell'obiettivo «autonomia».
Lungo la «via dei briganti»? Naturalmente, per ciò che idealmente essa
rappresenta non certo per una impossibile sua riproposizione. In fondo i
Piemontesi conquistarono il Sud e l'assoggettarono ad un ignobile colonialismo;
in fondo l'unica autentica guerra di Popolo della «nostra» Storia fu quella
combattuta dai «Briganti» contro i bersaglieri ed i carabinieri.
Per il Trono e per l'Altare? Non soltanto. Borjes si battè sicuramente per essi,
Crocco no. Se molti imbracciarono lo schioppo o impugnarono l'ascia in nome del
Re Francesco, molti altri si sollevarono contro le angherie dei conquistatori,
contro la loro «estraneità» insultante, contro l'arroganza dei «galantuomini»
subito al servizio dell'invasore di turno.
L'accostamento alla Vandea per noi è istintivo ed immediato; ma si sa: in noi
l'immagine degli Chouans, dei «Baroni e Contadini» che si battono uniti contro
il Giacobinismo dilagante sventolando il vessillo gigliato evoca suggestioni
antiche e nostalgie mai sopite... Eppure la nostra Vandea fu altra cosa,
fenomeno assai più complesso di quello descritto dalle meravigliose pagine di
Alianello o raccontato dalle puntigliose -e sanamente faziose!- cronache di
Butta.
Il Grande Brigantaggio, dunque, come Lotta di Popolo...
Certo rifarsi tout court a quanto avvenne allora nel nostro Sud per riproporlo
come modello operativo sarebbe oltre che impossibile cretino. Come lo sarebbe la
riproposizione antistorica (così si dice?) di valori-simbolo quali il Trono e
l'Altare. Pur se il Reame fu al tempo una realtà di tutto rispetto, checché ne
abbiano detto e ne dicano gli storici d'accatto italiani e stranieri.
Noi viviamo nell'età dell'informatica, della telematica, del postindustriale,
nel tempo in cui l'uomo lo si vorrebbe rassomigliare sempre più ad un
maneggevole e servizievole robot. Come sfuggire alla dissacrazione ultima? Dove
rinvenire le energie per continuare e per riprendere la lotta con la mentalità
dei vincenti e non con la rassegnazione disperante -anche se romantica!- da
«ultima spiaggia»?
Io non credo al contropotere metropolitano. La città è infetta, in essa gli
uomini passano come ombre, non hanno passato e non hanno domani. Le
sollecitazioni delle mille droghe -dalla moda, al guadagno ad ogni costo,
all'eroina- spingono i mutanti senza volto e senza anima ad uno squallido e
demenziale esistere in un oggi apparentemente dilatato oltre ogni misura ma in
realtà miseramente contratto. Chi credette nei «metropolitani» come soggetti
rivoluzionari ha fallito. Un fallimento scontato, come quello di quanti
idiotamente s'illusero di utilizzare l'operaismo in funzione antiborghese, quasi
che la borghesia si potesse ancora identificare con una classe quando invece
essa è una mentalità, un modo di essere inscrivibile in una categoria sociale
onnicomprensiva in cui ben si collocano gli stessi operai.
L'utopia gramsciana della rivoluzione determinata dall'incontro tra gli operai
del Nord ed i contadini del Sud? Messianesimo da «legge bronzea dei salari»...
Nella pratica noi abbiamo assistito ad una serie di atti di colonialismo:
militare, economico, culturale. Il Nord ha prima conquistato il Sud, poi lo ha
sfruttato economicamente, infine lo ha colonizzato culturalmente.
Ed è alla colonizzazione dei cervelli e delle anime che noi dobbiamo cercare con
tutte le nostre energie di reagire.
Riproponendo lo spirito della Comunità contro l'infezione della società fondata
sull'utile, riscoprendo la nostra storia, rivalutando i valori contadini,
ritornando nei borghi e contrapponendo la concezione urbana con il suo «Centro»
sacrale (non chiesaiuolo), le sue tradizioni, la sua stessa economia, organica
perché funzionale alle esigenze comunitarie, alla schizofrenia metropolitana (la
città moderna anche urbanisticamente -e non a caso- non si sviluppa partendo da
un Centro che possa rappresentare l'orientamento ed il riferimento), alla
demonia economicistica.
La città esiste e non la si può distruggere: è vero. Ma si può distruggere
l'ideologia da cui essa discende operando culturalmente -e quindi- politicamente
in aree che sono fuori di essa ma anche dentro di essa. E si può operare per
impedire che la città si estenda ancora divenendo una sterminata e inumana
megalopoli.
Ma ciò che propongo può avere una possibilità di successo solo se il Popolo
ritroverà la sua identità. Il nostro compito, la nostra funzione di militanti è
-e mi ripeto- quello di «provocare» il ritrovamento. E non esistendo il Popolo
ma i tanti Popoli l'azione di provocazione va sviluppata in ogni realtà
popolare, in ogni area, in ogni entità autonoma.
Ciò che potrebbe apparire una spinta verso la dissoluzione ed il particolarismo;
in realtà è l'unica via praticabile per il ritorno ad una struttura organica.
L'unità non è mai la somma dei particolarismi ma è la sintesi delle autonomie
che si realizza intorno ad un'Idea.
L'identità dell'Imperium (e non del miserabile «potere») dipende dalle identità
delle Comunità che si aggregano intorno ad un Centro conservando ognuna le
proprie caratteristiche originarie, le proprie peculiarità, le proprie
tradizioni, le proprie essenzialità. L'aggregazione organica presuppone la
differenziazione delle funzioni. Il «quod principi placuit legis habet
vigorem» è un principio tradizionale che vale in quanto esiste un'Idea che
s'identifica nell'Imperium e che può anche impersonarsi in un Princeps. La legge
-comunque- deriva la sua sacralità non dal Princeps ma dall'Idea in cui si
riconoscono i soggetti destinati a rispettarne i princìpi. A Roncaglia
s'incontrano con il Barbarossa i rappresentanti delle realtà autonome -feudali e
cittadine- che non chiedono privilegi e regalie ma che si riconoscono
nell'universalità dell'Imperium.
Quanti sono mossi dal particolarismo sono altrove, intenti a tramare in difesa
d'interessi bottegai...
I tanti Popoli, dicevo, non certo le tante regioni che rispondono a criteri
convenzionali di suddivisione del territorio dettati da interessi
«amministrativi» propri di uno Stato e di una consorteria di politicanti
onnivori che «divorano con denti rubati».
Guardiamo la regione Campania: cosa ha a che fare il Sannita con l'Irpino e
questi con il Napoletano? Gaeta è culturalmente partenopea e, invece, è
collocata nella regione Lazio con la quale neppure economicamente è omogenea...
Potremmo continuare per intiere pagine a esemplificare discendendo e risalendo
la penisola sino a giungere nel Sud-Tirol che si pretende considerare «italiano»
quando etnicamente, linguisticamente, culturalmente, storicamente,
geograficamente è «tedesco» (gli Italiani presenti in Alto Adige sono allogeni,
lì importati a seguito di una conquista militare e di una successiva
colonizzazione.
Proprio come si è verificato nel Sud con la conquista piemontese... L'unica
differenza è storicamente costituita dallo sradicamento che ha costretto i
meridionali -dopo il dramma dell'emigrazione oltreoceano- a debordare oltre la
«linea gotica» alla ricerca di un ubi consistam da sopravvivenza: schiavi
bianchi in giro per il mondo prima e poi per l'Italia in cerca di
un'interpretazione che talvolta si è rinvenuta attraverso la cosiddetta
criminalità organizzata... (È interessante a tal proposito quanto sostenuto da
G. Fergola in "Quel Mezzogiorno a due facce". È un discorso che andrà ripreso).
Andreas Hofer e Fra' Diavolo, gli Schiltzen ed i Briganti non sono forse
riconducibili ad una medesima esigenza di rivolta contro gli invasori, non sono
le espressioni (solo geograficamente lontane) di Popoli che lottano per la loro
libertà, per la conservazione della loro indipendenza e, quindi, della loro
identità?
E per che cosa lottavano i Rebels se non per impedire agli Yankees di
distruggere -in nome del dollaro e della usura- la civiltà e le tradizioni
«diverse» del deep South!
Considerazioni «in libertà» le mie, probabili tentativi di «evasione»...
Formuliamo insieme la proposta rivoluzionaria delle Autonomie Popolari: non si
tratta di fantasie «antistoriche» ma di capacità d'interpretare l'oggi e di
costruire il domani. Idealmente e realisticamente.
Conservando la nostra memoria storica, rimanendo saldamente aderenti al nostro
patrimonio ideale e culturale, calando la nostra Weltanschauung nella realtà,
rendendola «fattuale» nella considerazione di ciò che esiste epocalmente e di
ciò che potrà essere in un futuro non remoto costruito da noi e da quanti avremo
saputo aggregare.
Abbiamo bisogno di spazi ariosi: perciò l'area. Dobbiamo assolutamente abbattere
gli steccati in cui ci hanno costretti, dobbiamo uscire dalle riserve in cui ci
hanno rinchiusi.
Rendiamo autonomi i nostri Popoli in vista della rifondazione del Popolo come
organismo in cui si armonizzino le diverse funzioni, in cui le autonomie si
saldino senza rinunciare alla loro specificità, in cui i socii ed i
foederati s'incontrino a parità di dignità, nel rispetto delle reciproche
competenze. Inter pares, in breve.
Ma non vedi che un tale Popolo non solo è proponibile come idea ma è
concretamente e naturalmente realizzabile?
E non vedi come esso coincida con l'idea di Stato Organico, con l'unica
possibile riproposizione in chiave epocale dell'Imperium?
Veniamo da lontano e vogliamo andare lontano, consapevoli che contro ogni
determinismo la Storia è decisa dall'Uomo e non l'uomo deciso dalla storia.
In alto i cuori!
Paolo
Signorelli
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