Ribellarsi e passare al
bosco
Sull'ultimo numero di "Tabula
Rasa" l'amico Beniamino Donnici rivolge a tutti noi, che in tempi non sospetti
abbiamo liberamente fatto una scelta per molti versi dolorosa ma sicuramente
doverosa e improcrastinabile, l'invito ad incontrarci. A confrontarsi. Ad
affrontare, aggiungo io, quel tanto che ci riunisce e quel poco che ci divide.
Senza infingimenti e, aggiungo sempre io, con la consueta lealtà. Quella lealtà
ed anche quella coerenza e chiarezza che in larga misura ci hanno sempre
contraddistinto. Nel bene e nel male. Nella buona e nella cattiva sorte.
È una esigenza del tutto condivisibile. Anzi, da soddisfare al più presto. Un
anno e mezzo è trascorso da quando facemmo quella scelta. E non è trascorso
invano. Alcune cose importanti sono state fatte. Anche se, come è nel nostro
stile, in modo non eclatante. Molte altre, come sempre accade, avremmo potuto
fare. È nata "Tabula Rasa". Il nostro periodico. Il nostro punto di riferimento.
Esso va avanti, se pur tra non indifferenti sacrifici soprattutto da parte di
chi lo dirige e lo tiene magnificamente in vita. È stato sino ad oggi palestra
di dibattito e di confronto politico e culturale. Aperto al contributo di tutti
coloro che da tempo hanno deciso di rifiutare gabbie preconfezionate, muri
precostituiti, etichette fuori moda, anacronistici steccati che il tempo e la
storia hanno finalmente spazzato via.
Quando facemmo quella scelta, oltre a motivi e stati d'animo puramente
contingenti, intuimmo soprattutto che il nostro Paese si stava avviando verso un
profondo mutamento. Capimmo che era necessario rompere con il vecchio
-rappresentato anche dai partiti, dagli organigrammi, dalle tessere, dal
compromesso, dai personalismi, dall'egoismo, dal cinismo, dall'immoralità- e
fare un salto di qualità. Eravamo altresì consapevoli di intraprendere una
strada difficile. Scomoda. Impervia. La più difficile. Ma altra via non c'era, e
non c'è. Piena di incertezze, di tanti prevedibili e imprevedibili ostacoli.
Irta di incomprensioni. Ma ugualmente ci mettemmo in cammino. Consapevoli che
per chi non ci sta, per chi rifiuta questo tipo di società, altro non restava da
fare. Bere o affogare. Cercare un approdo o annegare. Scegliemmo di non
naufragare, di non affogare. Ecco perché nacque, e va avanti, "Tabula Rasa".
Fermi e saldi su alcuni valori e princìpi, che tutti ci trovarono concordi, e
dai quali anche oggi non è possibile il distaccarsi.
Quei valori e quei princìpi si possono sintetizzare nel rifiuto del cosiddetto
«nuovo ordine mondiale» (che bombarda l'Iraq ma consente ad Israele di deportare
oltre quattrocento palestinesi); nella lotta all'americanismo e quindi al
capitalismo imperante; in un corretto e serio approccio al drammatico problema
della immigrazione e quindi anche alle tematiche del razzismo e
dell'antisemitismo (ma non è più corretto dire antisionismo?); nel rifiuto della
logica partitocratica; nella ricerca costante del colloquio e del confronto con
tutti coloro che, pur se schierati sino ad ieri su versanti opposti, non ci
stanno; nel rifiuto di superate etichettature quali destra e sinistra; nel
ripudio delle cosiddette culture circostanti; nella intransigenza di difendere
la nostra memoria storica e le nostre radici. Ed altro ancora.
Credo che Beniamino Donnici quando parla di «coerenza con le scelte» si
riferisca anche e soprattutto a questi princìpi e valori. Così come quando, a
proposito di "Tabula Rasa", invoca una «linea ben definita tale da stabilire il
confine tra chi nella rivista si ritrova e chi no». I tempi sono finalmente
maturi, e quanto sta accadendo intorno a noi è di stimolo e di conforto, per
fare un ulteriore e qualificante passo in avanti. L'invito è quanto mai
opportuno e puntuale. Tremendamente indilazionabile. Altrimenti quella scelta di
un anno e mezzo fa rimane inutile e fine a sé stessa. Qualunquistica e per molti
versi alibistica.
Se scegliemmo di non naufragare od affogare nella palude putrida e soffocante
che ci circonda è perché avevamo la certezza di essere nel giusto. O quantomeno
la volontà, il coraggio e la spregiudicatezza di non arrendersi. Perché
credevamo fosse ancora possibile, non omologandoci, di combattere per princìpi e
valori che contano. Perché ritenevamo che ribellarsi fosse doveroso; perché
credevamo che fosse giunto il momento, per dirla con Ernst Jünger, di passare al
bosco.
Non per nascondersi comodamente e per sfuggire vigliaccamente alla triste e
squallida realtà che sta intorno a noi, ma per tentare di costruire il nuovo
sulle ceneri del vecchio che sta inesorabilmente crollando.
Ebbene, se siamo ancora convinti di tutto questo, allora i tempi sono maturi per
stabilire, e consolidare, direttrici culturali e politiche lungo le quali
muoverci e far muovere la nostra "Tabula Rasa". Non abbiamo certo paura di
assumerci, fino in fondo, le nostre responsabilità. Né tantomeno abbiamo paura
di abdicare (altri lo hanno già fatto, altri ancora lo faranno) al ruolo che per
molti di noi ha rappresentato, e deve e può ancora rappresentare, una intera
esistenza.
Gianni
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