«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 1 - 31 Gennaio 1993

 

Ribellarsi e passare al bosco


 

Sull'ultimo numero di "Tabula Rasa" l'amico Beniamino Donnici rivolge a tutti noi, che in tempi non sospetti abbiamo liberamente fatto una scelta per molti versi dolorosa ma sicuramente doverosa e improcrastinabile, l'invito ad incontrarci. A confrontarsi. Ad affrontare, aggiungo io, quel tanto che ci riunisce e quel poco che ci divide. Senza infingimenti e, aggiungo sempre io, con la consueta lealtà. Quella lealtà ed anche quella coerenza e chiarezza che in larga misura ci hanno sempre contraddistinto. Nel bene e nel male. Nella buona e nella cattiva sorte.
È una esigenza del tutto condivisibile. Anzi, da soddisfare al più presto. Un anno e mezzo è trascorso da quando facemmo quella scelta. E non è trascorso invano. Alcune cose importanti sono state fatte. Anche se, come è nel nostro stile, in modo non eclatante. Molte altre, come sempre accade, avremmo potuto fare. È nata "Tabula Rasa". Il nostro periodico. Il nostro punto di riferimento. Esso va avanti, se pur tra non indifferenti sacrifici soprattutto da parte di chi lo dirige e lo tiene magnificamente in vita. È stato sino ad oggi palestra di dibattito e di confronto politico e culturale. Aperto al contributo di tutti coloro che da tempo hanno deciso di rifiutare gabbie preconfezionate, muri precostituiti, etichette fuori moda, anacronistici steccati che il tempo e la storia hanno finalmente spazzato via.
Quando facemmo quella scelta, oltre a motivi e stati d'animo puramente contingenti, intuimmo soprattutto che il nostro Paese si stava avviando verso un profondo mutamento. Capimmo che era necessario rompere con il vecchio -rappresentato anche dai partiti, dagli organigrammi, dalle tessere, dal compromesso, dai personalismi, dall'egoismo, dal cinismo, dall'immoralità- e fare un salto di qualità. Eravamo altresì consapevoli di intraprendere una strada difficile. Scomoda. Impervia. La più difficile. Ma altra via non c'era, e non c'è. Piena di incertezze, di tanti prevedibili e imprevedibili ostacoli. Irta di incomprensioni. Ma ugualmente ci mettemmo in cammino. Consapevoli che per chi non ci sta, per chi rifiuta questo tipo di società, altro non restava da fare. Bere o affogare. Cercare un approdo o annegare. Scegliemmo di non naufragare, di non affogare. Ecco perché nacque, e va avanti, "Tabula Rasa". Fermi e saldi su alcuni valori e princìpi, che tutti ci trovarono concordi, e dai quali anche oggi non è possibile il distaccarsi.
Quei valori e quei princìpi si possono sintetizzare nel rifiuto del cosiddetto «nuovo ordine mondiale» (che bombarda l'Iraq ma consente ad Israele di deportare oltre quattrocento palestinesi); nella lotta all'americanismo e quindi al capitalismo imperante; in un corretto e serio approccio al drammatico problema della immigrazione e quindi anche alle tematiche del razzismo e dell'antisemitismo (ma non è più corretto dire antisionismo?); nel rifiuto della logica partitocratica; nella ricerca costante del colloquio e del confronto con tutti coloro che, pur se schierati sino ad ieri su versanti opposti, non ci stanno; nel rifiuto di superate etichettature quali destra e sinistra; nel ripudio delle cosiddette culture circostanti; nella intransigenza di difendere la nostra memoria storica e le nostre radici. Ed altro ancora.
Credo che Beniamino Donnici quando parla di «coerenza con le scelte» si riferisca anche e soprattutto a questi princìpi e valori. Così come quando, a proposito di "Tabula Rasa", invoca una «linea ben definita tale da stabilire il confine tra chi nella rivista si ritrova e chi no». I tempi sono finalmente maturi, e quanto sta accadendo intorno a noi è di stimolo e di conforto, per fare un ulteriore e qualificante passo in avanti. L'invito è quanto mai opportuno e puntuale. Tremendamente indilazionabile. Altrimenti quella scelta di un anno e mezzo fa rimane inutile e fine a sé stessa. Qualunquistica e per molti versi alibistica.
Se scegliemmo di non naufragare od affogare nella palude putrida e soffocante che ci circonda è perché avevamo la certezza di essere nel giusto. O quantomeno la volontà, il coraggio e la spregiudicatezza di non arrendersi. Perché credevamo fosse ancora possibile, non omologandoci, di combattere per princìpi e valori che contano. Perché ritenevamo che ribellarsi fosse doveroso; perché credevamo che fosse giunto il momento, per dirla con Ernst Jünger, di passare al bosco.
Non per nascondersi comodamente e per sfuggire vigliaccamente alla triste e squallida realtà che sta intorno a noi, ma per tentare di costruire il nuovo sulle ceneri del vecchio che sta inesorabilmente crollando.
Ebbene, se siamo ancora convinti di tutto questo, allora i tempi sono maturi per stabilire, e consolidare, direttrici culturali e politiche lungo le quali muoverci e far muovere la nostra "Tabula Rasa". Non abbiamo certo paura di assumerci, fino in fondo, le nostre responsabilità. Né tantomeno abbiamo paura di abdicare (altri lo hanno già fatto, altri ancora lo faranno) al ruolo che per molti di noi ha rappresentato, e deve e può ancora rappresentare, una intera esistenza.
 

Gianni Benvenuti

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