«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 1 - 31 Gennaio 1993

 

Sei pensieri sull'anno finito


 

Nazi-Skin
È la nuova parola entrata nel vocabolario della politica dell'anno che ci lasciamo alle spalle. Fino a qualche mese fa esistevano soltanto gli «skin». Poche decine di ragazzotti vestiti di nero che stazionavano fuori ad alcune birrerie, tardiva ed effimera imitazione di un costume nato più di un decennio prima in Inghilterra come fenomeno ribellistico, vagamente di sinistra, variante del mosaico di dark e heavy metal. Poi qualcuno si è curato di fornirgli una coscienza politica, dei capi, degli organi di stampa, di curarne, con suono di grancassa, il proselitismo. E, in un'Italia che di certo non ne sentiva la mancanza, è sorto un nuovo guaio, anche se ancora molto più marginale e folkloristico di quanto si vorrebbe far credere. Bisogno di rincorrere la notizia, ingenuità, ricerca di un nemico oggettivo, strumentalità, sono queste le voci della grande orchestra dell'informazione che ha gonfiato in questi mesi il problema. Basterebbe la nostra recente polemica sull'argomento razzismo per documentare quanta antipatia nutriamo nei confronti di questi personaggi, tuttavia non possiamo non sottolineare la gravita delle conseguenze di chi involontariamente li esalta, contrapponendo alla insicurezza di quanti vedono nel diverso il nemico da abbattere, una simmetrica insicurezza, quella che si scarica su di un altro tipo diverso. Due culture che si scontrano a partire dallo stesso bisogno esistenziale, dalle stesse paure, dagli stessi vuoti: in crisi le grandi idee «positive» che hanno agitato il secolo, ci si aggrappa ai loro sostitutivi, ai loro grotteschi surrogati. Cosicché qualche soggetto interessato ed il mercato dell'informazione, hanno suggerito l'inserimento di quel prefisso «nazi», e nel nostro paese è nato un nuovo mostro, un nuovo diversivo, un nuovo soggetto. È poca cosa e tale è destinata a rimanere, ci preoccupa solo il fatto che in un momento di grave incertezza e di crisi anche le piccole cose possono contribuire a produrre grandi catastrofi.

Tangentopoli
Uno dei neologismi più brutti coniati negli ultimi anni che, insieme alla formula catartica «mani pulite», è divenuta riferimento imprescindibile di qualsiasi discorso politico. Brutta parola limitativa, incapace di rappresentare per intero il meccanismo tra affari e politica che ha costituito l'intelaiatura dell'intero sistema politico italiano. Le varie inchieste giudiziarie che si vanno moltiplicando in tutto il territorio nazionale aprendo il sipario su di un baratro in cui tutta la politica italiana era precipitata, non sono che un sintomo della frana di equilibri di potere durati troppi anni. Inutile distinguere tra arricchimenti personali, finanziamenti illeciti ai partiti, corruzione, responsabilità degli imprenditori, traffici di natura strettamente criminali. Non è importante andare a fare una graduatoria del tasso di immoralità e di coinvolgimento personale. Si tratta di un sistema consolidato, diffuso, noto ed accettato che era divenuto il modo stesso di essere della politica, della politica che ci ha governato in questi anni, dalla maggioranza o dalla opposizione. Due mondi connaturati e vicendevolmente indispensabili: non si può dare una continuazione di quella politica, di quelle forze politiche, di quegli uomini politici, senza la continuazione di quel sistema. Ma quel sistema e quella politica sono ormai alla fine e tutti i Di Pietro d'Italia non sono che gli indicatori di un livello di guardia ormai abbondantemente superato.

Elezioni
Non è elegante citarsi, ma non ci dispiace ricordare che alla vigilia delle elezioni del 5 aprile, quando era ancora diffuso il clima del «tanto non cambia niente», avevamo detto che quelle sarebbero state le ultime elezioni che avrebbero visto in campo i partiti come noi li avevamo conosciuti. Il terremoto politico e psicologico determinato dai risultati di quel voto e dagli eventi dei mesi successivi ci hanno dato ampiamente ragione. La ridistribuzione dei pesi elettorali ma soprattutto le vicende interne ai due più grandi partiti di maggioranza stanno a dimostrare che i tempi ed i modi della crisi e della trasformazione sono ormai rapidi e fragorosi. Quello che ancora resta drammaticamente incerto sono le prospettive.

Mafia e politica
Se il nuovo anno inizia all'insegna dell'arresto di uno dei presunti capi di «Cosa nostra», quello trascorso ci ha mostrato altri grandi segnali di rottura di vecchi patti ed alleanze. Clamorose stragi e tanti pentiti che hanno cominciato a dare contorni chiari a quanto, anche qui, tutti in cuor loro sapevano: il legame profondo che esiste tra la mafia, la politica, i suoi uomini, le sue strutture; fino ad interessare importanti organi dello Stato. Anche chi preferiva non sapere, far finta di non sapere, chi non credeva ora è davanti a fatti evidenti, a collegamenti resi espliciti: tutti i tabù sono caduti o stanno cadendo. Anche in questo caso si tratta di poteri che non lasceranno facilmente il campo e c'è da temere che prima che essi cedano ci verrà di nuovo esibito tutto il campionario della provocazione e del terrore.

Ustica
Pezzetto su pezzetto, insieme ai relitti dell'aereo che sembrano non finire mai, omicidio dopo omicidio (in questi giorni è stato ucciso l'undicesimo fra i testimoni chiave morti in circostanze misteriose), brandelli di verità si sono accumulati durante lo scorso anno. Molti sono gli scenari possibili tra quelli proposti e forse non sapremo mai qual è quello vero. Ma alcune cose sono ormai inoppugnabilmente certe: tutte le ipotesi conducono ad un quadro di scontro militare ed a complicità internazionali i cui responsabili si trovavano e, verosimilmente, si trovano ai vertici degli apparati politico-militari del nostro Paese e di quelli dei suoi alleati. E che il segreto di Ustica racchiude anche i segreti di molti altri misteri nazionali, quelli per cui molte vite sono state distrutte e molti capri espiatori hanno ingiustamente pagato.

Colonizzazioni umanitarie
Mentre scriviamo la follia di Bush sta tentando di lasciare una traccia indelebile del suo passaggio sfruttando le ultime ore di potere per riaccendere una miccia nel Golfo. Non ci sono stati dati segni di altrettanta «sensibilità» per le vicende di popoli afflitti da catastrofi belliche e politiche che pure sono stati drammaticamente protagonisti nel '92. La guerra in corso in Jugoslavia, che rischia sempre di più di estendersi a tutti i Balcani, si svolge da mesi con una crudeltà inaudita sotto gli occhi inerti e complici della comunità internazionale. L'ONU che è stata così pronta ad affidare agli USA il comando della più grande mobilitazione militare della storia contro Saddam, si è lasciata abbattere elicotteri, si è lasciata uccidere uomini, è arrivata al punto di lasciar impunemente prelevare ed uccidere un'alta autorità della repubblica di Bosnia che viaggiava su di un proprio automezzo; soprattutto lascia che migliaia di civili vengano uccisi nelle quotidiane operazioni di «pulizia etnica».
Eppure quella stessa comunità internazionale interviene, secondo il nuovo principio della «ingerenza umanitaria» in Somalia. Tardivamente interviene nel caos provocato dalle precedenti «ingerenze politiche» dell'Occidente, ed in primo luogo dell'Italia, con grande spiegamento di mezzi, di armi e di tecnologia. Viene da chiedersi: perché tanto altruismo, tanta voglia di intervento nel Golfo e nel Corno d'Africa, contro tanta inerzia nei Balcani? Forse perché nei nuovi equilibri del dopo Jalta l'area geopolitica che ruota intorno all'Arabia rientra negli interessi americani, non così quella della ex-Jugoslavia e che anzi una zona di tensione a ridosso della nuova Europa garantisce gli USA nel proprio primato mondiale? O forse più semplicemente è vero quanto alcune fonti hanno rivelato, che cioè tecnici americani avrebbero riscontrato presenza di giacimenti petroliferi vicino a Mogadiscio?
 

Umberto Croppi

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