Verso qualche scelta
comune
"Tabula Rasa" ha ormai dimostrato di saper durare ed è riuscita sin qui a
svolgere un'utile funzione di collegamento e stimolo. È quindi il tempo di
chiarirne meglio i lineamenti ed i compiti. Questa è l'indicazione che ci siamo
data, tra i «redattori» in un recente incontro, un momento di chiarificazione
che ci ha consentito di verificare le rispettive posizioni e di arrivare a
meglio definire una vera linea politica del giornale.
Una nuova fase
È dunque una nuova fase quella che si apre con questo numero. Una delle
caratteristiche del nostro foglio è rappresentata dalla più ampia apertura anche
a contributi diversi, la totale libertà, ed a questa sua specificità non si
intende rinunciare. Tuttavia è ormai apparso chiaro che, maturate e valutate
affinità e differenze, un confine di demarcazione editoriale chiaro andava posto
tra le posizioni che esprimono una indicazione collettiva e quelle che rientrano
in uno spazio di dibattito. Non fare questa scelta avrebbe, alla lunga, portato
alla confusione delle lingue, privandoci anche di uno strumento comprensibile di
proposizione. Non si tratta certo di farne l'organo ufficiale di qualcuno o
qualcosa ma semplicemente individuare un terreno comune di intesa tra persone
che pure hanno fatto scelte diverse. Così dopo aver riepilogato sinteticamente
gli elementi comuni, i punti di non ritorno, saremo finalmente in grado di
fornire alcune indicazioni in positivo, alcuni stimoli per una azione politica
che non sia soltanto un conciliabolo di amici.
Cerchiamo di capirci
Ci siamo infatti accorti che alcuni riferimenti che ritenevamo scontati, per
averli ripetutamente esposti, per averli vissuti, non erano stati compresi o,
peggio, erano stati interpretati come posizioni tattiche, finzioni retoriche,
espedienti. No! Torniamo quindi a dire che ciò che ci siamo lasciati alle spalle
è ormai radicalmente un'altra cosa rispetto a quello che ognuno di noi è oggi.
Non c'è nessuna «area» cui fare astrattamente riferimento, non c'è nessuna
cultura, nessuna tradizione, non c'è nessun testo sacro. Non è più possibile per
noi il riferimento ad una comune, antica «visione del mondo», che, se pur c'è
stata, oggi, semplicemente non c'è più. Siamo uomini di questo tempo che con
questo tempo debbono misurarsi, tentando di dare risposte nuove a problemi che
sono nuovi. E quindi, per cominciare, nessun torcicollo, neanche polemico, verso
il MSI: ci sembra che ogni tanto riemergano eccessive attenzioni verso un mondo
politico a cui siamo appartenuti e da cui siamo oggi distanti anni-luce. Ma
neanche nessuna suggestione per formule culturali, ideologiche politiche che
provengono da un bagaglio che abbiamo abbandonato.
Quando dichiarammo di aver accettato il metodo della democrazia (pur senza
enfatizzazioni di segno opposto) intendevamo dire proprio quello che dicevamo:
la legittimazione ricevuta attraverso il consenso, il voto, il pluralismo, la
libertà, la dialettica maggioranza-minoranze. Nel farlo abbiamo bandito
qualsiasi posizione «organicistica» o «corporativista», abbiamo rinunciato a
quella retorica che, pur nella sua inanità, sottintendeva altri mondi, altri
sistemi, altre costruzioni. Quando chiarivamo definitivamente la nostra
posizione critica verso l'Occidente, la nostra posizione verso i popoli
mediterranei e le culture diverse, la nostra posizione solidarista nei confronti
dell'immigrazione, lo facevamo tagliando via intere porzioni di amici che fino
ad allora avevano condiviso parte del nostro cammino, in una confusione
giustificata dalle esigenze del contesto in cui ci muovevamo. Nessuna confusione
con le cosiddette posizioni «antimondialiste» così come sono state declinate da
noti settori della destra radicale.
Quando, nella politica di quei giorni, dicevamo no ad un disegno conservatore
(ancora fortemente operante) che trovava la sua massima espressione nell'allora
Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e sceglievamo di offrire le nostre
energie al nuovo che stava emergendo, facemmo una scelta di campo chiara ed
inequivocabile. Ancora una volta liberandoci dalla retorica priva di significato
secondo cui esiste un gruppetto di portatori di verità ed alternative e tutto il
resto è «sistema». Termine questo a cui abbiamo smesso di attribuire un
significato universale. Il sistema che ci interessa è quello del potere
democristiano, quello delle tangenti tanto per intenderci, e quel sistema è
crollato. Ma fuori di quel sistema c'erano e ci sono tante forze e tanta gente e
da quel sistema ci sono tanti altri che sono usciti o si accingono ad uscire.
Per venire con noi, come qualcuno dice? Per darci ragione? Per venire con chi?
Per dare ragione a chi? Ma siamo seri, cominciamo a fare i conti realisticamente
con la drammaticità di una situazione che richiede tutta la nostra umiltà e la
nostra intelligenza.
Così alcuni di noi hanno scelto di intrattenere questo colloquio collettivo
attraverso un impegno di tipo esclusivamente culturale, altri (e tra questi il
sottoscritto) hanno invece creduto di dover continuare ad agire sul piano della
politica, scegliendo strade e collocazioni diverse ma che noi continuiamo a
ritenere compatibili. E qui un altro equivoco da chiarire: se io ho aderito alla
Rete di Orlando, Donnici al Movimento Federalista, altri magari al Partito
Radicale, ai Verdi, ai Popolari per la Riforma o ad Alleanza Democratica, non è
stata per alcuno una scelta «entristica», una sorta di infiltrazione, una
decisione tattica: è l'autonoma, individuale adesione (adesione vera, convinta)
a quello spezzone della politica che ognuno ha ritenuto più rispondente al
proprio modo di essere o di pensare. Qualche altro amico ci informa che, in
ambienti diversi, sta facendo circolare con successo le «nostre» (?) idee.
Auguri.
Non ci interessa, non è il nostro caso, noi non vogliamo evangelizzare nessuno,
riteniamo soltanto di poter mettere a disposizione il nostro povero bagaglio
personale, per cercare, insieme ad altri (quante altre volte ancora dovremo
ripeterlo per farci capire?) una nuova, inedita via d'uscita.
Lo spartiacque
Perché una delle poche certezze che abbiamo acquisito in questi anni è che
vecchi schemi, vecchie letture, vecchi schieramenti sono ormai tramontati,
inutili, pericolosi, i fronti su cui dislocarsi saranno inevitabilmente nuovi.
Non crediamo pertanto che lo schemino destra-sinistra, che ancora sull'ultimo
numero di "Tabularasa" traccia Pietrangelo Buttafuoco sia valido nei termini in
cui lui lo espone. Tuttavia proprio quella geometrica elencazione ci aiuta a
chiarire il nostro pensiero: presto un nuovo spartiacque si creerà e dai due
lati si troveranno molti degli elementi che Pietrangelo utilizza: si sappia, si
capisca (ed è un'altra cosa su cui ci troviamo d'accordo) che nell'emergere di
quella divisione noi saremo interamente dalla parte opposta rispetto a quella
che lui ci propone, si sappia anzi, che se quello schemino fosse per avventura
valido fin d'ora noi abbiamo scelto di stare dentro quella «palude consolatoria
dei piagnistei eco-socio-ideologici» e contro quella «destra» in cui «possano
convivere gli esteti dell'efficientismo europeo, i creativi del mercato
beneficiante... la civiltà del decoro borghese».
Proprio questo ci aiuta ad individuare gli ambiti delle compatibilità che ci
siamo dati per continuare a pensare di avere qualcosa da dire insieme, da fare
insieme.
Abbiamo più volte detto che il nuovo, i modi del nuovo, le sue soluzioni, non
hanno ancora preso forma, ma che esistono forze che in quella direzione si
stanno muovendo e con le quali è possibile collaborare. Tra queste si aggirano
personaggi nuovi, semi-nuovi, o addirittura vecchi; non è questo il problema, il
nostro non è un giudizio morale ma politico: i processi rivoluzionari vengono,
per necessità, iniziati da chi c'è nel momento in cui cominciano. Sono gli
eventi stessi che faranno giustizia e che travolgeranno gli opportunisti, i
trasformisti, e con essi anche qualche innocente. Ciò che conta è che il
processo si avvii. Compatibili, dunque, a questa nostra comune visione riteniamo
le opzioni verso la Rete, i Verdi, i Radicali, il Movimento Federalista e quello
Referendario. Schieramenti che hanno forti aree di differenziazione reciproca ma
che si muovono, secondo noi, nel solco di una cosciente esigenza di transizione.
Riteniamo, al contrario, fortemente incompatibile l'adesione ai partiti che
hanno costituito il fondamento sistemico, strutturale, culturale del regime che
crolla. Come distanti, troppo distanti, avvertiamo le posizioni della Lega che,
pur raccogliendo istanze e tendenze popolari comuni al fronte del rinnovamento,
le traducono poi in una politica che si iscrive nel fronte del conservatorismo
culturale, del qualunquismo, dell'egoismo.
Non ho inteso con questo breve elenco dare benedizioni o scomuniche, attribuire
patenti, ho solo cercato di riassumere i cardini minimi su cui si è verificata
una base di omogeneità. È un riepilogo che ci consentirà da un lato di chiarire
finalmente, anche su queste pagine, il significato delle nostre scelte
individuali, uscendo dal pudore che ci eravamo sin qui imposti, dall'altro di
poter affrontare, parlando a nome del giornale, alcuni argomenti in maniera
positiva e propositiva, invitando, come si è detto, all'azione.
I referendum ed il cambiamento
Ed il primo di questi argomenti è quello relativo ai referendum su cui, salvo
imprevisti, saremo chiamati a votare nella prossima primavera. I referendum
saranno parecchi e differenti tra loro. Possiamo comunque dire, e torneremo più
dettagliatamente sull'argomento, di essere d'accordo su ciascuno di essi.
Riteniamo in particolare che, anche per il momento particolare in cui si
collocano, il cambiamento in senso uninominale del sistema elettorale e la
elezione diretta delle maggiori cariche, comporteranno un tale shock del sistema
politico italiano da determinare, nell'immediato, una trasformazione di portata
storica. Riteniamo infatti che i timori per un rafforzamento delle forze
storiche di governo a svantaggio delle opposizioni siano infondati e dettati
dalla paura e dagli interessi di bottega di formazioni ormai rese insignificanti
dalla storia. Intanto la trasformazione dei meccanismi di controllo che hanno
sostenuto gli equilibri interni ad ogni partito minerà definitivamente i residui
di stabilità degli apparati, facendo saltare gli schemi che ne hanno garantito
l'esistenza. Vi sarà poi l'effetto della necessità di accorpamenti e coalizioni
nuove che porterà allo scioglimento degli equivoci che hanno creato una
dialettica finta e fuorviante, ridando vigore e ruolo ad un genuino rapporto tra
governo ed opposizione. Ma se anche avessimo avuto obiezioni o perplessità per
qualcuno dei singoli quesiti vi è un aspetto non secondario, già verificato con
il risultato del referendum per la preferenza singola, che ci avrebbe, comunque,
indotto ad assumere questa posizione. L'istituto referendario si è andato
configurando nel nostro Paese come una occasione per dare indicazioni ed
imprimere svolte ben superiori alla portata stessa della domanda proposta,
spesso parziale e difficilmente comprensibile per la sua natura abrogativa. Così
quando ci si espresse contro il nucleare, i quesiti posti agli elettori erano di
natura particolare e parziale, ciò non di meno l'evidente significato di quel
voto era di una opposizione totale alla scelta nucleare, tanto da far archiviare
definitivamente un progetto che pur era sostenuto dai più importanti potentati
economici internazionali.
Al di là, quindi, delle singole, tecniche, domande contenute sulle schede,
troppo abbondanti e troppo complesse per essere dettagliatamente comprese dagli
elettori, il risultato vero che sortirà dalle urne sarà quello di conforto o di
rigetto globale dell'attuale sistema, degli attuali partiti, delle loro classi
dirigenti. Se vinceranno i no si avrà un doloroso prolungamento dell'agonia, con
piccoli aggiustamenti, nel segno di un disperato continuismo. Se vinceranno i
sì, avremo il sicuro azzeramento dell'attuale modello e, solo allora, potrà
avviarsi quella fase costituente che detterà le nuove regole, che formerà i
nuovi modelli e le nuove classi politiche ben oltre il ri-modellamento imposto
dagli articoli abrogativi.
È nel suo significato complessivo, simbolico, che dobbiamo valutare e cogliere
l'occasione dei referendum, impegnandoci tutti per favorirne un esito positivo.
È il più grande scontro politico nell'Italia del dopoguerra, ma è anche il più
politico degli scontri. È una battaglia, la prima per quanto ci riguarda, in cui
ci impegniamo ed invitiamo all'impegno quanti ci stanno seguendo su queste
colonne. È la prima occasione di verifica concreta del nuovo, comune, impegno
politico che abbiamo in questi anni ricercato.
Umberto
Croppi
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