«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 2 - 15 Marzo 1993

 

Verso qualche scelta comune

 


"Tabula Rasa" ha ormai dimostrato di saper durare ed è riuscita sin qui a svolgere un'utile funzione di collegamento e stimolo. È quindi il tempo di chiarirne meglio i lineamenti ed i compiti. Questa è l'indicazione che ci siamo data, tra i «redattori» in un recente incontro, un momento di chiarificazione che ci ha consentito di verificare le rispettive posizioni e di arrivare a meglio definire una vera linea politica del giornale.

Una nuova fase
È dunque una nuova fase quella che si apre con questo numero. Una delle caratteristiche del nostro foglio è rappresentata dalla più ampia apertura anche a contributi diversi, la totale libertà, ed a questa sua specificità non si intende rinunciare. Tuttavia è ormai apparso chiaro che, maturate e valutate affinità e differenze, un confine di demarcazione editoriale chiaro andava posto tra le posizioni che esprimono una indicazione collettiva e quelle che rientrano in uno spazio di dibattito. Non fare questa scelta avrebbe, alla lunga, portato alla confusione delle lingue, privandoci anche di uno strumento comprensibile di proposizione. Non si tratta certo di farne l'organo ufficiale di qualcuno o qualcosa ma semplicemente individuare un terreno comune di intesa tra persone che pure hanno fatto scelte diverse. Così dopo aver riepilogato sinteticamente gli elementi comuni, i punti di non ritorno, saremo finalmente in grado di fornire alcune indicazioni in positivo, alcuni stimoli per una azione politica che non sia soltanto un conciliabolo di amici.

Cerchiamo di capirci
Ci siamo infatti accorti che alcuni riferimenti che ritenevamo scontati, per averli ripetutamente esposti, per averli vissuti, non erano stati compresi o, peggio, erano stati interpretati come posizioni tattiche, finzioni retoriche, espedienti. No! Torniamo quindi a dire che ciò che ci siamo lasciati alle spalle è ormai radicalmente un'altra cosa rispetto a quello che ognuno di noi è oggi. Non c'è nessuna «area» cui fare astrattamente riferimento, non c'è nessuna cultura, nessuna tradizione, non c'è nessun testo sacro. Non è più possibile per noi il riferimento ad una comune, antica «visione del mondo», che, se pur c'è stata, oggi, semplicemente non c'è più. Siamo uomini di questo tempo che con questo tempo debbono misurarsi, tentando di dare risposte nuove a problemi che sono nuovi. E quindi, per cominciare, nessun torcicollo, neanche polemico, verso il MSI: ci sembra che ogni tanto riemergano eccessive attenzioni verso un mondo politico a cui siamo appartenuti e da cui siamo oggi distanti anni-luce. Ma neanche nessuna suggestione per formule culturali, ideologiche politiche che provengono da un bagaglio che abbiamo abbandonato.
Quando dichiarammo di aver accettato il metodo della democrazia (pur senza enfatizzazioni di segno opposto) intendevamo dire proprio quello che dicevamo: la legittimazione ricevuta attraverso il consenso, il voto, il pluralismo, la libertà, la dialettica maggioranza-minoranze. Nel farlo abbiamo bandito qualsiasi posizione «organicistica» o «corporativista», abbiamo rinunciato a quella retorica che, pur nella sua inanità, sottintendeva altri mondi, altri sistemi, altre costruzioni. Quando chiarivamo definitivamente la nostra posizione critica verso l'Occidente, la nostra posizione verso i popoli mediterranei e le culture diverse, la nostra posizione solidarista nei confronti dell'immigrazione, lo facevamo tagliando via intere porzioni di amici che fino ad allora avevano condiviso parte del nostro cammino, in una confusione giustificata dalle esigenze del contesto in cui ci muovevamo. Nessuna confusione con le cosiddette posizioni «antimondialiste» così come sono state declinate da noti settori della destra radicale.
Quando, nella politica di quei giorni, dicevamo no ad un disegno conservatore (ancora fortemente operante) che trovava la sua massima espressione nell'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e sceglievamo di offrire le nostre energie al nuovo che stava emergendo, facemmo una scelta di campo chiara ed inequivocabile. Ancora una volta liberandoci dalla retorica priva di significato secondo cui esiste un gruppetto di portatori di verità ed alternative e tutto il resto è «sistema». Termine questo a cui abbiamo smesso di attribuire un significato universale. Il sistema che ci interessa è quello del potere democristiano, quello delle tangenti tanto per intenderci, e quel sistema è crollato. Ma fuori di quel sistema c'erano e ci sono tante forze e tanta gente e da quel sistema ci sono tanti altri che sono usciti o si accingono ad uscire. Per venire con noi, come qualcuno dice? Per darci ragione? Per venire con chi? Per dare ragione a chi? Ma siamo seri, cominciamo a fare i conti realisticamente con la drammaticità di una situazione che richiede tutta la nostra umiltà e la nostra intelligenza.
Così alcuni di noi hanno scelto di intrattenere questo colloquio collettivo attraverso un impegno di tipo esclusivamente culturale, altri (e tra questi il sottoscritto) hanno invece creduto di dover continuare ad agire sul piano della politica, scegliendo strade e collocazioni diverse ma che noi continuiamo a ritenere compatibili. E qui un altro equivoco da chiarire: se io ho aderito alla Rete di Orlando, Donnici al Movimento Federalista, altri magari al Partito Radicale, ai Verdi, ai Popolari per la Riforma o ad Alleanza Democratica, non è stata per alcuno una scelta «entristica», una sorta di infiltrazione, una decisione tattica: è l'autonoma, individuale adesione (adesione vera, convinta) a quello spezzone della politica che ognuno ha ritenuto più rispondente al proprio modo di essere o di pensare. Qualche altro amico ci informa che, in ambienti diversi, sta facendo circolare con successo le «nostre» (?) idee. Auguri.
Non ci interessa, non è il nostro caso, noi non vogliamo evangelizzare nessuno, riteniamo soltanto di poter mettere a disposizione il nostro povero bagaglio personale, per cercare, insieme ad altri (quante altre volte ancora dovremo ripeterlo per farci capire?) una nuova, inedita via d'uscita.

Lo spartiacque
Perché una delle poche certezze che abbiamo acquisito in questi anni è che vecchi schemi, vecchie letture, vecchi schieramenti sono ormai tramontati, inutili, pericolosi, i fronti su cui dislocarsi saranno inevitabilmente nuovi. Non crediamo pertanto che lo schemino destra-sinistra, che ancora sull'ultimo numero di "Tabularasa" traccia Pietrangelo Buttafuoco sia valido nei termini in cui lui lo espone. Tuttavia proprio quella geometrica elencazione ci aiuta a chiarire il nostro pensiero: presto un nuovo spartiacque si creerà e dai due lati si troveranno molti degli elementi che Pietrangelo utilizza: si sappia, si capisca (ed è un'altra cosa su cui ci troviamo d'accordo) che nell'emergere di quella divisione noi saremo interamente dalla parte opposta rispetto a quella che lui ci propone, si sappia anzi, che se quello schemino fosse per avventura valido fin d'ora noi abbiamo scelto di stare dentro quella «palude consolatoria dei piagnistei eco-socio-ideologici» e contro quella «destra» in cui «possano convivere gli esteti dell'efficientismo europeo, i creativi del mercato beneficiante... la civiltà del decoro borghese».
Proprio questo ci aiuta ad individuare gli ambiti delle compatibilità che ci siamo dati per continuare a pensare di avere qualcosa da dire insieme, da fare insieme.
Abbiamo più volte detto che il nuovo, i modi del nuovo, le sue soluzioni, non hanno ancora preso forma, ma che esistono forze che in quella direzione si stanno muovendo e con le quali è possibile collaborare. Tra queste si aggirano personaggi nuovi, semi-nuovi, o addirittura vecchi; non è questo il problema, il nostro non è un giudizio morale ma politico: i processi rivoluzionari vengono, per necessità, iniziati da chi c'è nel momento in cui cominciano. Sono gli eventi stessi che faranno giustizia e che travolgeranno gli opportunisti, i trasformisti, e con essi anche qualche innocente. Ciò che conta è che il processo si avvii. Compatibili, dunque, a questa nostra comune visione riteniamo le opzioni verso la Rete, i Verdi, i Radicali, il Movimento Federalista e quello Referendario. Schieramenti che hanno forti aree di differenziazione reciproca ma che si muovono, secondo noi, nel solco di una cosciente esigenza di transizione. Riteniamo, al contrario, fortemente incompatibile l'adesione ai partiti che hanno costituito il fondamento sistemico, strutturale, culturale del regime che crolla. Come distanti, troppo distanti, avvertiamo le posizioni della Lega che, pur raccogliendo istanze e tendenze popolari comuni al fronte del rinnovamento, le traducono poi in una politica che si iscrive nel fronte del conservatorismo culturale, del qualunquismo, dell'egoismo.
Non ho inteso con questo breve elenco dare benedizioni o scomuniche, attribuire patenti, ho solo cercato di riassumere i cardini minimi su cui si è verificata una base di omogeneità. È un riepilogo che ci consentirà da un lato di chiarire finalmente, anche su queste pagine, il significato delle nostre scelte individuali, uscendo dal pudore che ci eravamo sin qui imposti, dall'altro di poter affrontare, parlando a nome del giornale, alcuni argomenti in maniera positiva e propositiva, invitando, come si è detto, all'azione.

I referendum ed il cambiamento
Ed il primo di questi argomenti è quello relativo ai referendum su cui, salvo imprevisti, saremo chiamati a votare nella prossima primavera. I referendum saranno parecchi e differenti tra loro. Possiamo comunque dire, e torneremo più dettagliatamente sull'argomento, di essere d'accordo su ciascuno di essi. Riteniamo in particolare che, anche per il momento particolare in cui si collocano, il cambiamento in senso uninominale del sistema elettorale e la elezione diretta delle maggiori cariche, comporteranno un tale shock del sistema politico italiano da determinare, nell'immediato, una trasformazione di portata storica. Riteniamo infatti che i timori per un rafforzamento delle forze storiche di governo a svantaggio delle opposizioni siano infondati e dettati dalla paura e dagli interessi di bottega di formazioni ormai rese insignificanti dalla storia. Intanto la trasformazione dei meccanismi di controllo che hanno sostenuto gli equilibri interni ad ogni partito minerà definitivamente i residui di stabilità degli apparati, facendo saltare gli schemi che ne hanno garantito l'esistenza. Vi sarà poi l'effetto della necessità di accorpamenti e coalizioni nuove che porterà allo scioglimento degli equivoci che hanno creato una dialettica finta e fuorviante, ridando vigore e ruolo ad un genuino rapporto tra governo ed opposizione. Ma se anche avessimo avuto obiezioni o perplessità per qualcuno dei singoli quesiti vi è un aspetto non secondario, già verificato con il risultato del referendum per la preferenza singola, che ci avrebbe, comunque, indotto ad assumere questa posizione. L'istituto referendario si è andato configurando nel nostro Paese come una occasione per dare indicazioni ed imprimere svolte ben superiori alla portata stessa della domanda proposta, spesso parziale e difficilmente comprensibile per la sua natura abrogativa. Così quando ci si espresse contro il nucleare, i quesiti posti agli elettori erano di natura particolare e parziale, ciò non di meno l'evidente significato di quel voto era di una opposizione totale alla scelta nucleare, tanto da far archiviare definitivamente un progetto che pur era sostenuto dai più importanti potentati economici internazionali.
Al di là, quindi, delle singole, tecniche, domande contenute sulle schede, troppo abbondanti e troppo complesse per essere dettagliatamente comprese dagli elettori, il risultato vero che sortirà dalle urne sarà quello di conforto o di rigetto globale dell'attuale sistema, degli attuali partiti, delle loro classi dirigenti. Se vinceranno i no si avrà un doloroso prolungamento dell'agonia, con piccoli aggiustamenti, nel segno di un disperato continuismo. Se vinceranno i sì, avremo il sicuro azzeramento dell'attuale modello e, solo allora, potrà avviarsi quella fase costituente che detterà le nuove regole, che formerà i nuovi modelli e le nuove classi politiche ben oltre il ri-modellamento imposto dagli articoli abrogativi.
È nel suo significato complessivo, simbolico, che dobbiamo valutare e cogliere l'occasione dei referendum, impegnandoci tutti per favorirne un esito positivo. È il più grande scontro politico nell'Italia del dopoguerra, ma è anche il più politico degli scontri. È una battaglia, la prima per quanto ci riguarda, in cui ci impegniamo ed invitiamo all'impegno quanti ci stanno seguendo su queste colonne. È la prima occasione di verifica concreta del nuovo, comune, impegno politico che abbiamo in questi anni ricercato.
 

Umberto Croppi

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