«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 2 - 15 Marzo 1993

 

Fino a farsi male

 

 

Con tutto quello che sta accadendo in questi giorni ed in queste ore, parlare del MSI-DN e dell'area politica ad esso contigua può sembrare incongruo: anzi, lo è. Mentre scriviamo giunge notizia delle dimissioni di due ministri della Repubblica, De Lorenzo e Goria, che nessuno rimpiangerà. Si discute se e fino a quando il Governo Amato potrà farcela; la credibilità internazionale del Paese è a pezzi, come la moneta; le Istituzioni franano giorno dopo giorno lasciando cumuli di macerie fumanti; Tangentopoli continua a registrare raffiche di arresti e di avvisi di garanzia; i magistrati lanciano preoccupati allarmi; il mondo politico è come inebetito e su tutto pende -come una spada di Damocle- una situazione economica e sociale divenuta ormai esplosiva. Sono scenari che non promettono nulla di buono e sui quali occorre che si affrettino ad agire le intelligenze e le sensibilità più acute ed illuminate prima che gli avvenimenti travolgano ogni cosa. Di questo ci piacerebbe scrivere e discutere.
Senonché la lettura di una rivista aperta ad ogni contributo di pensiero, qual è "Tabularasa", lascia a volte apparire il pur utile e prezioso dibattito come la solita, sterile, polemica tutta interna a quell'area politica, rispetto alla quale l'incompatibilità è definitiva. Ne abbiamo parlato, in un recente incontro a Lido di Camaiore, convenendo che fosse necessario, d'ora in avanti, rendere più netto il confine tra la linea della rivista e le rispettabili opinioni di amici, collaboratori e, se del caso, degli stessi componenti il Comitato di redazione. Ecco perché, senza particolare entusiasmo, proviamo a rimisurare le distanze siderali che ci separano dal partito guidato dall'on. Fini, nelle sue varie versioni ed articolazioni solo apparentemente conflittuali. Può darsi che qualcuno di noi -e chi scrive è sicuramente tra questi- abbia estremizzato il messaggio-testamento di Beppe Niccolai. Può darsi che con quel «farsi male» Beppe intendesse sollecitare la discussione ed il confronto all'interno dell'area politica di appartenenza sempre più pigra e soddisfatta delle proprie parole d'ordine: che fosse, cioè, l'auspicio di una nuova sintesi piuttosto dell'inevitabile frattura. Può darsi che -non rassegnato all'idea di un partito zeppo di metastasi epperciò incurabile- egli desiderasse affondare il bisturi nel tessuto tumorale nella speranza di un'improbabile guarigione. Può darsi, pertanto, che scindendo i propri incerti destini da quelli del MSI-DN -in quel Comitato centrale del luglio 1991, all'Ergife- l'inquieto gruppo di eretici sia davvero andato oltre; e che la spinta, anche emotiva, dei grandi mutamenti che si erano nel frattempo verificati nel mondo -e che continuano ad incalzare!- sia stata decisiva. (Basti ricordare quanta parte vi abbiano avuto i deliberati del partito in ordine alla guerra nel Golfo Persico, strenuamente ed inutilmente osteggiati da quella che gli osservatori battezzarono subito la corrente del Golfo del MSI-DN!) Può darsi, altroché!
Di certo le scelte compiute dalla covata (l'immagine felicissima è del prof. Bernardi Guardi) e le decisioni assunte in conseguenza di esse non erano affatto l'ennesima finzione giocata in un ambiente che le finte contrapposizioni era abituato a sopportare, al punto di provocarle quando il contrasto tra le diverse anime interne sembrava prossimo alla separazione.
Del resto, gli avvenimenti, le contingenze, perché no?, la Storia avevano già consegnato a quel farsi male significati e valenze ben più complessi e radicali, sicché l'azzeramento, la tabularasa, il sentirsi già dentro un percorso ed un impegno ulteriori diventavano tappe davvero obbligate. Ci siamo fatti male!... per essere finalmente fuori, in mare aperto: per discutere e dibattere, per metterci in discussione.
I ricordi personali di quei giorni rimandano a sentimenti di dolore, di rabbia, persino di paura. Ma non di pentimento o di nostalgia. Come un'ansia liberatoria e catartica che ci siamo portata dietro per lungo tempo, durante i giorni delle molte e penose separazioni.
Ci siamo fatti male!... per essere liberi dalle finzioni congressuali, dalle squallide liturgie elettorali, da apparati e nomenclature, da ambiguità e compromessi; dal patetico impegno di tesserare mogli e suocere, vivi e morti, per il bene della patria. (A proposito: com'era lucida e tempestiva l'intuizione che i partiti avessero esaurito la propria funzione e che bisognava lavorare alla costruzione di nuovi soggetti politici!) Ci siamo fatti male!... che non se ne poteva più delle schermaglie parolaie tra la finta opposizione e la finta maggioranza di un finto movimento sociale che continuava a fingere di opporsi nientedimeno che al sistema, quello vero, salvo poi correre in suo aiuto ad ogni difficoltà, ad ogni soffiar di vento: come in queste settimane, ringhiando a difesa di leggi elettorali grazie alle quali una ventina tra partiti e partitini e qualche decina di migliaia di ladroni hanno potuto succhiare il sangue dell'intera comunità nazionale. Un pirandelliano gioco delle parti.
E se vale per il MSI-DN, vale per la CISNaL. Con buona pace dell'amico Landolfi che inseguendo l'utopia nobilissima -che era di Beppe ed in qualche misura è nostra- di un «socialismo» oltre le scissioni (ma non bisogna prima distruggere le forme attuali?) coglie nella CISNaL aspetti culturali ed esperienze individuali in sintonia con l'eredità del sindacalismo rivoluzionario dimenticando, per fortunato difetto di frequentazione, la stragrande maggioranza di «bottegai, diventati più bottegai di quelli che si vuoi combattere».
Nessun risentimento, per carità. Neppure quando, nelle sere dell'amarcord innaffiate di vino rosso, capita di pensare a cosa poteva accadere se la covata l'avesse spuntata in quella impari disfida con burocrati e marpioni e le fosse riuscito di seppellire un partito-simulacro per rifondare, anzi per fondare -ex novo- un Movimento. Avremmo forse individuato per primi, e per tempo, il partito o l'alleanza che verrà. Pazienza, capita spesso che le intuizioni delle «minoranze» vengano scambiate per provocazioni. Invece, la verità era molto più comprensibile, addirittura banale: quel partito, cioè, non solo ci stava stretto, quanto non era più il nostro, non ci rappresentava più, si muoveva secondo logiche e percorsi esattamente contrari ai nostri.
Non poteva rappresentarci più un partito di destra, cocciutamente di destra; reazionario fino al midollo; conservatore dei propri e degli altrui privilegi; reaganiano, tatcheriano; filo-occidentale; rozzamente xenofobo e razzista. Un partito incapace d'interrogarsi su quello che gli accadeva intorno, votato alla pesca delle occasioni: tutto sommato, alle soglie del Terzo millennio, ancora fermo agli slogans degli Anni Settanta. No! non poteva rappresentarci davvero un partito che nel suo cossighismo denunciava -ed ancora denuncia!- una resistente vocazione al complotto, al golpismo, al revanscismo. Lasciamolo da parte 'u zu Cicciu! Semmai, cerchiamo di interrogarci meglio su quanto di torbido ed oscuro la Prima Repubblica si porterà fin alla imminente sepoltura. Così, almeno, capiremo le responsabilità di «zu Cicciu» e degli altri e, forse, la Seconda Repubblica non nascerà già marcia!
Sì. Ce ne siamo fatti di male!... per essere finalmente fuori: per incontrare l'altro, il nemico di ieri. Magari nella «palude consolatoria dei piagnistei eco-socio-ideologici». Oppure nella «forma aggiornata di circolo comunista». Oppure, ancora, in un «sanatorio plebeo». Che bello stringersi la mano! Che bello guardarsi in faccia senza schermi, né scherani! Dall'altra parte ci chiamano «alle armi» gli «esteti dell'efficientismo europeo» i «creativi del mercato beneficiante», gli sciasciani ed i conservatori.
Ci andremo alle armi, se sarà necessario. Naturalmente, senza finzioni. Fino a farsi male.
 

Beniamino Donnici

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