«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 2 - 15 Marzo 1993

 

Una sola parola, un solo sguardo, un solo onore

 


«La Sicilia ai siciliani, l'Italia al primo figlio di puttana che la vuole»
(Scritta apparsa a Catania)


«Chi nasce sbirro muore mafioso, chi nasce mafioso muore sbirro»
(Proverbio siciliano)

 


Non è un loden. È un mantello di lana rugosa. Si chiude al collo con un fermaglio lavorato a fuoco e a martello. Calza ai piedi un paio di stivaloni fabbricati su misura. Stivali che sono invincibili, ricavati da lenzuolini di cuoio ammorbidito dalla fatica delle mani. Poi, per chiudere l'icona del compimento antropologico, calzoni di stoffa rigida, stopposa, stinta. Un abito di fustagno, la camicia candida innaffiata di acqua e lavanda, la pelle levigata dalla pietra. Poi, la parola. Una sola parola, un solo sguardo, un solo onore. In un carretto intarsiato e colorato per la festa e la gloria del santo Giorgio «scannatore» di draghi, c'è stampato un rigo: «U voi pe'corna, l'omu pa'parola». Il bue si riconosce dalle corna, l'uomo si riconosce dalla parola.
La parola, l'uomo, l'onore. Sul taschino una coccarda giallo-rossa: i colori del separatismo siciliano. La nebbia sulle spalle, la notte davanti agli occhi, dentro le viscere la santa ferraglia dei paladini Orlando, Rinaldo, la bella Angelica, Carla Magnu.
Così vestivano i galantuomini di Sicilia, così nel passato, così nell'immaginazione.
«Una festa ci parve camminare per i calanchi delle montagne con i mitra a tracolla». Così dice "L'ultimo treno da Catania" di Silvano La Spina, un personaggio calato nell'avventura separatista. Per i calanchi delle montagne. Come i paladini della fede. Come i giovanotti di via Etnea. Per come erano i bravi picciotti delle montagne e dei paesi: fidati e lustrati di devozione.
Per un sogno accadde il separatismo. Con un incubo sparì. Cominciò sulle labbra dei giovani avanguardisti siciliani orfani di Mussolini. Una Sicilia libera e indipendente.
Piacque a tanti, piacque ai vecchi baroni dei circoli cittadini, piacque ai contadini, piacque agli uomini d'onore, ma piacque soprattutto ai giovani. Divampò come un fuoco d'estate. Dal centro dell'isola per raggiungere la costa. Usciva la vara del Cristo Risorto dal sagrato della chiesa con le tre dita della mano alzate e tutti gridavano: Trinacria!
La stessa Trinacria che stilizzata veniva stampata di notte sui portoni dei sottocapi clericali. Ancora sulle facciate dei circoli operai di muto soccorso affiora la scritta «viva la Sicilia indipendente».
Trinacria. La parola d'ordine della gioventù indipendentista siciliana. Ma il sogno lasciava il passo all'incubo. La mafia aveva imposto ai ragazzi siciliani le sue regole. Il 17 giugno del 1945 i carabinieri di Randazzo, guidati dal colonnello Gaetano Fatuzzo chiudevano definitivamente i conti con i separatisti con un conflitto a fuoco dove Canepa, il capo dell'esercito indipendentista, perdeva la vita. Arrivarono le amnistie e la concessione dell'autonomia regionale. Cambiò tutto e non cambiò nulla.
 

Dragonera

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