Immigrazione e
ammortizzatori sociali
Tra redattori ed intimi ci siamo visti in Versilia. Era da tempo che ne sentivo
il bisogno e sono convinto che la tappa può essere di quelle importanti, almeno
nei percorsi personali. Ci siamo detti soprattutto quanto siamo diversi. Questo
non è male.
Per chi parte dalla «Tabula Rasa» non avere modelli statici dovrebbe essere
ovvio.
Vorrei partire da una considerazione. Raccogliere fustelle delle vecchie
medicine è lecito per chi crede che ciò che per anni propose per curare non
fosse, forse, tutto adatto; ma non certo tutto da buttare. Ci sono ancora
crediti da riscuotere per avere invitato all'uso di quelle medicine. Lo dimostra
lo stato morale dell'Italia.
Però, per onestà, per passare dalla cassa dobbiamo prima essere privi di debiti.
Perché nessuno pensi che una volta riscosso il credito si possa non pagare il
debito. Durante la fase dell'incontro mi è piaciuto Umberto Croppi quando ha
riaffermato le sue idee sulla immigrazione; come, a fine anno sul nostro
giornale mi provocò sincera adesione Vito Errico quando parlò degli ebrei. È il
modo chiaro di porre la questione dei debiti. Le mezze parole, i ragionamenti
flebili lasciamoli, non servono ai tempi nuovi.
Così mi permetto di esprimere alcune considerazioni sulla immigrazione
extracomunitaria. Non sulla presenza di polacchi e russi, dato che questi uomini
dalla pelle bianca rischiano di far nascere simpatie quando ci vendono
cannocchiali, orologi e monete, ricordandoci i nostri trascorsi con le fogge
degli oggetti. La nostra società dovrà sempre di più confrontarsi con il diverso
di colore, di costumi e di religione. Non è certo pensabile innalzare il muro
d'Italia, che eviti, con nidi di mitragliatrici e campi minati, l'accesso alle
nostre coste. Anche perché quelle sono in vendita tutta l'estate e i panorami
israeliani non fanno parte dei pacchetti turistici.
Mi ha fatto sempre un po' orrore pensare che possano esistere la chiesa
cattolica, la sinagoga e la moschea sulla stessa piazza. Mi ricordano tanto la
New York delle guide turistiche. Non perché non vi possa essere coesistenza. È
panorama che noi europei ben conosciamo; è il panorama delle zone di confine.
Ben sappiamo come i confini dell'Europa, intesa come cultura cristiana, si siano
mossi negli ultimi 2000 anni dal Sud al Nord, dal Nord al Sud e viceversa.
L'orrore deriva dal fatto che le violente sovrapposizioni permettono raramente
sintesi; ciò che trionfa è il dato materiale, che è comunque il fatto immediato,
quotidiano. La società oggi ingerisce tutto velocemente. Non ha la capacità
antica di omogeneizzare le differenze dopo l'evento traumatico. Cristallizza le
differenze, emarginando chi soccombe e sublimando gli aspetti materiali ed
utilitaristici di ogni evento.
L'America delle tante religioni è una America atea. Che sostituisce spesso il
valore profondo delle religioni con una esternazione emotiva di nazionalismo
così ben rappresentato dal grande spreco di onori alla bandiera con cui ci
tediano i cronisti dagli USA.
La convivenza è così un fatto di convergenza fisica, che con i «quartieri
nazionali» viene abbondantemente smussata.
In Italia circola l'idea che gli extra-comunitari siano riserve inesauribili di
delinquenza. Lo pensavano anche gli inglesi d'Oltreoceano di fronte
all'immigrazione italiana. Non ho dubbi a dire che è largamente vero. Discuterei
sulla inesauribilità e sulle motivazioni di questa. Non ho dubbi a dire che oggi
non potrebbe essere altrimenti.
Il minimo comune denominatore dell'immigrazione è la povertà. In Italia l'arrivo
del turista giapponese può essere accompagnato dalla sindrome di Stendhal,
quella di un senegalese dal giramento di testa per fame. Chi vive in termini
economicamente marginali e si confronta improvvisamente con una società
opulenta, sicuramente ha freni inibitori labili.
È umano tendere ad ottenere il massimo, che però per l'immigrato coincide con
quello che altri hanno in abbondanza e senza cura tutti i giorni, con il minimo
sforzo. Si vuole manovalanza migliore per la malavita? È un fenomeno che forse
implica una naturale e, perché no, razziale malignità? Si risolve forse
allargando le carceri?
La realtà nuda e cruda è che gli immigrati aumenteranno e con essi i problemi
sociali. Sono sempre stato d'accordo che l'unico filtro possibile
all'immigrazione sia la soluzione dei problemi nei paesi d'origine. Però questa
è la soluzione temporalmente indefinita.
Cosa risponderebbe un italiano che allontanato dal processo produttivo, invece
di usufruire della cassa integrazione, si sentisse dire: «L'azienda ti
riassumerà l'anno prossimo, se la congiuntura economica lo permetterà». Io mi
incazzerei e non sono così sicuro dei miei freni inibitori. Non si possono
risolvere i problemi dell'immigrazione, dicendo di non entrare, tanto poi gli
occidentali penseranno ad insegnare a pescare ed arare nei luoghi d'origine;
beninteso quando la congiuntura economica internazionale lo permetterà.
Ci vuole l'ammortizzatore sociale. Il pericolo numero uno è che le comunità
straniere arrivino in Italia senza regole, se non quelle di mercato. Le parti
sono due, le regole debbono averle tutte e due. È necessario un quadro
legislativo, che accanto alla procedura di ingresso e permanenza, regoli anche
l'accoglienza. Chi viene in Italia ha famiglia e a questa deve comunque
corrispondere. Non si può non tenerne conto sul piano del congiungimento, né su
quello dello sfruttamento economico.
Ha identità culturale e religiosa e questo non deve essere ignorato. La politica
dell'accoglienza è l'ammortizzatore sociale. Il primo assunto di questa politica
è far vivere -per quanto è possibile- le regole d'origine, che costituiscono
sempre il freno inibitore a processi disgregativi.
Preservare la possibilità di esprimere l'identità religiosa e culturale è la
strada da perseguire; come è necessario non interrompere i vincoli con i
familiari e con la propria terra. Lo sviluppo dei luoghi di origine deve essere
l'obiettivo primario degli immigrati e noi dobbiamo assecondare questo spirito.
L'ammortizzatore sociale è fare sentire l'immigrato uomo, con la sua peculiarità
espressa.
È una prova per la nostra cultura politica sapere interpretare questi fatti. Mi
domando come si reagirebbe domani se si governasse, se queste riflessioni, che
mi sembrano semplicemente ragionevoli, non facessero parte della nostra cultura.
Oltre ai nidi di mitragliatrici sulle spiagge, che ricordo aver visto in
Israele, con il conseguente avvento della cultura del paese assediato, si
propone forse una riformulazione delle leggi razziali?
Gino
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