«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 2 - 15 Marzo 1993

 

Immigrazione e ammortizzatori sociali



Tra redattori ed intimi ci siamo visti in Versilia. Era da tempo che ne sentivo il bisogno e sono convinto che la tappa può essere di quelle importanti, almeno nei percorsi personali. Ci siamo detti soprattutto quanto siamo diversi. Questo non è male.
Per chi parte dalla «Tabula Rasa» non avere modelli statici dovrebbe essere ovvio.
Vorrei partire da una considerazione. Raccogliere fustelle delle vecchie medicine è lecito per chi crede che ciò che per anni propose per curare non fosse, forse, tutto adatto; ma non certo tutto da buttare. Ci sono ancora crediti da riscuotere per avere invitato all'uso di quelle medicine. Lo dimostra lo stato morale dell'Italia.
Però, per onestà, per passare dalla cassa dobbiamo prima essere privi di debiti. Perché nessuno pensi che una volta riscosso il credito si possa non pagare il debito. Durante la fase dell'incontro mi è piaciuto Umberto Croppi quando ha riaffermato le sue idee sulla immigrazione; come, a fine anno sul nostro giornale mi provocò sincera adesione Vito Errico quando parlò degli ebrei. È il modo chiaro di porre la questione dei debiti. Le mezze parole, i ragionamenti flebili lasciamoli, non servono ai tempi nuovi.
Così mi permetto di esprimere alcune considerazioni sulla immigrazione extracomunitaria. Non sulla presenza di polacchi e russi, dato che questi uomini dalla pelle bianca rischiano di far nascere simpatie quando ci vendono cannocchiali, orologi e monete, ricordandoci i nostri trascorsi con le fogge degli oggetti. La nostra società dovrà sempre di più confrontarsi con il diverso di colore, di costumi e di religione. Non è certo pensabile innalzare il muro d'Italia, che eviti, con nidi di mitragliatrici e campi minati, l'accesso alle nostre coste. Anche perché quelle sono in vendita tutta l'estate e i panorami israeliani non fanno parte dei pacchetti turistici.
Mi ha fatto sempre un po' orrore pensare che possano esistere la chiesa cattolica, la sinagoga e la moschea sulla stessa piazza. Mi ricordano tanto la New York delle guide turistiche. Non perché non vi possa essere coesistenza. È panorama che noi europei ben conosciamo; è il panorama delle zone di confine. Ben sappiamo come i confini dell'Europa, intesa come cultura cristiana, si siano mossi negli ultimi 2000 anni dal Sud al Nord, dal Nord al Sud e viceversa.
L'orrore deriva dal fatto che le violente sovrapposizioni permettono raramente sintesi; ciò che trionfa è il dato materiale, che è comunque il fatto immediato, quotidiano. La società oggi ingerisce tutto velocemente. Non ha la capacità antica di omogeneizzare le differenze dopo l'evento traumatico. Cristallizza le differenze, emarginando chi soccombe e sublimando gli aspetti materiali ed utilitaristici di ogni evento.
L'America delle tante religioni è una America atea. Che sostituisce spesso il valore profondo delle religioni con una esternazione emotiva di nazionalismo così ben rappresentato dal grande spreco di onori alla bandiera con cui ci tediano i cronisti dagli USA.
La convivenza è così un fatto di convergenza fisica, che con i «quartieri nazionali» viene abbondantemente smussata.
In Italia circola l'idea che gli extra-comunitari siano riserve inesauribili di delinquenza. Lo pensavano anche gli inglesi d'Oltreoceano di fronte all'immigrazione italiana. Non ho dubbi a dire che è largamente vero. Discuterei sulla inesauribilità e sulle motivazioni di questa. Non ho dubbi a dire che oggi non potrebbe essere altrimenti.
Il minimo comune denominatore dell'immigrazione è la povertà. In Italia l'arrivo del turista giapponese può essere accompagnato dalla sindrome di Stendhal, quella di un senegalese dal giramento di testa per fame. Chi vive in termini economicamente marginali e si confronta improvvisamente con una società opulenta, sicuramente ha freni inibitori labili.
È umano tendere ad ottenere il massimo, che però per l'immigrato coincide con quello che altri hanno in abbondanza e senza cura tutti i giorni, con il minimo sforzo. Si vuole manovalanza migliore per la malavita? È un fenomeno che forse implica una naturale e, perché no, razziale malignità? Si risolve forse allargando le carceri?
La realtà nuda e cruda è che gli immigrati aumenteranno e con essi i problemi sociali. Sono sempre stato d'accordo che l'unico filtro possibile all'immigrazione sia la soluzione dei problemi nei paesi d'origine. Però questa è la soluzione temporalmente indefinita.
Cosa risponderebbe un italiano che allontanato dal processo produttivo, invece di usufruire della cassa integrazione, si sentisse dire: «L'azienda ti riassumerà l'anno prossimo, se la congiuntura economica lo permetterà». Io mi incazzerei e non sono così sicuro dei miei freni inibitori. Non si possono risolvere i problemi dell'immigrazione, dicendo di non entrare, tanto poi gli occidentali penseranno ad insegnare a pescare ed arare nei luoghi d'origine; beninteso quando la congiuntura economica internazionale lo permetterà.
Ci vuole l'ammortizzatore sociale. Il pericolo numero uno è che le comunità straniere arrivino in Italia senza regole, se non quelle di mercato. Le parti sono due, le regole debbono averle tutte e due. È necessario un quadro legislativo, che accanto alla procedura di ingresso e permanenza, regoli anche l'accoglienza. Chi viene in Italia ha famiglia e a questa deve comunque corrispondere. Non si può non tenerne conto sul piano del congiungimento, né su quello dello sfruttamento economico.
Ha identità culturale e religiosa e questo non deve essere ignorato. La politica dell'accoglienza è l'ammortizzatore sociale. Il primo assunto di questa politica è far vivere -per quanto è possibile- le regole d'origine, che costituiscono sempre il freno inibitore a processi disgregativi.
Preservare la possibilità di esprimere l'identità religiosa e culturale è la strada da perseguire; come è necessario non interrompere i vincoli con i familiari e con la propria terra. Lo sviluppo dei luoghi di origine deve essere l'obiettivo primario degli immigrati e noi dobbiamo assecondare questo spirito. L'ammortizzatore sociale è fare sentire l'immigrato uomo, con la sua peculiarità espressa.
È una prova per la nostra cultura politica sapere interpretare questi fatti. Mi domando come si reagirebbe domani se si governasse, se queste riflessioni, che mi sembrano semplicemente ragionevoli, non facessero parte della nostra cultura. Oltre ai nidi di mitragliatrici sulle spiagge, che ricordo aver visto in Israele, con il conseguente avvento della cultura del paese assediato, si propone forse una riformulazione delle leggi razziali?
 

Gino Logli

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