«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 2 - 15 Marzo 1993

 

Dalla parte dei trascurati


 

Nel cielo celeste la luna falcata, faceva le corna ai pisani
e il firmamento apparve come un'immensa bandiera del Profeta:
— Dio dei cristiani, — disse Angiò mirandola — ma date in mattia?
Lorenzo Viani, "Angiò uomo d'acqua"


Sia permesso anche a me (alletterato alle Regie elementari), così come è stato concesso a Tano, il cugino di Dragonera, occupare uno spazio sulla vostra rivista. Mi è venuta voglia di speculare sull'articolo di Dragonera e Farfarello: «Sinistra? Destra? Nuovo?» In questo freddo cane, rintanato nel cuccio come un talpone, analizzo e decompongo. «Destra, civiltà del decoro borghese... Sinistra, sanatorio plebeo...» O che dittaggi son mai questi? O che si è dato il via agli esiliati nella torre di Babele? Voglio ritrovar il mi rinvengo e allora, a buio (tanto son nottivago) vo' sulla battima, alzo gli occhi al cielo e cerco la stella polare. Ecco, è là, al Nord. Da una parte il mare, potenza arcana; dall'altra le orride cinte dei monti.
A destra i terrazzani, i terragni, lulloroni senz'ossa, senza arte né parte che si ciban di cavallette e mettono in sequestro anche i pidocchi. Una combutta di tarpani dilupati grandi e grossi i cui rappresentanti stanno acconigliati fra i banchi di Montecitorio. Gentugliora da sette braccia al franco, col sangue inacquerito, quello scialito che deriva dalla lobbia di lardo e untume; leta nell'anima che non l'abboccherebbe neppure un cane affamato. Porci grugolanti nell'aria salata dal tanfo dello stabbio. Pesciari che t'appottignano pesce che puzza; macellari che t'appioppano osso a bizzeffe; vinai che ti rivogano vino cancarone; zozzai che ti ammollano robba di sottobanco da scorciarti la vita di mezzo secolo; caffeanti, che con un po' di fondiglio e acqua vita di Francia ti puliscan di brave sacche; pannaroli che t'affibbiano panno impasticciato di cenci, lana e stoppa, fazzoletti d'erba per dir seta. E in quell'abbaruffio, in quel po' po' di ravoglio, spurgo di natura da pestarsi in un mortaio e da darsi a beccare ai polli, una raccaglia di rubbapane t'impappina e t'abbonda la testa di discorsi. O come si fa ad essere tramescolati con codesta raschia dagli occhi di bove, che ad ogni soffio di libeccio scambia una mosca per leofante e un pruno una siepe?
A sinistra, dal mare, col sinibbio, avanzano schiere di trascurati, i visi scalpellati dai patimenti, mortificati dalle umiliazioni, flagellati dalle amaritudini. Come un bestiame sconsolo. Se gli levi di dosso il basto ne vedi le piaghe. Gente aggufita che porta dentro di sé tutto il bene e il male di questo mondo: la Bibbia, l'anarchia, il nichilismo, la scienza, la filosofia, la libertà, il colera, la febbre, la pazzia. È l'umanità che conosce il dolore, l'ira del mare, il furore delle tempeste, che nel grembo delle vele di fortuna e di speranza non potè imprigionare i venti onde tragittare sugli abissi.
Alle armi? Sì, alle armi, ma con le torme dei trascurati, degli sfiduciati, degli infelici. Con la poveraglia. Con i marami che favellano di antiche speranze e raccontano di accaduti che fanno aggricciare la pelle: — O fratelli vorrei che qui ai miei dittaggi fossero presenti i pagani, i protestanti, gli eresiarchi e gl'infedeli di Cristo, gli ebrei, per vederli cascare in ginocchioni... cose che farebbero intenerire i coccodrilli, i serpenti, i cani, i leopardi, le tigri e le pantere.
Son marami che dopo il naufragio del barco dell'est, aggranfiati a una stuzza — il delfino medesimo sarebbe in periglio —, con gli ondoni che occultano il cielo, si sentono risucchiati dall'imo e nell'ossa hanno il gelo della morte. Il caligo ha ormai ingollato cielo e mare tra un abbaglio di saette. È gente arcigna che vive nella Geenna. Aggelata dallo spavento, con la saliva virulenta come l'acqua del mare che gli sciambrotta per la bocca, con la testa pesante e fredda come il manigliotto dell'ancora, le gambe spiombanti come le pale dell'ancorotto, e gli orecchi trivellati dai molinelli dell'acque a guisa di conchiglie che risucchino il fondo del mare di cui sentono, così vicino, l'orrore.
Verso i marami — gli stirpati di questa società —, dimenticati da tutti, approda il mio sentimento di fraternità e di ribellione. E prima che il gioco resti, prima di agganghire, ne voglio fare di quelle che tre pelano un cane.
 

lo stirpato

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