«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 3 - 15 Maggio 1993

 

Settembre

 


Lilliput dement'io derido. O perché fin troppo avuto. Con un inizio volutamente nullo, si nobilita il proseguio, nel dire e nel non dire come un'impressione felicemente ispirata dal cuore.
Infatti siamo a Settembre, il mese dei colori. Qualcuno chiede scusa dei ritardi estivi: le ferie, le ferie. Altri si scusano della tristezza autunnale: con l'ingenuità del patema delicato di veloci fibrulle. Ma non vi dico e non vi conto che l'estate è finita e il sole dunque affretta il suo tramonto.
— Cosa potranno mai raccontare ai figli questi uomini benedetti se non riescono a dare un esempio di rettitudine, o dico io, un esempio di successo.
— Mio caro amico, ho finito di parlare da molti anni. Mi riesce solo di salutare, infatti la saluto.
E andò via.
Niente di meglio a questo punto, avendo evitato inutili discussioni. Il primo interlocutore aveva infatti un tono didascalico, qualcuno aggiunge puntiglioso, ma niente di meglio dunque perché troppo pesante sarebbe potuta diventare la delicata conversazione. Settembre volava quieto nonostante, quando il secondo interlocutore andò via. E Settembre portava con sé le promesse del futuro, come quando le agende fresche di stampa risvegliano in ognuno la voluttà del lavoro e quindi impegni: oggi quindici del mese tanto faccio ammenda del lavoro da fare e chiamo tìzio succube di sempronio affinchè decida il da farsi e venga appieno alle mie decisioni irrevocabili e impegnative per tutti, sebbene abbiasi impiego statale e perciò non aperto ad entusiasmi et initiatìve private. Ottimo Settembre dalle date chiare, scritte con nero inchiostro, memoria della buona condotta.
— Signora, ha mai notato che l'organo sessuale maschile in stato di riposo ha sempre un non so che di disapprovazione?
— È una citazione da Longanesi, suppongo.
— No, Ennio Flaiano.
— Tutti come lui dovremmo fare, i critici teatrali e critici di noi stessi; con la moglie dovevano navigare male (a quanto pare).
Pare e non pare, cantilena di affermazione e negazione, come dire se piove o non piove, se c'è il sole o la luna. Pare, pare. Senza poesia del delirio, senza parole e sangue, cum grano salis, in tutto il mistero del tutto.
Ancora addio ai piccoli monti e alle colline, col bianco delle nevi delle alpi, col verde degli occhi belli, col rosso dei tramonti siciliani, con tutto ciò diciamo addio, se tanto pare che nulla accada.
Addio, addio.
— Ma noi faccemmo la bandiera. Bianco, rosso e verde.
— E noi, baciamo la bandiera.
Gattopardi di stantio Libecchio, bruciati da ulcerose acidità, non vi dico e non vi conto, che tutto finisce fra le braccia di una tale.
— Ba, ba, baciami piccina sulla bo, bo, bocca piccolina.
— I miei occhi si sono innamorati dei tuoi.
Ma gli occhi non hanno memoria, come Settembre avrebbe potuto far capire: nessuna memoria, nessun colore, per nulla incline alla tiepida immagine.
— I miei occhi si sono innamorati dei tuoi.
— Non parlo, non voglio parlare, ti ascolto e basta.
Come Settembre ha fatto capire, solo gli occhi fanno la memoria, il colore. La notte nessun dorme. La notte di Settembre respira come un enorme animale inquietante, e le parole arrivano come i grani di un rosario: parole colorate di rossetto.
Una bomba bombarderà impietosa le fondamenta di questo palazzo venuto su molto male, molto brutto, molto inutile.
— Signorina avrebbe per caso del tritolo?
Una nave trascina la schiuma nell'azzurro perfetto del mare.

 

Pietrangelo Buttafuoco

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