«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 3 - 15 Maggio 1993

 

Il «nuovo» sa già di stantio


 

«Fatevi beffa di quelli che predicano la libertà,
non dico tutti ma ne eccettuo ben pochi;
perché in quasi tutti prepondera il rispetto dello interesse suo,
e sono pochissimi quelli che conoscono
quanto vaglia la gloria e l'onore»
Francesco Guicciardini


Forse, di veramente «nuovo», c'è soltanto l'azione di una parte della magistratura che ha riscoperto il «vecchio»: il suo dovere istituzionale. Per il resto, soltanto i media insistono nel lodare, in contemplazione estatica, i «nuovi» personaggi sottoposti a ritocco estetistico. E offrono alla società ciò che la società stessa oggi rappresenta e pretende: ipocrisia e vanità. L'uomo si consuma in una esistenza precaria, nel bisogno di essere stimolato di continuo con la novità; gli viene vietato ogni tentennamento o ripensamento che possa dargli capacità o possibilità di soffermarsi non solo sul presente e sul quotidiano, ma sulle sue volontà finali. Vive di sensazioni non sue, che gli precludono il pensiero. Guai se si azzarda ad esprimere la benché minima resistenza: un effluvio di parole ed immagini lo sommerge facendogli credere di essere una innaturale appendice dei circoli, salotti e logge che imperano. Obbligato a consumarsi nella «pace» edonistica somministrata da intellettuali senza radici, inseriti nel potere, cui tendono, anche, coloro che, pur di difendere alcuni privilegi camuffati come «princìpi», cedono proprio sui princìpi. Il compromesso. Un termine che si è voluto addirittura ammantare di nobiltà — dando magari una spolveratina al "!Principe" di Machiavelli.
Le prospettive sul futuro sono grame. Il nostro non è pessimismo, ma semplice e palpabile constatazione. Si dice sia doveroso concedere spazio ai giovani per rinnovare la società. Ma può davvero un mondo politico già vecchio nel momento in cui acquisiva le vantaggiose posizioni, rinunciarvi autonomamente? Ma davvero i giovani debbono piatire favori? Se veramente volessero, conquisterebbero i loro spazi anche a spintoni, con prepotenza e, perché no, anche con ferocia. Per dimostrare tutto il loro disprezzo verso i politici -senza distinzioni- che li hanno incamminati su strade dove incombono, tetre e buie, le lunghe ombre della valle del nulla. I giovani debbono dimostrare di essere sé stessi; non necessitano di «guide spirituali» con il parrucchino bianco; né di fonti battesimali che, l'«acquasanta» aspersa sulle loro teste, è stata fin troppa. È finito il tempo dei rampanti, dell'adulazione, dell'arrivismo che hanno visto i mediocri trasformarsi in geni; quando bastava l'assidua frequentazione di certi gruppi, dove carattere e sapere non erano richiesti, per entrare nel gioco. Oggi si aprono i sentieri dell'intelligenza non contaminata, costretta a fare i conti con gli imperativi della dura realtà: laddove si svolge la vita degli uomini, dove nulla vi è di «nuovo» se non lo svolgersi incessante degli accadimenti. Fallita la fabbrica delle illusioni, va ora smaltita l'ubriacatura delle astrazioni, delle parole, delle ideologie, delle formule, degli slogans. L'intelligenza e l'essere debbono riprendere il loro passo in comune. Altrimenti saremo costretti ad implorare un salutare salasso, un bagno di sangue. La società è talmente malata che forse questo può esser l'unico rimedio.
Dio non voglia...

a. c.

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