Sì, è un'altra Italia
Avevo già battuto il pezzo per questo numero, ma i tanti impegni della campagna
referendaria appena conclusa mi hanno distratto al punto di dimenticarlo in un
cassetto della scrivania, tra carte e appunti. Lo tiro fuori oggi, lo rileggo,
lo cestino: è già datato. In che tempi viviamo e che ingrata sorte tocca alle
riflessioni che ci sforziamo di fare: scavalcate da vicende e notizie che
incalzano a ritmi forsennati rendendo quasi tutto inattuale. Par di viaggiare
alla velocità della luce, nell'incredibile dimensione della relatività.
Tra l'altro, in quel pezzo, mi ero arrischiato in un'affettuosa polemica con il
prof. Bernardi Guardi circa un'analisi eccessivamente severa ed ingenerosa,
riportata in altra parte della rivista, relativa al periodo della militanza
missina dei promotori di "Tabula Rasa" ed alle scelte successivamente compiute,
ormai arcinote. Mi domando adesso: è davvero utile continuare a scrivere ed
accalorarsi per quelle scelte, per le motivazioni che le hanno sostenute, il
travaglio che le ha accompagnate? Quante volte ce le siamo ripetute queste cose?
Serve ancora a qualcosa rimestarvi dentro? Non basta la consapevolezza -da tutti
acquisita- che, comunque le si giudichi, esse furono dettate da nobiltà ed
onestà intellettuale, coerenti con impostazioni politiche sempre lealmente
espresse in ogni sede, a tutti i livelli, ad ogni decisivo passaggio della vita
di quel partito? Non basta sapere che dietro quelle scelte non vi fu calcolo, né
furbizia?
Eppoi: sarà che non ho capito nulla del fascismo o che, probabilmente, il
fascismo è stato un fenomeno talmente complesso e contraddittorio che chiunque
poteva abbeveratisi: eppure, andando via dal partito dell'on. Fini -spero con
stile, certamente rinunciando a non secondari vantaggi- non mi è sembrato di
esser improvvisamente diventato un antifascista. Ad esser sincero, pensavo di
averli lasciati dietro la porta che stavo per chiudere, gli antifascisti. Quanto
meno, che dietro quella porta restassero quanti, alle soglie del Terzo
Millennio, continuano a legare la propria sopravvivenza alla riesumazione, di
dicotomie ottocentesche: destra-sinistra, fascismo-antifascismo,
comunismo-anticomunismo.
Fuori, era già un altro mondo e bisognava recuperare in fretta la capacità di
sentire il Tempo, i suoi ritmi, le sue accelerazioni.
Metto un punto. Non ne posso più di questo ridondante ragionare su ciò che è
compiuto. Nel bene e nel male. Forse, al di là del bene e del male. Ho grande
rispetto per le opinioni dell'amico Mario dalle quali, ovviamente, dissento. E,
tuttavia, ritengo che -d'ora in avanti, e non solo tra noi!- bisognerà
polemizzare su questioni vere, concrete, attuali. Da queste cose si dovrà
partire per misurare differenze ed analogie, convergenze e divergenze, vicinanze
e distanze.
Non vi sono più chiese, partiti, steccati. Via le parole d'ordine e gli slogans.
Niente più alibi. Non più il comodo rifugio dei giacimenti ideologico-dottrinari
ai quali attingere sicurezza e certezze, risposte buone per ogni stagione. Da
questo momento, uomini e donne si confronteranno sulla qualità e sul tipo di
risposte che sapranno dare ai problemi della nostra società e di questo tempo,
tutti assai complessi, alcuni fino a ieri assolutamente sconosciuti. Quelle
risposte -e solo quelle- saranno il cemento delle nuove aggregazioni e polarità.
Gli insiemi di quelle risposte e delle intuizioni ad esse collegate diventeranno
le «ideologie» future. Quel che conta è sentirlo questo «big bang». Avere la
consapevolezza della grande opportunità offerta a generazioni cui il destino ha
riservato il compito di transitare dall'epoca della stagnazione e
dell'appiattimento a quella di mutamenti sconvolgenti che hanno i caratteri
delle autentiche rivoluzioni. Il 18 aprile, per come hanno rilevato i più
autorevoli osservatori politici internazionali, è nata un'altra Italia. Sì,
un'altra Italia.
Trenta milioni di cittadini di questo Paese dalle infinite contraddizioni e
dalle inesauribili risorse si sono finalmente e provvidamente destati da un
lungo letargo. La campagna elettorale, la kermesse televisiva, le demagogiche
strumentalizzazioni del fronte del No, i trasformismi sull'opposto versante, gli
ordini di scuderia... tutto inutile. La loro sentenza, durissima ed
inappellabile, gli italiani l'avevano bell'e stilata nella Camera di Consiglio
di coscienze improvvisamente ritrovate. Durante i mesi di tangentopoli, di
mafiopoli, dopo che -sollevato il coperchio- hanno veduto su che sorta di
verminaio abbiamo camminato per tanti lustri. E in quella Camera di Consiglio
tanti, ne sono certo, hanno riconosciuto le proprie responsabilità e complicità,
hanno chiesto perdono, si sono emendati.
Basta con i partiti. Vadano pure in malora. Via, via per sempre gli Andreotti, i
Craxi, i Forlani, i Gava, i Misasi, i Pomicino e tutti gli altri. Si cambia, si
volta pagina, da domani è un'altra Italia. Il muro che avevamo in casa e che
doveva essere abbattuto oggi non c'è più. Da domani inizia la ricostruzione. Che
sarà lunga e difficile, beninteso, ma alla quale non possiamo far mancare il
nostro contributo. Ci proveranno i marpioni a riciclarsi? Certo che sì! Come i
dignitari ed i cortigiani di ogni impero giunto al suo epilogo.
Gli è, però, che quello che stiamo vivendo non è un qualunque processo politico
che può essere rallentato, modificato, distorto, persino bloccato. Per i suoi
segreti rivoli, attraverso misteriosi sentieri, si muove la Storia: provi
qualcuno a fermarla. Già si parla dei nuovi soggetti politici. Qualcuno immagina
ch'essi nasceranno come somma algebrica di ciò che esiste, una sorta di
assemblamento di fantasmi. Non vedo nulla intorno a me, tranne gli uomini e le
idee, la fantasia e l'ingegno. Sento già i rumori delle implosioni. Tante quante
le forme partitiche che conosciamo. Poi l'esplosione definitivamente
liberatrice. Da quel preciso istante, già dietro l'angolo, immagino di trovarmi
nell'era nuova. Tra sogno e realtà i confini son labili al momento del
risveglio. Non potrei giurare se le cose di cui sto scrivendo stanno accadendo
in queste ore o se si tratta delle visioni di un gruppo di paranormali che non
era d'accordo quasi su nulla tranne che sulle visioni medesime.
Alcuni anni fa, in un'altra era, una rivista stampata in Versilia decise di
pubblicarle: difficilmente i lettori e gli stessi collaboratori di quella
rivista potevano essere d'accordo.
Metto un punto. Vado nella tana del lupo a scorticargli la coda. Un pensiero
prima d'entrarvi: solo quando si vince il terrore della morte, ovvero della
scomparsa della forma corporea che ci è abituale e senza la quale non riusciamo
a riconoscerci, si può pensare alla resurrezione. Ciò che resta e vive, a quel
punto, è la sostanza.
Beniamino
Donnici
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