«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 3 - 15 Maggio 1993

 

Sì, è un'altra Italia

 


Avevo già battuto il pezzo per questo numero, ma i tanti impegni della campagna referendaria appena conclusa mi hanno distratto al punto di dimenticarlo in un cassetto della scrivania, tra carte e appunti. Lo tiro fuori oggi, lo rileggo, lo cestino: è già datato. In che tempi viviamo e che ingrata sorte tocca alle riflessioni che ci sforziamo di fare: scavalcate da vicende e notizie che incalzano a ritmi forsennati rendendo quasi tutto inattuale. Par di viaggiare alla velocità della luce, nell'incredibile dimensione della relatività.
Tra l'altro, in quel pezzo, mi ero arrischiato in un'affettuosa polemica con il prof. Bernardi Guardi circa un'analisi eccessivamente severa ed ingenerosa, riportata in altra parte della rivista, relativa al periodo della militanza missina dei promotori di "Tabula Rasa" ed alle scelte successivamente compiute, ormai arcinote. Mi domando adesso: è davvero utile continuare a scrivere ed accalorarsi per quelle scelte, per le motivazioni che le hanno sostenute, il travaglio che le ha accompagnate? Quante volte ce le siamo ripetute queste cose? Serve ancora a qualcosa rimestarvi dentro? Non basta la consapevolezza -da tutti acquisita- che, comunque le si giudichi, esse furono dettate da nobiltà ed onestà intellettuale, coerenti con impostazioni politiche sempre lealmente espresse in ogni sede, a tutti i livelli, ad ogni decisivo passaggio della vita di quel partito? Non basta sapere che dietro quelle scelte non vi fu calcolo, né furbizia?
Eppoi: sarà che non ho capito nulla del fascismo o che, probabilmente, il fascismo è stato un fenomeno talmente complesso e contraddittorio che chiunque poteva abbeveratisi: eppure, andando via dal partito dell'on. Fini -spero con stile, certamente rinunciando a non secondari vantaggi- non mi è sembrato di esser improvvisamente diventato un antifascista. Ad esser sincero, pensavo di averli lasciati dietro la porta che stavo per chiudere, gli antifascisti. Quanto meno, che dietro quella porta restassero quanti, alle soglie del Terzo Millennio, continuano a legare la propria sopravvivenza alla riesumazione, di dicotomie ottocentesche: destra-sinistra, fascismo-antifascismo, comunismo-anticomunismo.
Fuori, era già un altro mondo e bisognava recuperare in fretta la capacità di sentire il Tempo, i suoi ritmi, le sue accelerazioni.
Metto un punto. Non ne posso più di questo ridondante ragionare su ciò che è compiuto. Nel bene e nel male. Forse, al di là del bene e del male. Ho grande rispetto per le opinioni dell'amico Mario dalle quali, ovviamente, dissento. E, tuttavia, ritengo che -d'ora in avanti, e non solo tra noi!- bisognerà polemizzare su questioni vere, concrete, attuali. Da queste cose si dovrà partire per misurare differenze ed analogie, convergenze e divergenze, vicinanze e distanze.
Non vi sono più chiese, partiti, steccati. Via le parole d'ordine e gli slogans. Niente più alibi. Non più il comodo rifugio dei giacimenti ideologico-dottrinari ai quali attingere sicurezza e certezze, risposte buone per ogni stagione. Da questo momento, uomini e donne si confronteranno sulla qualità e sul tipo di risposte che sapranno dare ai problemi della nostra società e di questo tempo, tutti assai complessi, alcuni fino a ieri assolutamente sconosciuti. Quelle risposte -e solo quelle- saranno il cemento delle nuove aggregazioni e polarità. Gli insiemi di quelle risposte e delle intuizioni ad esse collegate diventeranno le «ideologie» future. Quel che conta è sentirlo questo «big bang». Avere la consapevolezza della grande opportunità offerta a generazioni cui il destino ha riservato il compito di transitare dall'epoca della stagnazione e dell'appiattimento a quella di mutamenti sconvolgenti che hanno i caratteri delle autentiche rivoluzioni. Il 18 aprile, per come hanno rilevato i più autorevoli osservatori politici internazionali, è nata un'altra Italia. Sì, un'altra Italia.
Trenta milioni di cittadini di questo Paese dalle infinite contraddizioni e dalle inesauribili risorse si sono finalmente e provvidamente destati da un lungo letargo. La campagna elettorale, la kermesse televisiva, le demagogiche strumentalizzazioni del fronte del No, i trasformismi sull'opposto versante, gli ordini di scuderia... tutto inutile. La loro sentenza, durissima ed inappellabile, gli italiani l'avevano bell'e stilata nella Camera di Consiglio di coscienze improvvisamente ritrovate. Durante i mesi di tangentopoli, di mafiopoli, dopo che -sollevato il coperchio- hanno veduto su che sorta di verminaio abbiamo camminato per tanti lustri. E in quella Camera di Consiglio tanti, ne sono certo, hanno riconosciuto le proprie responsabilità e complicità, hanno chiesto perdono, si sono emendati.
Basta con i partiti. Vadano pure in malora. Via, via per sempre gli Andreotti, i Craxi, i Forlani, i Gava, i Misasi, i Pomicino e tutti gli altri. Si cambia, si volta pagina, da domani è un'altra Italia. Il muro che avevamo in casa e che doveva essere abbattuto oggi non c'è più. Da domani inizia la ricostruzione. Che sarà lunga e difficile, beninteso, ma alla quale non possiamo far mancare il nostro contributo. Ci proveranno i marpioni a riciclarsi? Certo che sì! Come i dignitari ed i cortigiani di ogni impero giunto al suo epilogo.
Gli è, però, che quello che stiamo vivendo non è un qualunque processo politico che può essere rallentato, modificato, distorto, persino bloccato. Per i suoi segreti rivoli, attraverso misteriosi sentieri, si muove la Storia: provi qualcuno a fermarla. Già si parla dei nuovi soggetti politici. Qualcuno immagina ch'essi nasceranno come somma algebrica di ciò che esiste, una sorta di assemblamento di fantasmi. Non vedo nulla intorno a me, tranne gli uomini e le idee, la fantasia e l'ingegno. Sento già i rumori delle implosioni. Tante quante le forme partitiche che conosciamo. Poi l'esplosione definitivamente liberatrice. Da quel preciso istante, già dietro l'angolo, immagino di trovarmi nell'era nuova. Tra sogno e realtà i confini son labili al momento del risveglio. Non potrei giurare se le cose di cui sto scrivendo stanno accadendo in queste ore o se si tratta delle visioni di un gruppo di paranormali che non era d'accordo quasi su nulla tranne che sulle visioni medesime.
Alcuni anni fa, in un'altra era, una rivista stampata in Versilia decise di pubblicarle: difficilmente i lettori e gli stessi collaboratori di quella rivista potevano essere d'accordo.
Metto un punto. Vado nella tana del lupo a scorticargli la coda. Un pensiero prima d'entrarvi: solo quando si vince il terrore della morte, ovvero della scomparsa della forma corporea che ci è abituale e senza la quale non riusciamo a riconoscerci, si può pensare alla resurrezione. Ciò che resta e vive, a quel punto, è la sostanza.
 

Beniamino Donnici

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