Confessioni di un
antagonista
«Fa' in modo
che ciò su cui tu nulla puoi, nulla possa su di te»
Sin dal primo impatto, avvenuto nel corso di una giovanile escursione evoliana,
la frase mi segnò. Nel senso che, da allora, sembrò che le mie azioni dovessero
informarsi ad un olimpico distacco dai bassi eventi e così aspirare
all'aristocratica, sprezzante serenità che quella frase fascinosa pareva dover
evocare.
Il fatto è che a mancare, in tutti questi anni, sono stati i riscontri
soggettivi. Ancor oggi, a distanza di quattro/cinque lustri dal fatale incontro
-e dopo le (inevitabili?) delusioni, amarezze, sconfitte, (ecc.) del mio stare
al mondo e del rapportarmi con gli altri- più che perseguire quegli aurei fini,
continuo ad inseguire (inutilmente?) la mia rabbia. Ed a coltivare,
rabbiosamente, la mia speranza.
Posta in tali termini, la questione potrebbe anche rivestire una sua personale
-e patetica- nobiltà, ricordando un po' la figura di quel saraceno dell'«Orlando
innamorato» che, tagliato a metà da un fendente, «non s'era accorto, andava
combattendo ed era morto». Ma le cose non stanno, ahimè, così: troppo spesso,
infatti, le mie arrabbiature -e le mie speranze- si indirizzano verso obiettivi
che, in tutta ragionevolezza, non meriterebbero alcuna considerazione. In un
senso come nell'altro.
La strategia del pudore m'impone di non rivelare dove io, antagonista, riponga
le ragioni di quelle speranze: mi limiterò -anche qui: poco evolianamente- a
sfogare le mie fobie, a dare corpo alle mie debolezze «contro».
Contro quelli che al bar ordinano sanbittér; che trovano distinto Alberto
Castagna e trasgressivo Oreste Lionello; che si divertono un sacco con i lazzi,
i frizzi, i pippi; quelli che prendono un fustino al posto di due; che scrivono
«mutatis mutandis» o «in medio stat virtus» e si sentono intelligenti; contro i
vincenti e i rampanti; contro gli ex-comunisti che si sentono vincenti e
rampanti; quelli/e che comprano i libri di Enzo Biagi; Enzo Biagi; le sorelle
Alberoni; i borghesi; i preti borghesi; gli operai borghesi; i borghesi
borghesi; i borghesi sin dall'adolescenza; i ragionieri a vent'anni; gli
anticonformisti a gettone, quelli griffati, quelli maleducati, quelli
sponsorizzati, quelli richiesti; i verdi metropolitani, con o senza bicicletta;
le mamme che credono nell'esistenza delle oasi naturali Plasmon e al tonno in
scatola che si deve tagliare col grissino; quelli che scrivono alla posta del
cuore di Susanna Agnelli; che prendono il sesso a dispense settimanali; quelli
che vanno al ristorante coi bambini e col cellulare; che hanno il fuoristrada
per città; che fanno lo jogging per la città, con la tuta fosforescente
verde-giallo-viola shocking e firmata; quelli che votano Lega, per Mantova
capitale, per essere la nuova DC; che votano contro i meridionali, i negri e gli
zingari e le tasse; quelli che vogliono la pena di morte, come in America;
quelli che se ne fregano; che resistono; che resistono in Parlamento; che in
Parlamento testimoniano... Insomma, dacché la fiamma del peccato e della
trasgressione partitica più non riscalda il mio cuore, da quando le seduzioni
pericolose si sono definitivamente dileguate dai paraggi dei seguaci di
Mussolini & Scicolone — non per questo è cessata ogni mia belligeranza con il
resto del mondo. Anzi.
E continuo a professarmi nazional-popolare, pur non credendo affatto a questa
nazione di tangentisti mancati e riusciti, di moralisti dichiarati e ravveduti,
di cristiani «una tantum»; in una nazione di gesticolatori, di arrangiatori, di
mediatori... Quanto al «popolare», poi, figuriamoci! Tanta e tale è la mia
fiducia nelle virtù della gente da esser convinto che se un domani promuovessero
il referendum sulla legge di gravita, questa verrebbe, a furor di popolo,
abrogata (magari perché autoritaria)!
Confessione piena, dunque: non solo l'amato Barone, ma nemmeno il divino
Alighieri del «non ti curar di loro, ma guarda e passa» sono riusciti a rimuover
la mia plebea e sanguigna volontà di partecipare agli eventi contemporanei.
Senza riuscire in alcun modo a mutarli, ovviamente.
Sicché, nonostante le suddette nobili intenzioni verso le più alte vette, mi
ritrovo ancora a professare quaggiù. E, dopo tutto, lo accetto: accetto le mie
vertigini, ben sapendo -altrimenti- che «le persone non sono ridicole se non
quando vogliono sembrare ciò che non sono» (G. Leopardi)
Di citazione in citazione, siamo così giunti alle speranze finali. Che mantengo
e nutro con grande cura e in segreto.
Mi resta d'aggiungere che sono comunque convinto che, prima o poi, i fatti
s'incaricheranno di darmi ragione. Qualora ciò non dovesse accadere, tanto
peggio per i fatti. (È una massima «inedita» che offro -gratuitamente, «more
solito»- al pubblico rimasto. Potrà pur sempre utilizzarsi nelle prossime
edizioni di "Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano". Oh, yeah!)
Alberto
Ostidich
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