«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 3 - 15 Maggio 1993

 

Confessioni di un antagonista

 

 

«Fa' in modo che ciò su cui tu nulla puoi, nulla possa su di te»


Sin dal primo impatto, avvenuto nel corso di una giovanile escursione evoliana, la frase mi segnò. Nel senso che, da allora, sembrò che le mie azioni dovessero informarsi ad un olimpico distacco dai bassi eventi e così aspirare all'aristocratica, sprezzante serenità che quella frase fascinosa pareva dover evocare.
Il fatto è che a mancare, in tutti questi anni, sono stati i riscontri soggettivi. Ancor oggi, a distanza di quattro/cinque lustri dal fatale incontro -e dopo le (inevitabili?) delusioni, amarezze, sconfitte, (ecc.) del mio stare al mondo e del rapportarmi con gli altri- più che perseguire quegli aurei fini, continuo ad inseguire (inutilmente?) la mia rabbia. Ed a coltivare, rabbiosamente, la mia speranza.
Posta in tali termini, la questione potrebbe anche rivestire una sua personale -e patetica- nobiltà, ricordando un po' la figura di quel saraceno dell'«Orlando innamorato» che, tagliato a metà da un fendente, «non s'era accorto, andava combattendo ed era morto». Ma le cose non stanno, ahimè, così: troppo spesso, infatti, le mie arrabbiature -e le mie speranze- si indirizzano verso obiettivi che, in tutta ragionevolezza, non meriterebbero alcuna considerazione. In un senso come nell'altro.
La strategia del pudore m'impone di non rivelare dove io, antagonista, riponga le ragioni di quelle speranze: mi limiterò -anche qui: poco evolianamente- a sfogare le mie fobie, a dare corpo alle mie debolezze «contro».
Contro quelli che al bar ordinano sanbittér; che trovano distinto Alberto Castagna e trasgressivo Oreste Lionello; che si divertono un sacco con i lazzi, i frizzi, i pippi; quelli che prendono un fustino al posto di due; che scrivono «mutatis mutandis» o «in medio stat virtus» e si sentono intelligenti; contro i vincenti e i rampanti; contro gli ex-comunisti che si sentono vincenti e rampanti; quelli/e che comprano i libri di Enzo Biagi; Enzo Biagi; le sorelle Alberoni; i borghesi; i preti borghesi; gli operai borghesi; i borghesi borghesi; i borghesi sin dall'adolescenza; i ragionieri a vent'anni; gli anticonformisti a gettone, quelli griffati, quelli maleducati, quelli sponsorizzati, quelli richiesti; i verdi metropolitani, con o senza bicicletta; le mamme che credono nell'esistenza delle oasi naturali Plasmon e al tonno in scatola che si deve tagliare col grissino; quelli che scrivono alla posta del cuore di Susanna Agnelli; che prendono il sesso a dispense settimanali; quelli che vanno al ristorante coi bambini e col cellulare; che hanno il fuoristrada per città; che fanno lo jogging per la città, con la tuta fosforescente verde-giallo-viola shocking e firmata; quelli che votano Lega, per Mantova capitale, per essere la nuova DC; che votano contro i meridionali, i negri e gli zingari e le tasse; quelli che vogliono la pena di morte, come in America; quelli che se ne fregano; che resistono; che resistono in Parlamento; che in Parlamento testimoniano... Insomma, dacché la fiamma del peccato e della trasgressione partitica più non riscalda il mio cuore, da quando le seduzioni pericolose si sono definitivamente dileguate dai paraggi dei seguaci di Mussolini & Scicolone — non per questo è cessata ogni mia belligeranza con il resto del mondo. Anzi.
E continuo a professarmi nazional-popolare, pur non credendo affatto a questa nazione di tangentisti mancati e riusciti, di moralisti dichiarati e ravveduti, di cristiani «una tantum»; in una nazione di gesticolatori, di arrangiatori, di mediatori... Quanto al «popolare», poi, figuriamoci! Tanta e tale è la mia fiducia nelle virtù della gente da esser convinto che se un domani promuovessero il referendum sulla legge di gravita, questa verrebbe, a furor di popolo, abrogata (magari perché autoritaria)!
Confessione piena, dunque: non solo l'amato Barone, ma nemmeno il divino Alighieri del «non ti curar di loro, ma guarda e passa» sono riusciti a rimuover la mia plebea e sanguigna volontà di partecipare agli eventi contemporanei. Senza riuscire in alcun modo a mutarli, ovviamente.
Sicché, nonostante le suddette nobili intenzioni verso le più alte vette, mi ritrovo ancora a professare quaggiù. E, dopo tutto, lo accetto: accetto le mie vertigini, ben sapendo -altrimenti- che «le persone non sono ridicole se non quando vogliono sembrare ciò che non sono» (G. Leopardi)
Di citazione in citazione, siamo così giunti alle speranze finali. Che mantengo e nutro con grande cura e in segreto.
Mi resta d'aggiungere che sono comunque convinto che, prima o poi, i fatti s'incaricheranno di darmi ragione. Qualora ciò non dovesse accadere, tanto peggio per i fatti. (È una massima «inedita» che offro -gratuitamente, «more solito»- al pubblico rimasto. Potrà pur sempre utilizzarsi nelle prossime edizioni di "Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano". Oh, yeah!)

 

Alberto Ostidich

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