Le avventure del vàgero
La peste della spartana era stata portata al paese da gente che li dicevano i
catecumeni. Questa progenie di viperi senza re né regno si dava convegno in una
casa smantellata dal martellamento dei secoli, senza imposte, con le porte
sgangherate ed arse; dentro le stanze pareva che di giorno ci s'intanasse la
notte. I vecchi asserivano che nell'antichità il Casone fu abitato da principi e
papi e che quando poco lungi ci rompeva il mare placido ci fu imporporato un
cardinale; più tardi il gonfalone della repubblica era stato issato sulla
balconata. A quei dì invece, l'orrido Casone, nei giorni di sollevazione,
sembrava l'orrendo carcame di un mostro divorato da spaventosi uccelli di rapina
che da ogni finestra sventolava una bandiera nera. Per certi collari che
anticamente aggraziavano i vani, per qualche fiore di capitello e la balaustrata
gialla, come un antico falpalo di gonna, il Casone faceva pensare a una gran
dama impoverita ridotta a giacere sul concime con l'abito con cui andò sposa
all'altare. Tutti i pomeriggi dalle secche della Pinciana, chiamavano così il
quartiere del Casone, s'alzava una branca di cenciosi dalle mani artigliate i
quali avevano aperto un forno di paste nel Casone e le smerciavano bollenti.
Tutte le contrade erano battute da questa gente accaldata, coi colli ricuciti di
gavine, tatuati, talliti, incordati, con soprossi sul viso incostolito,
roncolati, imbottacciati di vino e di vituperii. Tutti in coro urlavano: —
Bombo! bombo! bomboloniii... alla crema.
A questo doppio di campane a fuoco gli usci si chiudevano sbatacchiati come dal
vento, i panni stesi eran tosto spriccati dalle funi, le galline parate nelle
stie, e se qualcuna spaurita s'aggranfiava al vetrame confitto sui muri era
colta a volo e carpita dai pasticceri che avevano gli occhi e l'istinto della
volpe. I nomi di costoro: Senza mutande, Bandiera rossa, Fiele, Straccavizzi,
Fede, Agonia, Martellino, Bacuninne, facevano conturbare i vicinati. La
pasticceria era situata nel fondaccio del Casone e l'acqua per intridere il
pastone la traevano da una chiavica che era nel mezzo della Cortaccia. Quella
chiavica terrorizzava tutto il paese perché dicevano che non aveva fondo. Una
volta fu legato per il collo con un canapo di nave un cagnaccio pien di tigna, e
fu calato giù, gli fu filato più di cento braccia di canapo e quando fu
riassommato alla luce la bestia fu trovata strinata dal fuoco.
Nell'interno del Casone c'era anche l'osteria dei Trascurati, tanto umida che ci
si spengevano le candele, il soffitto della taverna era graticolato, dalla grata
in su si dominava la tromba delle scale sconnesse, dalle mura sfiatavano giù
parole gelide: — Questi sono posti da vedovi: per uno che ha la moglie inferma.
Quando riverberava la luce si vedevano di scorcio gambe polpacciute, stinchi
scarniti, rotule tamponate di lerca, coscie frolle, ventri molli, tirenti,
pregni, idropici, gonnelle incuoiate, camicie mézze impallinate di mucido, pezze
pavonazze, ascelle slabbrate dall'agitarsi di braccia, mani anchilosate e perse,
archi di mandibole scarne, gozzi, baruffi di capelli.
Nel Casone aveva trovato ricetto anche la Giordano Bruno. Il vessillo sociale,
un telo nero imbullettato sopra una pertica, era avvoltolato all'asta e buttato
di traverso sopra una parete. Tre panche pesanti, un lume a petrolio, il
ritratto del Nolano, un tavolino, erano gli arredi di una sala che aveva della
cisterna. Sul soffitto congiuravano i burbiglioni, quegli insetti neri, che
nascono nel putrido e andavano a due a due, come scolopi sopra un campo fangoso.
Dai fori dell'impiantito spuntavano teste di topo aguzze che si cibavano in un
cunicolo dove fermentava una verminaia. Un cannello e un calamaio facevano da
posa-carta su un quaderno con una copertina marmorizzata sul quale vi era un
talloncino bianco con su scritto: Liberi pensatori.
Una mattina il pasticcere Bandiera Rossa fu trovato morto stecchito sotto il
forno. Ne lo trassero i compagni tirandolo per le gambe. Bandiera Rossa aveva il
volto cosparso di cenere e pareva fosse stato bruciato. Lo stesero sopra due
tavole da pane accoppiate. Sulle braccia e sul petto egli aveva dei tatuaggi che
accagliati dalla morte eran diventati color del vino di strizzo. Nelle tasche
gli fu rinvenuto un foglietto: Cremazione. Le donne della Pinciana non sapevano
della parola cremazione, credettero che si trattasse di una lega fra pasticceri,
ma quando seppero che cremare voleva dire incenerire anima e corpo, si fecero
conturbate il segno della Croce.
— Gli danno il fuoco come al fasciame grumato dei bastimenti.
Bandiera Rossa fu vestito d'una giubba lustra dall'uso. Gelato
nell'articolazione quando gl'infilarono le maniche pareva che chiamasse gente a
veder lo spettacolo, le gambe tutte d'un corso glie le infilarono in un paio di
calzoni di regatino e fu calzato di puntali al telaretto tanto lisi che
filtravano i toni cera della carne marmata. Al collo gli legarono una pezzuola
rossa.
Gente stupita entrava e usciva camminando come sullo stereo, le donne si
schifavano turandosi il naso, una alzò la cocca della pezzuola che copriva il
viso:
— Se lo mandano a domani ci vuole il cucchiaro.
Da piedi, ronfava un vegliatore. Alcune donne si avvicinarono a lui e gli
chiesero piano piano, quasi dovesse udire il morto:
— Che significato è quello di farsi bruciare?
Il vegliatore con voce di montone disse:
— Sarebbe come significare: l'inferno non esiste e ve lo provo.
I visi delle donne agrirono come se esse avessero avuto i piedi sopra una pietra
rovente.
— Sicché vi farete ardere anche voi!
— Come questo fulminante — e il vegliatore scriccò un fiammifero alle brache dei
pantaloni, poi gonfiate le gote soffiò:
— La vita è fuoco.
Le donne rincasate si spraccarono sulle sedie come tante galline sul baston del
pollaio e croccolarono: — Quel Casone è peste.
Inopinato, dietro il capo del morto si levò il vessillo della Giordano Bruno,
con la parole bianche.
— Ecco la maledetta bandiera! — Il Tarmito, vestito di un abito buono gli faceva
da scorta. Da tutte le aperture e vani apparirono pasticceri rispulizziti con
cappelli a fungo e fiocchi scarlatti.
Il campanile della SS. Annunziata chiamò a sé i fedeli sonando a distesa la
benedizione, i timorati di Dio ripararono in chiesa come se fuori piovesse
fuoco. Il prete piegato in due sull'altar maggiore esalava con voce tenue una
preghiera angosciata come un sospiro, a lui rispondeva un coro sommesso di voci
spaurite, tutti pareva tenessero la loro anima nella mani accoppiate sul petto.
Sul tetto della chiesa si sentì ruzzolare una gallina spaurita, poi parve ci si
posasse di colpo una mandria di corvi, pioveva invece a dirotto. Il vento
sollevò la tenda di sulla porta e la fé sventolare come un gonfalone. Tutti
furono presi da ribrezzo. Una saetta parve aver dimezzato il campanile e che
questo fosse precipitato sulla piazza impietrata. La volta del tempio e il prete
abbrividiron di giallo.
Il morto aggelava. Una ventata gli portò via la pezzuola di sul viso, e quella
rossa che aveva appiccata al collo parve un flotto di sangue coagulato. La
pezzuola bianca mulinò per la stanza come un uccello che bramasse becchettare il
morto; trovata un'apertura s'allargò e sparì nel cielo abbrividito. La bandiera
nera rattenuta all'asta gonfiava le ritorte. Un incerato che sapeva di
maledizione fu disteso sull'impiantito. Il vetturale, tolto il disutile aggeggiò
il morto per il viaggio e con uno spago gli legò le mani e i piedi.
— C'è nessuno che vuol dire due parole?
Tutti tacquero e si chinarono sul morto, uno prese il capo nel cavo delle mani
raccolte e sentì il ribrezzo del teschio, un altro lo sollevò per gli stinchi
diacciati e due lo tennero per le braccia interite; nel tragitto dall'andrione
al carro l'inceratino fu bagnato da un rovescio di pioggia.
La bandiera nera uscì di sotto l'arcata ammainata all'asta come un velaccio,
quando s'aprì e fu inzuppa d'acqua, sembrava dovesse tingere a toccarla. Il
morto lo portarono a bruciare fuori del paese, il carro trabalzò al passaggio a
livello, s'istradò sulla via provinciale che era come una fiumara torba in
piena, il cataletto, con l'acqua ai mozzi, parve un barcone con la vela nera.
Dalle lame di ponente si levò uno sciame d'uccelli.
Era la prima bestia che portavano via senza i segni di Cristo. Tutte l'ombre che
si aprivano nelle case della Pinciana ravvolgevano lo scheletro di Bandiera
Rossa, lo vedevano anche la notte in vetta agli alberi, nei canti delle darsene,
a strappare l'ulivo benedetto, lo vedevano tapinarsi sulle bocchette e percotere
la mano sulle colonne urlando: — Maledetta mano, maledetta mano che hai firmato.
Nella cisterna di corte lo spettro faceva come le civette, alzava e abbassava il
capo e quando era scorto lo udivano tonfar giù e friggere ed estinguersi come un
carbone acceso.
Quella sera in casa della signora Dina ci sembrò disteso un morto. Il gobbo
slacciato su di una sedia col capo cionco poggiato sopra una mano non aveva
favella, il terrore gli aveva aorcato la gola. Filiberto era come un cero spento
con delle lacrime aggelate sul viso smunto. La Signora si scioglieva i capelli,
s'allentava il busto che il petto grossito gli stralevava, delirante azzannava
boccate d'aria, come una cagna incimurrita che addenti. Con le dita a coltello
faceva l'atto di recidersi la gola. Amedeo era impenetrabile e fermo come una
sfinge.
— Hai firmatooo... anfanò il gobbo e dette un raglio come un ciuco.
— Sì! — ruttò la signora Dina colta dal madrone — sì, sì, sì, si!
Il gobbo caduto ginocchioni impiastrò la bocca a spengimoccolo sull'impiantito e
vagellò: — Hai firmato! — Con gli occhi divaricati dalla demenza cercava il
Tarmito.
— Esci di casa nostra, demonio d'averno. È toccato a noi!
Il gobbo s'alzò tremante, s'artigliò il petto, alzò un braccio: — Ora ti leggo
negli occhi, hai firmato! Ma pensa che sarai prima incenerito da una saetta.
Il trasporto sacrilego fu ricordato anche dal prete la domenica mattina alla
messa del Vangelo. Il tempio era stivato di gente:
— O fratelli e sorelle, o padri e madri, o giovani e spose, qual demone si è
incarnato nel sangue battezzato dei vostri figli! Qual tremendo castigo di Dio
onnipotente si abbatterà su di noi! O padri, o madri, quel nero vessillo di
morte sventolerà un giorno sulla rovina delle famiglia.
Quando uscì la messa le madri dei temerari si ravvolsero il capo dentro gli
scialli neri: — Scurirà il cielo e la terra, e noi non avremo faccia da
mostrare. Cammin facendo le madri singhiozzavano: — Ha firmato, ha firmato...
firmato, o gente! E chi si pente dice che lo sacchettano: l'aspettano di notte
tempo nei canti delle darsene, perché i fondali risucchiano gli urli, e con
delle sacchette piene di rena gli staccano i polmoni, gli spezzano il fil delle
reni, lo mandano in etisia... e chi la sconta son le madri. Come siam condotte!
Lorenzo
Viani
"Ritorno
alla Patria", Vallecchi Editore, Firenze, 1955
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