«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 3 - 15 Maggio 1993

 

Le avventure del vàgero

 


La peste della spartana era stata portata al paese da gente che li dicevano i catecumeni. Questa progenie di viperi senza re né regno si dava convegno in una casa smantellata dal martellamento dei secoli, senza imposte, con le porte sgangherate ed arse; dentro le stanze pareva che di giorno ci s'intanasse la notte. I vecchi asserivano che nell'antichità il Casone fu abitato da principi e papi e che quando poco lungi ci rompeva il mare placido ci fu imporporato un cardinale; più tardi il gonfalone della repubblica era stato issato sulla balconata. A quei dì invece, l'orrido Casone, nei giorni di sollevazione, sembrava l'orrendo carcame di un mostro divorato da spaventosi uccelli di rapina che da ogni finestra sventolava una bandiera nera. Per certi collari che anticamente aggraziavano i vani, per qualche fiore di capitello e la balaustrata gialla, come un antico falpalo di gonna, il Casone faceva pensare a una gran dama impoverita ridotta a giacere sul concime con l'abito con cui andò sposa all'altare. Tutti i pomeriggi dalle secche della Pinciana, chiamavano così il quartiere del Casone, s'alzava una branca di cenciosi dalle mani artigliate i quali avevano aperto un forno di paste nel Casone e le smerciavano bollenti. Tutte le contrade erano battute da questa gente accaldata, coi colli ricuciti di gavine, tatuati, talliti, incordati, con soprossi sul viso incostolito, roncolati, imbottacciati di vino e di vituperii. Tutti in coro urlavano: — Bombo! bombo! bomboloniii... alla crema.
A questo doppio di campane a fuoco gli usci si chiudevano sbatacchiati come dal vento, i panni stesi eran tosto spriccati dalle funi, le galline parate nelle stie, e se qualcuna spaurita s'aggranfiava al vetrame confitto sui muri era colta a volo e carpita dai pasticceri che avevano gli occhi e l'istinto della volpe. I nomi di costoro: Senza mutande, Bandiera rossa, Fiele, Straccavizzi, Fede, Agonia, Martellino, Bacuninne, facevano conturbare i vicinati. La pasticceria era situata nel fondaccio del Casone e l'acqua per intridere il pastone la traevano da una chiavica che era nel mezzo della Cortaccia. Quella chiavica terrorizzava tutto il paese perché dicevano che non aveva fondo. Una volta fu legato per il collo con un canapo di nave un cagnaccio pien di tigna, e fu calato giù, gli fu filato più di cento braccia di canapo e quando fu riassommato alla luce la bestia fu trovata strinata dal fuoco.
Nell'interno del Casone c'era anche l'osteria dei Trascurati, tanto umida che ci si spengevano le candele, il soffitto della taverna era graticolato, dalla grata in su si dominava la tromba delle scale sconnesse, dalle mura sfiatavano giù parole gelide: — Questi sono posti da vedovi: per uno che ha la moglie inferma. Quando riverberava la luce si vedevano di scorcio gambe polpacciute, stinchi scarniti, rotule tamponate di lerca, coscie frolle, ventri molli, tirenti, pregni, idropici, gonnelle incuoiate, camicie mézze impallinate di mucido, pezze pavonazze, ascelle slabbrate dall'agitarsi di braccia, mani anchilosate e perse, archi di mandibole scarne, gozzi, baruffi di capelli.
Nel Casone aveva trovato ricetto anche la Giordano Bruno. Il vessillo sociale, un telo nero imbullettato sopra una pertica, era avvoltolato all'asta e buttato di traverso sopra una parete. Tre panche pesanti, un lume a petrolio, il ritratto del Nolano, un tavolino, erano gli arredi di una sala che aveva della cisterna. Sul soffitto congiuravano i burbiglioni, quegli insetti neri, che nascono nel putrido e andavano a due a due, come scolopi sopra un campo fangoso. Dai fori dell'impiantito spuntavano teste di topo aguzze che si cibavano in un cunicolo dove fermentava una verminaia. Un cannello e un calamaio facevano da posa-carta su un quaderno con una copertina marmorizzata sul quale vi era un talloncino bianco con su scritto: Liberi pensatori.
Una mattina il pasticcere Bandiera Rossa fu trovato morto stecchito sotto il forno. Ne lo trassero i compagni tirandolo per le gambe. Bandiera Rossa aveva il volto cosparso di cenere e pareva fosse stato bruciato. Lo stesero sopra due tavole da pane accoppiate. Sulle braccia e sul petto egli aveva dei tatuaggi che accagliati dalla morte eran diventati color del vino di strizzo. Nelle tasche gli fu rinvenuto un foglietto: Cremazione. Le donne della Pinciana non sapevano della parola cremazione, credettero che si trattasse di una lega fra pasticceri, ma quando seppero che cremare voleva dire incenerire anima e corpo, si fecero conturbate il segno della Croce.
— Gli danno il fuoco come al fasciame grumato dei bastimenti.

Bandiera Rossa fu vestito d'una giubba lustra dall'uso. Gelato nell'articolazione quando gl'infilarono le maniche pareva che chiamasse gente a veder lo spettacolo, le gambe tutte d'un corso glie le infilarono in un paio di calzoni di regatino e fu calzato di puntali al telaretto tanto lisi che filtravano i toni cera della carne marmata. Al collo gli legarono una pezzuola rossa.
Gente stupita entrava e usciva camminando come sullo stereo, le donne si schifavano turandosi il naso, una alzò la cocca della pezzuola che copriva il viso:
— Se lo mandano a domani ci vuole il cucchiaro.
Da piedi, ronfava un vegliatore. Alcune donne si avvicinarono a lui e gli chiesero piano piano, quasi dovesse udire il morto:
— Che significato è quello di farsi bruciare?
Il vegliatore con voce di montone disse:
— Sarebbe come significare: l'inferno non esiste e ve lo provo.
I visi delle donne agrirono come se esse avessero avuto i piedi sopra una pietra rovente.
— Sicché vi farete ardere anche voi!
— Come questo fulminante — e il vegliatore scriccò un fiammifero alle brache dei pantaloni, poi gonfiate le gote soffiò:
— La vita è fuoco.
Le donne rincasate si spraccarono sulle sedie come tante galline sul baston del pollaio e croccolarono: — Quel Casone è peste.
Inopinato, dietro il capo del morto si levò il vessillo della Giordano Bruno, con la parole bianche.
— Ecco la maledetta bandiera! — Il Tarmito, vestito di un abito buono gli faceva da scorta. Da tutte le aperture e vani apparirono pasticceri rispulizziti con cappelli a fungo e fiocchi scarlatti.

Il campanile della SS. Annunziata chiamò a sé i fedeli sonando a distesa la benedizione, i timorati di Dio ripararono in chiesa come se fuori piovesse fuoco. Il prete piegato in due sull'altar maggiore esalava con voce tenue una preghiera angosciata come un sospiro, a lui rispondeva un coro sommesso di voci spaurite, tutti pareva tenessero la loro anima nella mani accoppiate sul petto. Sul tetto della chiesa si sentì ruzzolare una gallina spaurita, poi parve ci si posasse di colpo una mandria di corvi, pioveva invece a dirotto. Il vento sollevò la tenda di sulla porta e la fé sventolare come un gonfalone. Tutti furono presi da ribrezzo. Una saetta parve aver dimezzato il campanile e che questo fosse precipitato sulla piazza impietrata. La volta del tempio e il prete abbrividiron di giallo.

Il morto aggelava. Una ventata gli portò via la pezzuola di sul viso, e quella rossa che aveva appiccata al collo parve un flotto di sangue coagulato. La pezzuola bianca mulinò per la stanza come un uccello che bramasse becchettare il morto; trovata un'apertura s'allargò e sparì nel cielo abbrividito. La bandiera nera rattenuta all'asta gonfiava le ritorte. Un incerato che sapeva di maledizione fu disteso sull'impiantito. Il vetturale, tolto il disutile aggeggiò il morto per il viaggio e con uno spago gli legò le mani e i piedi.
— C'è nessuno che vuol dire due parole?
Tutti tacquero e si chinarono sul morto, uno prese il capo nel cavo delle mani raccolte e sentì il ribrezzo del teschio, un altro lo sollevò per gli stinchi diacciati e due lo tennero per le braccia interite; nel tragitto dall'andrione al carro l'inceratino fu bagnato da un rovescio di pioggia.
La bandiera nera uscì di sotto l'arcata ammainata all'asta come un velaccio, quando s'aprì e fu inzuppa d'acqua, sembrava dovesse tingere a toccarla. Il morto lo portarono a bruciare fuori del paese, il carro trabalzò al passaggio a livello, s'istradò sulla via provinciale che era come una fiumara torba in piena, il cataletto, con l'acqua ai mozzi, parve un barcone con la vela nera. Dalle lame di ponente si levò uno sciame d'uccelli.

Era la prima bestia che portavano via senza i segni di Cristo. Tutte l'ombre che si aprivano nelle case della Pinciana ravvolgevano lo scheletro di Bandiera Rossa, lo vedevano anche la notte in vetta agli alberi, nei canti delle darsene, a strappare l'ulivo benedetto, lo vedevano tapinarsi sulle bocchette e percotere la mano sulle colonne urlando: — Maledetta mano, maledetta mano che hai firmato.
Nella cisterna di corte lo spettro faceva come le civette, alzava e abbassava il capo e quando era scorto lo udivano tonfar giù e friggere ed estinguersi come un carbone acceso.

Quella sera in casa della signora Dina ci sembrò disteso un morto. Il gobbo slacciato su di una sedia col capo cionco poggiato sopra una mano non aveva favella, il terrore gli aveva aorcato la gola. Filiberto era come un cero spento con delle lacrime aggelate sul viso smunto. La Signora si scioglieva i capelli, s'allentava il busto che il petto grossito gli stralevava, delirante azzannava boccate d'aria, come una cagna incimurrita che addenti. Con le dita a coltello faceva l'atto di recidersi la gola. Amedeo era impenetrabile e fermo come una sfinge.
— Hai firmatooo... anfanò il gobbo e dette un raglio come un ciuco.
— Sì! — ruttò la signora Dina colta dal madrone — sì, sì, sì, si!
Il gobbo caduto ginocchioni impiastrò la bocca a spengimoccolo sull'impiantito e vagellò: — Hai firmato! — Con gli occhi divaricati dalla demenza cercava il Tarmito.
— Esci di casa nostra, demonio d'averno. È toccato a noi!
Il gobbo s'alzò tremante, s'artigliò il petto, alzò un braccio: — Ora ti leggo negli occhi, hai firmato! Ma pensa che sarai prima incenerito da una saetta.

Il trasporto sacrilego fu ricordato anche dal prete la domenica mattina alla messa del Vangelo. Il tempio era stivato di gente:
— O fratelli e sorelle, o padri e madri, o giovani e spose, qual demone si è incarnato nel sangue battezzato dei vostri figli! Qual tremendo castigo di Dio onnipotente si abbatterà su di noi! O padri, o madri, quel nero vessillo di morte sventolerà un giorno sulla rovina delle famiglia.
Quando uscì la messa le madri dei temerari si ravvolsero il capo dentro gli scialli neri: — Scurirà il cielo e la terra, e noi non avremo faccia da mostrare. Cammin facendo le madri singhiozzavano: — Ha firmato, ha firmato... firmato, o gente! E chi si pente dice che lo sacchettano: l'aspettano di notte tempo nei canti delle darsene, perché i fondali risucchiano gli urli, e con delle sacchette piene di rena gli staccano i polmoni, gli spezzano il fil delle reni, lo mandano in etisia... e chi la sconta son le madri. Come siam condotte!

 

Lorenzo Viani
 "Ritorno alla Patria", Vallecchi Editore, Firenze, 1955

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