«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno II - n° 4 - 30 Giugno 1993

 

le «stazioni» della memoria

50 anni fa in Sicilia la prima rivolta contro lo stato centralista
Quando il federalismo era targato «vento del Sud»

 


Sarà Umberto Bossi a raccogliere l'eredità di Andrea Finocchiaro Aprile, l'uomo politico che sognò una Sicilia indipendente? Dopo i successi della Lega e le dichiarate intenzioni di «contagiare» anche il Sud è un'ipotesi tutt'altro che remota. Anzi, cinquant'anni dopo, tutto fa pensare che proprio gli uomini del Carroccio siano candidati a rialzare la bandiera della vecchia Trinacria. La storia e la politica esigono i loro paradossi.
Notabile demo-sociale senza particolari meriti fino all'estate del '43, Finocchiaro Aprile riuscì a fondere magicamente sentimenti e aspirazioni di forze molto diverse in nome dell'«ideologia sicilianista», quell'invisibile filo rosso di contestazione dello Stato unitario che ha sempre legato le vicende siciliane. Anche allora, nel trapasso di regime, i partiti tradizionali si dibattevano in una crisi profonda. E per quanto strano possa sembrare, tra il '43 e il '44, nell'isola, l'unico partito di massa era il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia di Finocchiaro Aprile che poteva contare su 480.000 iscritti contro i 35.000 della DC, i 25.000 del PCI, i 3.000 della Democrazia del lavoro. Cifre che parlano da sole.

 

... E SI INAUGURAVA IL «CONFINO DEMOCRATICO»

«Usciamo da quest'isola dopo cinque mesi e mezzo di relegazione, per riprendere la lotta in favore della nostra adorata patria siciliana, da te, con sadico odio, vilmente oltraggiata nelle nostre persone. Spudoratamente mentendo, nel tentativo di giustificare un turpe arbitrio, non sapesti che offendere la libertà e disonorare la democrazia, di cui il tuo nefasto governo si diceva assertore. A tal fine tu avesti la tracotanza di applicare una legge che era stata implicitamente abrogata con la caduta del regime fascista e con il ritorno ai princìpi contro cui esso aveva sempre combattuto. Questo abuso tu compisti, ben sapendo di compierlo, in complicità con il criminale alto commissario Aldisio, funzionario degno di te e della tua combriccola che imperversa nel paese. Noi, quindi, ti esprimiamo il nostro più profondo disprezzo, constatando che il fascismo mai giunse alla bassezza della tua condotta e deplorando che un miserabile e insipiente individuo, quale tu sei, abbia potuto detenere il potere in Italia ora liberata dalla vergogna della tua ridicola e pericolosa dittatura. Viva l'indipendenza della Sicilia!»

(Dalla lettera di Andrea Finocchiaro Aprile e Antonino Varvaro a Ferruccio Pani, scritta a Ponza il 15 marzo 1946 al momento della liberazione dal confino)


Brillante avvocato, il leader indipendentista riuscì a costruirsi un grande carisma e, combinando un mix di temi conservatori e progressisti, aggregò baroni ed agrari, liberali e borghesi, e soprattutto larghi strati di ceti popolari i quali vissero la stagione dell'indipendentismo come straordinaria speranza di cambiamento.
Ma cosa voleva il MIS. Qual era il suo obbiettivo finale? Anche se non si è mai fatto troppo caso, gli indipendentisti siciliani furono federalisti. Sul piano ideologico e programmatico, in tutti i documenti e i congressi, rivendicarono sempre uno Stato siciliano federato ad una Repubblica federale italiana. Un obbiettivo che, però, si allontanò, fino a quando non divenne irraggiungibile, ogni qual volta il movimento si fece tentare da scorciatoie impossibili: illusori appoggi internazionali, l'estremismo velleitario dell'«esercito» separatista, le trame con re Umberto per la formazione di un autonomo Regno di Sicilia, le lusinghe governative in termini di decentramento. Miraggi, soltanto miraggi che spesso impaniarono il MIS con il risultato di deconcentrarlo dalla strategia federalista che richiedeva, invece, un impegno più coerente e convinto.
Il federalismo, tuttavia, rimase sempre il progetto politico del movimento, l'unico in grado di fare da cerniera tra le posizioni progressiste e quelle moderate che convivevano nella contestazione dello Stato accentratore. Finocchiaro Aprile e i suoi pensavano alla Sicilia, ma anche alla Sardegna e alle altre aree del Mezzogiorno, come a «Stati liberi, conformemente alle loro secolari tradizioni storiche, alle loro aspirazioni e ai loro diritti; Stati che dovranno entrare a far parte, insieme agli altri che volessero formarsi in Italia in condizioni di assoluta parità ed eguaglianza e ciò nell'intento precipuo di dare inizio alla vera unità dei popoli di lingua italiana, mai esistita sinora».
Anche alla Costituente il capo del MIS «nel corso dei suoi acuti e appassionati interventi -conferma in chiave critica Giuseppe Carlo Marino nella sua "Storia del separatismo siciliano"- restò sempre impigliato nel leitmotiv dello "Stato federale" contrapposto a quello delle autonomie».
Da parte sua il Comitato siciliano d'azione, un'associazione di giuristi aderente al MIS, proponeva che «nell'ordinamento federale dello Stato sia riconosciuto alla Sicilia, nelle materie di sua competenza, il libero e pieno esercizio del potere legislativo, del potere esecutivo e del potere giudiziario». Erano ritenuti irrinunciabili il diritto di "stabilire la propria costituzione interna e l'ordinamento delle collettività minori (comuni, province, ecc.)», «una polizia propria coordinata con l'esercito e la polizia dello Stato federale» e una «propria politica doganale ed economica».
Frisella Velia, esponente dell'ala «liberal» del movimento era più prudente: «La federazione potrebbe dare una certa garanzia; però una federazione intelligente che non sia del tipo di quella tedesca sboccata nel dominio della Prussia». In quel momento piuttosto agitato, gli indipendentisti nutrivano qualche timore che anche il federalismo potesse essere snaturato. Forse per questo Finocchiaro giocò sempre sull'equivoco tra federalismo e confederazione. Colpisce, inoltre, nel capo del MIS la previsione avanzatissima di una possibile «grande confederazione europea» alla quale «la Repubblica siciliana dovrebbe essere chiamata a partecipare, come vivamente desidera, non occorrendo più la confederazione di Stati italiani, tutti potendo essere membri della grande confederazione europea».
L'indipendentismo siciliano piacque molto a Randolfo Pacciardi, leader storico del PRI, il quale, richiamandosi alla tradizione di Cattaneo e Ferrari, sostenne con forza che la questione siciliana poteva essere risolta soltanto riconoscendo la Sicilia come Stato federato. Piacque, invece, molto meno al governo Parri che, impersonando la faccia feroce dello Stato centralista, perseguì il MIS con veri e propri atti di guerra. È una pagina che pochi amano rievocare, ma la repressione poliziesca, quasi sempre pretestuosa, delle manifestazioni indipendentiste causò decine di morti e centinaia di feriti e un'infinità di abusi dei quali fece le spese il movimento. Con un atto del tutto arbitrario il Consiglio dei ministri, in cui sedeva anche De Gasperi, giunse ad ordinare l'arresto e il confino a Ponza di Finocchiaro Aprile, Varvaro e Restuccia rei di «insistere con pervicacia e insolenza nella propaganda contro l'unità nazionale».
Vi si aggiunge il tentativo di screditare il movimento indipendentista come una sorta di Vandea inventata dal «blocco agrario» per fermare il «vento del nord». Tesi superficiale quanto inconsistente. È vero, piuttosto, che pur nelle sue contraddizioni, l'indipendentismo siciliano rappresentò un moderno tentativo di riforma dal basso dello Stato centralista. Basti pensare -ma anche questo è poco noto- che il movimento intrattenne e sviluppò rapporti di attiva collaborazione con l'UNIS, l'«Unione autonomista italiana settentrionale», un'antenata della Lega Nord di Bossi, che già nell'agosto 1943 rivendicava l'autonomia della «regione naturale padano-veneta, con le sue cinque sottoregioni, Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia e Tre Venezie».
Lo stesso Finocchiaro, al terzo congresso nazionale che si tenne a Taormina alla fine del gennaio 1947, si soffermò sui rapporti del Movimento per l'indipendenza della Sicilia con i movimenti d'indipendenza della Valle d'Aosta, della Venezia Giulia, dell'Alto Adige e della Sardegna. La repressione poliziesca, l'esca avvelenata dello Statuto speciale, l'insuccesso elettorale finirono per svuotare fino ad esaurire l'indipendentismo siciliano. Il suo maggior torto fu forse quello di essere nato in un tempo che non era ancora il suo.

 

Carmelo Anastasi

 

TRINACRIA: GLI ANNI DELLA RABBIA

23 luglio 1943

Andrea Finocchiaro Aprile insedia a Palermo il comitato di coordinamento del Movimento per l'indipendenza della Sicilia (MIS)

10 agosto 1944 A Catania si tiene il congresso di fondazione della Lega giovanile indipendentista.

19 ottobre 1944

A Palermo l'esercito, durante una manifestazione indipendentista, spara sulla folla. Bilancio: 30 morti e 108 feriti.

8 dicembre 1944

Il MIS tiene a Taormina il primo congresso nazionale.

31 marzo 1945

Il MIS invia alla Conferenza delle potenze alleate di S. Francisco un memorandum in cui si rivendica il diritto della Sicilia all'autodeterminazione e alla federazione con gli altri Stati italiani.

14 aprile 1945

Il MIS tiene a Palermo il suo secondo congresso nazionale.

17 giugno 1945

Antonio Canepa, comandante dell'Evis, l'esercito separatista, rimane ucciso in uno scontro con I carabinieri.

1 ottobre 1945

I leader indipendentisti Finocchiaro Aprile, Varvaro e Restuccia vengono arrestati e inviati al confino a Ponza.

15 marzo 1946

Viene revocato il confino dei capi indipendentisti.

15 maggio 1946

Viene approvato lo Statuto siciliano.

2 giugno 1946

Quattro deputati indipendentisti (Finocchiaro Aprile, Varvaro, Castrogiovanni e Gallo) vengono eletti alla Costituente.

20 aprile 1947

Otto deputati del MIS sono eletti alla prima Assemblea regionale siciliana: Finocchiaro Aprile, Cacopardo, Caltabiano, Castrogiovanni, Drago, Gallo, Germana e Landolina.

31 gennaio 1947

Il MIS celebra a Taormina il suo terzo e ultimo congresso nazionale.

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