le «stazioni» della memoria
50 anni fa in Sicilia la prima rivolta contro lo
stato centralista
Quando il federalismo era targato «vento del Sud»
Sarà Umberto Bossi a raccogliere l'eredità di Andrea Finocchiaro Aprile, l'uomo
politico che sognò una Sicilia indipendente? Dopo i successi della Lega e le
dichiarate intenzioni di «contagiare» anche il Sud è un'ipotesi tutt'altro che
remota. Anzi, cinquant'anni dopo, tutto fa pensare che proprio gli uomini del
Carroccio siano candidati a rialzare la bandiera della vecchia Trinacria. La
storia e la politica esigono i loro paradossi.
Notabile demo-sociale senza particolari meriti fino all'estate del '43,
Finocchiaro Aprile riuscì a fondere magicamente sentimenti e aspirazioni di
forze molto diverse in nome dell'«ideologia sicilianista», quell'invisibile filo
rosso di contestazione dello Stato unitario che ha sempre legato le vicende
siciliane. Anche allora, nel trapasso di regime, i partiti tradizionali si
dibattevano in una crisi profonda. E per quanto strano possa sembrare, tra il
'43 e il '44, nell'isola, l'unico partito di massa era il Movimento per
l'Indipendenza della Sicilia di Finocchiaro Aprile che poteva contare su 480.000
iscritti contro i 35.000 della DC, i 25.000 del PCI, i 3.000 della Democrazia
del lavoro. Cifre che parlano da sole.
... E SI INAUGURAVA
IL «CONFINO DEMOCRATICO»
«Usciamo da
quest'isola dopo cinque mesi e mezzo di relegazione, per riprendere
la lotta in favore della nostra adorata patria siciliana, da te, con
sadico odio, vilmente oltraggiata nelle nostre persone.
Spudoratamente mentendo, nel tentativo di giustificare un turpe
arbitrio, non sapesti che offendere la libertà e disonorare la
democrazia, di cui il tuo nefasto governo si diceva assertore. A tal
fine tu avesti la tracotanza di applicare una legge che era stata
implicitamente abrogata con la caduta del regime fascista e con il
ritorno ai princìpi contro cui esso aveva sempre combattuto. Questo
abuso tu compisti, ben sapendo di compierlo, in complicità con il
criminale alto commissario Aldisio, funzionario degno di te e della
tua combriccola che imperversa nel paese. Noi, quindi, ti esprimiamo
il nostro più profondo disprezzo, constatando che il fascismo mai
giunse alla bassezza della tua condotta e deplorando che un
miserabile e insipiente individuo, quale tu sei, abbia potuto
detenere il potere in Italia ora liberata dalla vergogna della tua
ridicola e pericolosa dittatura. Viva l'indipendenza della Sicilia!»
(Dalla lettera di Andrea Finocchiaro Aprile e Antonino Varvaro a
Ferruccio Pani, scritta a Ponza il 15 marzo 1946 al momento della
liberazione dal confino) |
Brillante avvocato, il leader indipendentista riuscì a costruirsi un grande
carisma e, combinando un mix di temi conservatori e progressisti, aggregò baroni
ed agrari, liberali e borghesi, e soprattutto larghi strati di ceti popolari i
quali vissero la stagione dell'indipendentismo come straordinaria speranza di
cambiamento.
Ma cosa voleva il MIS. Qual era il suo obbiettivo finale? Anche se non si è mai
fatto troppo caso, gli indipendentisti siciliani furono federalisti. Sul piano
ideologico e programmatico, in tutti i documenti e i congressi, rivendicarono
sempre uno Stato siciliano federato ad una Repubblica federale italiana. Un
obbiettivo che, però, si allontanò, fino a quando non divenne irraggiungibile,
ogni qual volta il movimento si fece tentare da scorciatoie impossibili:
illusori appoggi internazionali, l'estremismo velleitario dell'«esercito»
separatista, le trame con re Umberto per la formazione di un autonomo Regno di
Sicilia, le lusinghe governative in termini di decentramento. Miraggi, soltanto
miraggi che spesso impaniarono il MIS con il risultato di deconcentrarlo dalla
strategia federalista che richiedeva, invece, un impegno più coerente e
convinto.
Il federalismo, tuttavia, rimase sempre il progetto politico del movimento,
l'unico in grado di fare da cerniera tra le posizioni progressiste e quelle
moderate che convivevano nella contestazione dello Stato accentratore.
Finocchiaro Aprile e i suoi pensavano alla Sicilia, ma anche alla Sardegna e
alle altre aree del Mezzogiorno, come a «Stati liberi, conformemente alle loro
secolari tradizioni storiche, alle loro aspirazioni e ai loro diritti; Stati che
dovranno entrare a far parte, insieme agli altri che volessero formarsi in
Italia in condizioni di assoluta parità ed eguaglianza e ciò nell'intento
precipuo di dare inizio alla vera unità dei popoli di lingua italiana, mai
esistita sinora».
Anche alla Costituente il capo del MIS «nel corso dei suoi acuti e appassionati
interventi -conferma in chiave critica Giuseppe Carlo Marino nella sua "Storia
del separatismo siciliano"- restò sempre impigliato nel leitmotiv dello "Stato
federale" contrapposto a quello delle autonomie».
Da parte sua il Comitato siciliano d'azione, un'associazione di giuristi
aderente al MIS, proponeva che «nell'ordinamento federale dello Stato sia
riconosciuto alla Sicilia, nelle materie di sua competenza, il libero e pieno
esercizio del potere legislativo, del potere esecutivo e del potere
giudiziario». Erano ritenuti irrinunciabili il diritto di "stabilire la propria
costituzione interna e l'ordinamento delle collettività minori (comuni,
province, ecc.)», «una polizia propria coordinata con l'esercito e la polizia
dello Stato federale» e una «propria politica doganale ed economica».
Frisella Velia, esponente dell'ala «liberal» del movimento era più prudente: «La
federazione potrebbe dare una certa garanzia; però una federazione intelligente
che non sia del tipo di quella tedesca sboccata nel dominio della Prussia». In
quel momento piuttosto agitato, gli indipendentisti nutrivano qualche timore che
anche il federalismo potesse essere snaturato. Forse per questo Finocchiaro
giocò sempre sull'equivoco tra federalismo e confederazione. Colpisce, inoltre,
nel capo del MIS la previsione avanzatissima di una possibile «grande
confederazione europea» alla quale «la Repubblica siciliana dovrebbe essere
chiamata a partecipare, come vivamente desidera, non occorrendo più la
confederazione di Stati italiani, tutti potendo essere membri della grande
confederazione europea».
L'indipendentismo siciliano piacque molto a Randolfo Pacciardi, leader storico
del PRI, il quale, richiamandosi alla tradizione di Cattaneo e Ferrari, sostenne
con forza che la questione siciliana poteva essere risolta soltanto riconoscendo
la Sicilia come Stato federato. Piacque, invece, molto meno al governo Parri
che, impersonando la faccia feroce dello Stato centralista, perseguì il MIS con
veri e propri atti di guerra. È una pagina che pochi amano rievocare, ma la
repressione poliziesca, quasi sempre pretestuosa, delle manifestazioni
indipendentiste causò decine di morti e centinaia di feriti e un'infinità di
abusi dei quali fece le spese il movimento. Con un atto del tutto arbitrario il
Consiglio dei ministri, in cui sedeva anche De Gasperi, giunse ad ordinare
l'arresto e il confino a Ponza di Finocchiaro Aprile, Varvaro e Restuccia rei di
«insistere con pervicacia e insolenza nella propaganda contro l'unità
nazionale».
Vi si aggiunge il tentativo di screditare il movimento indipendentista come una
sorta di Vandea inventata dal «blocco agrario» per fermare il «vento del nord».
Tesi superficiale quanto inconsistente. È vero, piuttosto, che pur nelle sue
contraddizioni, l'indipendentismo siciliano rappresentò un moderno tentativo di
riforma dal basso dello Stato centralista. Basti pensare -ma anche questo è poco
noto- che il movimento intrattenne e sviluppò rapporti di attiva collaborazione
con l'UNIS, l'«Unione autonomista italiana settentrionale», un'antenata della
Lega Nord di Bossi, che già nell'agosto 1943 rivendicava l'autonomia della
«regione naturale padano-veneta, con le sue cinque sottoregioni, Liguria,
Piemonte, Lombardia, Emilia e Tre Venezie».
Lo stesso Finocchiaro, al terzo congresso nazionale che si tenne a Taormina alla
fine del gennaio 1947, si soffermò sui rapporti del Movimento per l'indipendenza
della Sicilia con i movimenti d'indipendenza della Valle d'Aosta, della Venezia
Giulia, dell'Alto Adige e della Sardegna. La repressione poliziesca, l'esca
avvelenata dello Statuto speciale, l'insuccesso elettorale finirono per svuotare
fino ad esaurire l'indipendentismo siciliano. Il suo maggior torto fu forse
quello di essere nato in un tempo che non era ancora il suo.
Carmelo
Anastasi
|